Intervista a cura di Il Granchio in Frack
Paolo Ciampi, giornalista e scrittore, ha sempre un sorriso allegro mentre parla con le persone. Ha gli occhi che brillano di curiosità quando racconta la trama di un libro, un episodio di viaggio, la fatica di una pedalata fuori porta. Coi suoi modi gentili e il suo innato entusiasmo riuscirebbe a metterti di buonumore anche nelle giornate grigie.
Paolo, considerando l’elevato numero di pubblicazioni mi viene da pensare che, probabilmente, passi più tempo a scrivere e a curiosare in giro per il mondo, che a mangiare e dormire. Nei tuoi libri si percepisce la voglia di un confronto con il lettore, riesci a creare un’atmosfera confidenziale come quella che si instaura tra amici di vecchia data o tra persone appena conosciute con le quali percepisci da subito delle affinità straordinarie.
Per me, i tuoi libri sono come un negozio di antiquariato ben fornito: non sai mai dove poggiare lo sguardo, vorresti approfondire la conoscenza di ogni oggetto che metti in mostra, sapere la sua storia, il suo trascorso. Con tutti questi dati e nomi e luoghi entri quasi in confusione, una piacevole confusione, di quelle che, per tutta quest’abbondanza, ti fanno girare la testa dalla gioia. “Il sogno delle mappe” è un po’ così, un emporio di dati, di singolarità sconosciute, di curiosità appagate e di storie ritrovate. Un libro che parla di mappe, cartine geografiche e molto di più.
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Paolo, ma tu, sopra le cartine dei tuoi viaggi, sottolinei i nomi delle città da visitare, tracci i percorsi col righello, prendi appunti negli angoli o sui bordi o sei uno di quelli che ripiega la cartina con attenzione perché non si sgualcisca?
“Le cartine vanno vissute. Sono in realtà la prima tappa, il punto di partenza, perciò io le studio e le osservo, ci viaggio sopra appunto. Generalmente traccio i miei percorsi (a lapis o a pennarello) e con dei cerchietti, oppure delle ics, segno le tappe e le località che per motivi vari voglio ricordare. Per gli appunti veri e propri invece ci sono i taccuini, altra buona carta. Alla fine del mio peregrinare le cartine che riporto a casa diventano qualcosa di più : un souvenir, una mappa dei ricordi, un vero e proprio diario di bordo.”
Anch’io come te vorrei potermi permettere di collezionarne di antiche, quelle che, come scrivi tu, sono cambiate, sbagliate o addirittura non più esistenti… quelle che, come le loro sorelle rinnovate, rappresentano in sostanza ‘un catalogo di possibilità’. Quante cartine geografiche hai in casa?
“Ho una grande carta dell’Italia e su di essa ho affisso puntine da disegno che segnalano il luoghi dove ho soggiornato. Ho il mio caro vecchio mappamondo con la lucina interna e ho dedicato un’intera sezione della mia libreria alle mappe di tutto il mondo.”
Secondo te, cosa sono i confini?
“Qualcosa cui l’uomo ha attribuito un’importanza eccessiva, assegnando loro un ruolo da protagonista nella storia e nella geografia. In realtà non sono altro che linee invisibile, arbitrarie, sono il risultato delle nostre convenienze, abitudini e ambizioni. Comunque non sono contrario ai confini, mi piacciono. Purché non siano muri. I confini, mi pare, sono fatti per essere attraversati.”
Ho una pessima memoria a lungo termine, per non parlare di quella a breve, ma fortunatamente per me, funziona molto bene la memoria visiva e mi è facile orientarmi anche senza conoscere una realtà. Tu nei tuoi spostamenti a cosa di affidi? Ti muovi a naso o hai bisogno di una bussola?
“Non porto mai con me la bussola, che poi Daniela dicendola tutta, saprei adoperare così e così. Mi fido delle carte, un po’ meno del mio intuito. Comunque perdersi non è una maledizione, a volte anzi può essere una piacevole sorpresa.”
