Se mi chiedessero di descrivere in una manciata di parole l’età adolescenziale, direi che “I Am Not Okay With This” sarebbe l’esatta trasposizione di come me la ricordo. È una frase che si adatta ancora molto bene a tante situazioni in età adulta, credo di non essere la sola a pensarlo. Immagino che sia per questo che stiamo parlando di una delle serie più viste del momento.
Onestamente la mia prima impressione è stata di rifiuto, che peraltro è il vero tema di “I Am Not Okay With This”. Già dal trailer pare ovvio che siamo di fronte all’ennesima serie che parla di brufolosi e problematici adolescenti con superpoteri. Personalmente pensavo che questa tematica fosse stata esplorata sin troppo. Ogni volta che il titolo mi è passato davanti mi dicevo: “Oh no, un’altra serie che parlerà di ragazzini innamorati e insicuri! Non ce la posso fare!”.
Invece mi sono dovuta ricredere perché non è così banale. La prima cosa che colpisce è che i protagonisti non hanno cellulari, social o altro. Gli anni in cui si svolge la storia non sono precisati, ma mi ricordano tanto gli anni ’80. Sicuramente questo è un lascito di serie antecedenti e di grande successo come “Stranger Things”, di cui “I Am Not Ok With This” condivide i produttori, ma ammetto che la scelta è azzeccatissima perché, tolta l’ingombrante presenza della tecnologia, si può godere della storia dei protagonisti senza distrazioni. In particolare di Sydney, la nostra adolescente speciale. La incontriamo in un momento difficile: è reduce dal trauma della perdita del padre che, senza alcuna spiegazione, si è tolto la vita nella cantina nella loro abitazione.
Syd traduce quindi il suo grande disagio in quel “Non sono d’accordo con quello che mi sta succedendo, ma non so neanche definire cosa voglio”. Ricordate anche voi quella frustrante sensazione che si provava a quell’età? Quella di non sentirsi definiti, di non riuscire a prendere decisioni e faticare ad identificarsi. Beh, la nostra Syd è all’apice di questa fase. In testa ha troppe domande senza risposta, si sente con le spalle al muro in un vicolo cieco. Può contare solo sul conforto di un diario su cui scrivere apertamente quello che prova.
La migliore amica, unica ad interessarsi veramente a lei, decide improvvisamente di abbandonarla per stare con il ragazzo più bello della scuola. Sua madre è assente, scontrosa e spesso anaffettiva. Per completare il quadro, Syd ha un fratello piccolo a cui deve badare. Il bambino è sveglio e dolce, ma pone sulle sue spalle delle responsabilità da “madre surrogata” che le impediscono di poter del tutto abbandonarsi al rifiuto della realtà che la circonda.
Questo contesto la costringe in uno stato di rabbia quasi costante che nasce da ciò che può solo subire. La rabbia non porta con sé solo urla, strilli e pianti, ma per Syd è l’inizio di panico e paura nel momento in cui scopre che strani poteri distruttivi si manifestano quando si sente così. Solo un ragazzo, Stanley, che è palesemente e perdutamente innamorato di lei, cercherà di approcciarla in modo tenero e delicato ed avrà la pazienza di restarle accanto anche nei momenti più tristi e devastanti.
Come avevo anticipato, sono convinta che il tema dell’accettazione, ovvero riuscire veramente a digerire quello che ti capita senza che tu ne abbia il controllo, è il tema che si vuole mettere a fuoco sfruttando Syd come un’allegoria.
Facendo un passo indietro scopriremo che l’accettazione della realtà è sempre stata un vero tormento per l’essere umano che ne ha tratto varie conclusioni. Ad esempio, molte civiltà antiche accettavano ciò che gli capitava immaginando che fosse tutto parte di un destino predeterminato, a cui l’uomo non aveva possibilità di opporsi. Esso era tessuto da tre mistiche donne che determinavano quel che ti accadeva. Ricordate le Parche o le Moire? Beh sì, era tutta colpa loro!
Nel corso della storia, l’uomo si è tendenzialmente affidato alla volontà del divino, ha cercato di allontanare la sfortuna con varie credenze popolari, ha fatto sacrifici di ogni genere, ha cercato una risposta nelle droghe, tutto pur di convincersi di aver fatto il possibile per garantirsi il meglio dagli eventi.
Se poi qualcosa non andava bene, c’era sicuramente qualcuno a cui dare la colpa e questo dava la possibilità di accettare l’amaro boccone imposto dalla vita.
In epoca moderna possiamo citare Forrest Gump che è passato alla storia con la famosa scena in cui aspetta l’autobus e porge una grande scatola al vicino di panchina dicendo: “La vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita”.
Credo che oggi sia maggiormente difficile vivere gli avvenimenti con rassegnazione o accettazione. Non tanto perché ci sia un modo giusto o sbagliato di arrivare a far pace con il fatto che siamo foglie al vento, ma perché viviamo pensando di avere costantemente tutto sotto controllo senza considerare che nella maggior parte delle situazioni è solamente un’illusione.
Sydney è sola, senza alcuna strategia. In lei si è creata quindi una frattura così profonda tra la propria volontà e quello che la circonda, che la porta a far volare i cartelli stradali con violenza inaudita attraverso il lancio di un sassolino.
Per questo vi posso dire che non vedo l’ora di scoprire come Sydney riuscirà a far nuovamente pace con il suo mondo uscendo da quel gigantesco guaio in cui si è infilata senza volere.
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Crediti:
Ideatore Jonathan Entwistle, Christy Hall
Soggetto dal romanzo grafico di Charles Forsman
Interpreti e personaggi
- Sophia Lillis: Sydney Novak
- Wyatt Oleff: Stanley Barber
- Sofia Bryant: Dina
- Kathleen Rose Perkins: Maggie Novak
Doppiatori e personaggi
- Veronica Benassi: Sydney Novak
- Manuel Meli: Stanley Barber
- Margherita De Risi: Dina
- Eleonora De Angelis: Maggie Novak
Produttore esecutivo Christy Hall, Shawn Levy, Dan Levine, Dan Cohen, Josh Barry
Casa di produzione 21 Laps Entertainment
Distributore Netflix