Fuad Aziz è un artista tra i più interessanti del panorama fiorentino. Nato nell’antichissima Arbil, nel Kurdistan Iracheno, conserva nel suo sguardo tutte le meraviglie della terra in cui è cresciuto e riesce a trasporle straordinariamente nei colori accesi delle sue opere che sembrano emanare una luce propria. Si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Baghdad e vive a Firenze da oltre trent’anni.
Pittore, scultore, illustratore di libri per l’infanzia, curatore di laboratori didattici e poeta. Lo ringraziamo per aver concesso ai lettori di Teatrionline questa intervista.
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Fuad, lei è un artista che esprime il suo talento donando profondo significato alle sue creazioni. Il colore, in particolare, nei suoi tipici toni, accesi e contrastanti, ma anche sfumati sapientemente tra loro, rappresenta un veicolo di comunicazione privilegiato delle emozioni che vuole trasmettere?
Il ruolo del colore è molto importante per me ed è accompagnato dalla forza dei tratti e delle linee di contorno.
Mi piace questo contrasto, da una parte e, dall’altra, la morbidezza e la sfumatura dei colori e delle linee.
Questo avviene anche nei contenuti della mia arte: la forza dei pensieri viene elaborata e proposta in maniera meno traumatica, più morbida appunto e spesso si concentra sulla forma nel suo insieme, nelle aree vuote ed in alcuni particolari.
Le sue opere conservano sempre un contenuto simbolico, magico, lasciando emergere una carica spirituale molto forte. A cosa si ispira?
Nella mia espressione artistica viene fuori il mio vissuto, il cambiamento geografico e culturale, la ricerca continua della bellezza, le vicende storiche e personali.
Quella che lei definisce magia credo che derivi proprio dalle mie origini, dalle mille storie e personaggi reali e fantastici della terra Mesopotamia da cui arrivo ed in cui sono nato.
Si occupa anche di laboratori educativi. Crede che incentivare le competenze espressive possa insegnare a sondare il vissuto emotivo?
Certamente! È assolutamente importante accompagnare ed educare alla ricerca alla comprensione alla fantasia ed alla curiosità che sono secondo me gli elementi fondamentali non solo per lo sviluppo emotivo dell’individuo ma anche per la sua normale crescita ed evoluzione.
L’arte è di sicuro una risorsa educativa importantissima, immediata, ed è un bisogno naturale per tutti.
Si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Baghdad. Ci racconta i suoi anni di studio in quel particolare ambiente?
Sono stati anni molto belli ed ormai lontani.
Baghdad è molto distante dalla mia città, Arbil, ma avevo molti amici e dei bravissimi insegnanti.
La città era piena di magia.
I suoi luoghi popolari, il fiume Tigri, i resti storici, i Musei…
La mia mente si è arricchita di tanti elementi, sensazioni, cultura storica ed artistica ma anche di vita che era diversa da quella che avevo vissuto dove ero nato.
Quali sono i paesaggi dell’infanzia, le immagini, gli odori e i luoghi della sua terra d’origine che custodisce con più vivida memoria?
Io mi porto la mia terra dentro in un insieme che non posso descrivere.
Ho nel cuore la mia casa, il giardino con le piante di arancio, il tetto a terrazza sul quale dormivamo d’estate col cielo che ci sembrava di toccare.
L’odore dei cibi e delle spezie che saliva dalla cucina dove la mia mamma cucinava dalla mattina.
I suoni del mercato.
Il tè profumato.
I luoghi antichi, come il minareto, la moschea, il castello della città antica che domina la città nuova.
E le voci, i canti, il colore dei vestiti delle donne, il caldo dei pomeriggi d’estate e la neve d’inverno.
E potrei continuare all’infinito.
Vive a Firenze da molti anni. Cosa ama di questa città?
Senza dubbio amo molto Firenze.
Amo la sua storia che ha lasciato per l’umanità testimonianze di grande valore, la sua arte e la sua architettura, le colline ed i paesaggi che circondano la città.