Nel libro giungi all’inevitabile consapevolezza che la tecnologia ha fatto passi da gigante concedendoci il lusso (o forse la dannazione) di sapere sempre dove ci troviamo e conoscere in tempo reale i percorsi “per dove dobbiamo andare”. Peregrinando insieme a te in un excursus riguardante le tipologie di mappe e le loro evoluzioni mi viene da pensare: ma come sarebbe stato possibile descrivere nei romanzi una caccia al tesoro fatta con applicazioni internet e cellulari satellitari?
“Sicuramente con un bel po’ di fascino in meno. Non è più un movimento studiato e scelto, un itinerario volontariamente tracciato bensì, un lasciarsi condurre da un gps, da una guida con voce ma senza anima. In realtà abbiamo ancora bisogno di non rinunciare alla sorpresa. “Avventura” significa etimologicamente andare verso il futuro, non sottraiamo troppe possibilità al futuro.”
Mappa dei sogni, mappa delle stelle, mappa dei desideri…che cos’è un mappa?
“È una nostra visione del mondo o di un luogo, un continuo gioco – mi verrebbe da dire una sorta di guardie e ladri – tra ciò che la realtà è e ciò che pensiamo o vogliamo che essa sia. Ogni mappa dice qualcosa di noi, non meno di ciò che rappresenta.”
Paolo, qual è la prima cosa che guardi dopo aver acquistato una nuova cartina, cosa ti incuriosisce di più quando la apri per la prima volta?
“I nomi delle località. Mi piace stendere le mappe e pronunciare i nomi che mi cascano sotto gli occhi. Una sorta di rito di cui sono l’unico officiante e credente. Però non è solo una liturgia. C’è chi dice che il camminatore è un collezionista di nomi. In genere lo è il viaggiatore lento. I nomi sono le storie, lo spirito dei luoghi.”
Cos’è più appropriato consultare prima di partire, una cartina o un libro di viaggio?
“I libri aiutano certamente a stimolare l’immaginazione che ci accompagna nei nostri agognati spostamenti. Per quanto mi riguarda, più la narrativa di viaggio che le guide. È anche vero che ogni libro è in realtà un viaggio – concetto che uso quasi come fosse uno slogan. Niente però può battere una carta, per me è un giacimento inesauribile d’ immaginazione. Prima di partire per una qualche destinazione la tengo a lungo aperta sul tavolo ed ogni giorno la osservo alimentando sempre più la mia curiosità.”
Ad un certo punto, affrontando un discorso tra strade giuste e strade sbagliate, hai citato Thoreau “…Non è indifferente scegliere l’una o l’altra strada. Solo una è quella giusta…”. Qual è il tuo pensiero Paolo? Cosa significa sbagliar strada? Si sbaglia veramente o si fa solo un percorso differente? Il potersi perdere è un’opzione contemplata nei tuoi spostamenti?
“Daniela, sarò banale ma a volte perdersi è il modo migliore per ritrovarsi. E nessuno può negare che sbagliare strada può essere in alcuni casi il modo più semplice per arrivare a destinazione. A me piacciono i percorsi alternativi, obliqui, che sembrano allontanare e invece avvicinano. La domanda semmai è: cosa c’è sulla strada che non prendo?”
Paolo, come lo sfogliare le pagine dei tuoi libri, il parlare con te è sempre un modo piacevole per scoprire curiosità e storie affascinanti. Inevitabilmente ad un certo punto si arriva alla fine del viaggio e ci si concede un arrivederci. Prima di farlo però vorrei sapere: che cos’è il viaggio per te?
“Viaggio è tempo, prima ancora che spazio. Viaggio è un bagaglio leggero che mi porto dietro. Viaggio è il modo con cui mi metto in gioco, cerco altra umanità e provo a ritrovare la mia.”