Regia Galder Gaztelu-Urrutia
Interpreti e personaggi
Iván Massagué: Goreng
Zorion Eguileor: Trimagasi
Antonia San Juan: Imoguiri
Emilio Buale Coka: Baharat
Alexandra Masangkay: Miharu
Zihara Llana: Mali
Sceneggiatura David Desola, Pedro Rivero
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In questi giorni, incuriosita dal trailer su Netflix, ho voluto vedere il film spagnolo “El Hoyo” (Il Buco), diretto da Galder Gaztelu-Urrutia.
È un film che forse non è preferibile vedere in questo periodo, ma che si inserisce perfettamente nel momento che stiamo vivendo, perché ci catapulta nella psiche umana e nei suoi modi di reagire in situazioni estreme.
La scenografia è particolarmente claustrofobica e sempre in penombra. Subito viene spiegato il meccanismo di questo “sepolcro”, perché di questo si tratta in effetti, i protagonisti sono letteralmente seppelliti vivi, in una struttura che si sviluppa in verticale su tantissimi piani non collegati fra loro se non da un’apertura rettangolare, il Buco, posizionata al centro di ogni piano che permette ai prigionieri dei vari livelli di poter comunicare fra di loro e non solo.
È proprio attraverso questo spazio vuoto che passa una piattaforma, che dal piano zero scorre sospesa da un livello all’altro per nutrire i detenuti, imbandita con ogni pietanza cucinata alla perfezione da cuochi esperti diretti da uno chef particolarmente scrupoloso e severo.
Si capisce subito che questo cibo non basta per tutti ed è qui che inizia la discesa all’inferno del protagonista, interpretato da Iván Massagué Horta. In base al livello in cui ti trovi, e ogni mese ne viene assegnato uno diverso, puoi essere tra i fortunati e capitare nei primi o terribilmente sfortunato e patire la fame negli ultimi.
La struttura rappresenta palesemente le classi sociali e soprattutto la fatalità di ritrovarsi in alto per essere catapultati da un giorno all’altro nella miseria o viceversa.
Il regista non ha voluto lesinare in crudezza e ferocia, riportando azioni plausibili in una situazione tanto estrema, azioni quasi giustificabili ma condannate dal buon senso e dalla razionalità che sembra essere sparita in quel luogo. Ogni prigioniero che il protagonista incontra possiede tratti grotteschi, comportamenti esasperati, che sembrano in realtà far parte proprio della natura umana di quel personaggio. Quello che appare sembra essere l’evidenza di quello che è già insito nella loro indole. Il loro carattere violento, la loro personalità deviata, il loro delirio è solo reso più evidente nella fossa, ma fa parte della loro natura ed è proprio questo il concetto che viene sottolineato in più occasioni.
Anche tra coloro in cui sembra esserci un barlume di lucidità e di reazione positiva si insinua l’ingenua idea di essere diversi dagli altri e la ancora più ingenua convinzione di poterli cambiare.
A ogni passaggio da un piano all’altro il film sembra subire un cambio di scena, il sipario si chiude e si riapre in un altro piano, uguale al precedente, ma caratterizzato da un’inquadratura che si sofferma ravvicinata sul volto dei personaggi, lasciando per pochi secondi lo spettatore in un’attesa sospesa. Le scene seguono un ritmo scandito dagli avvenimenti. In generale lento e dilatato, oscillante tra il timore di subire atrocità peggiori delle precedenti e la speranza di un cambiamento. A tratti è regolare, con cambi di scena continui che narrano il ripetersi sempre uguale di giorni e mesi che perdono il loro significato di tempo, per poi subire balzi improvvisi, rapidi e trepidanti in una corsa alla ricerca di una soluzione.
Gli attori hanno descritto con estrema chiarezza le reazioni egoistiche che scaturiscono dal disagio fisico e mentale a cui sono costretti nella prigionia.
Il regista lascia allo spettatore più di una risposta e lo spettatore è libero di trovare la propria.
L’obiettivo è quello di permettere una lettura sempre diversa, sempre più approfondita e il finale ne è la prova. La discesa nella consapevolezza di quanto sia sbagliata quella forma di prigionia che è stata loro imposta, rappresentata proprio da un passaggio costante da una realtà ad un’altra fino al vuoto e la spasmodica ricerca della speranza, di un ritorno alla purezza, all’innocenza per ripartire di nuovo da zero sono il fulcro del film. Bella l’immagine dei fantasmi, i personaggi che hanno fatto parte del percorso del protagonista, onnipresenti nei momenti difficili, come monito o come sprone. Non vengono rappresentati nella loro evanescenza ma come figure reali, in carne e ossa, prepotenti ma fondamentali. Non rivelerò la conclusione del film ma sostengo che il regista ha lasciato al protagonista la scelta di entrare nel fondo della propria coscienza per perdere il proprio ruolo nella fossa e assumersi la propria responsabilità in essa.