Mi colpisce sempre, ogni volta che la guardo, la scultura del Perseo di Benvenuto Cellini che mi piace tantissimo per la perfezione anatomica, per il sentimento e per la sua eleganza.
Mi piace la gente, all’inizio un po’ riservata, ma poi aperta ed ironica.
A Firenze conosco tantissima gente, ho molti amici veri, mi sono
costruito una famiglia e lavoro la mia arte con riconoscimenti da parte di critica e persone.
La guerra, la censura, la restrizione delle libertà, martoriano intere culture. Secondo lei l’arte è antidoto contro l’oppressione? Si tratta di una forma di resistenza politica e di un linguaggio universale capace di superare ogni confine?
Ho vissuto sia la guerra che la censura nel mio paese a causa di un regime dittatoriale, per cui lavorare l’arte significava quindi lavorare in segreto.
La storia ci insegna che le dittature hanno paura dell’arte perché espressione del pensiero libero.
Un artista non si fa condizionare e diventa la voce di chi non ha voce.
Questo è pericoloso per i regimi.
Le idee espresse con simboli, colori, linee forti e scure sono immediate e colpiscono e coinvolgono e rappresentano lo strumento attraverso il quale l’artista esprime sé stesso ed i suoi contenuti, libero, contro ogni censura.
Ripeto che i regimi dittatoriali hanno paura dell’arte e della cultura che diventa in questo modo un linguaggio che va oltre, quindi universale.
L’artista in questa condizione diventa necessariamente un artista impegnato socialmente e, non sempre ma spesso, anche politicamente, come riposta a questa violenza.
Narra fiabe e leggende molto antiche. Ma racconta anche la contemporaneità?
Certamente. Venendo da un mondo dove è tradizione raccontare fiabe e storie antiche, dove di padre in figlio si tramandano leggende e dove è uso conservare questa cultura me ne trovo coinvolto.
Ma questo diventa mezzo di legame con la contemporaneità.
La fantasia, la magia, i viaggi, gli eroi di allora, diventano soggetti contemporanei e si integrano e si compenetrano con la realtà di oggi.
Ad esempio mi trovo a porre in primo piano valori come l’amicizia fra i popoli e fra le persone, l’accoglienza, l’importanza e la ricchezza della diversità, della pace, dell’educazione ambientale, della semplicità.
In questo caso l’arte diventa un mezzo importantissimo per trasmettere concetti che serviranno al bambino a crescere ed a pensare.
La pandemia, che ha mietuto tante vittime, ci insegna che la convivenza, il reciproco aiuto, la cooperazione, sono beni necessari alla sopravvivenza dell’intera collettività; ma ha messo in luce, purtroppo, anche una grave emarginazione delle fasce più deboli della popolazione, spesso lasciate prive di cure e di tutele di fronte alla crescente emergenza sanitaria ed economica. Quale strada deve intraprendere, secondo lei, l’essere umano per superare questo momento di grande criticità?
Questo è un momento molto delicato e difficile.
Complicato ancora di più perché è arrivato all’improvviso.
Ci ha messo di fronte a problemi prima più nascosti, come lo stato di povertà di alcuni, la mancanza di lavoro, la solitudine, la difficoltà di accedere alla cultura.
Penso che ognuno di noi debba essere responsabile nel suo piccolo per sé stesso e per gli altri, rispettando le regole e tutelando chi circonda Non deve perdere la forza e la speranza e nemmeno l’impegno per capire quello che è necessario fare e cambiare prendendo spunto proprio da questa esperienza.
Solo così una tragedia umana di dimensioni così grandi potrà in qualche modo servire a migliorarci.
Le sue poesie raccontano molto bene il suo vissuto interiore. Ci può salutare con un suo brano?
Poesia per la libertà
Il più grande esercito
Il più forte carro armato
Il più potente politico
Il più veloce missili
Non possono impedire
La lotta delle ragazze curde
Il canto degli uccelli
Il flauto di Pedro
Il sogno di Giamal
E la mia poesia per la libertà
Grazie.
Ines Arsì