Il teatro è corpo fisico, l’azione del corpo nel campo di una scena crea senso ed emozione, empatia, denuncia e rinuncia, antropologia e filosofia, storia e presente, qualche volta il futuro. Il corpo umano rappresenta l’immagine riflessa di un corpo umano, il corpo dell’attore rappresenta la rifrazione di un altro corpo umano, che appartiene ad un altro tempo, ad un’altra storia, ad un’altra dimensione. La sua funzione è segno, linguaggio.
Mai come oggi, al tempo della pandemia, il corpo fisico diventa l’elemento essenziale per definire i comportamenti e l’etica della polis, limitato o libero nei movimenti, definito come soggetto sociale e culturale, singolo e/o collettivo. Poi, un corpo economico, utile alla produzione oppure temporaneamente sospeso, o allontanato da essa.
Chi era già ai margini, o privo di struttura a sostegno, attende che, passato il temporale, qualcuno si occupi di lui.
Il teatro strutturato o lo Stato. Chi già faticava a vivere, spera di sopravvivere. L’economia male sopporta i tempi lunghi dell’introspezione, dell’approfondimento, dell’ignoto.
Però, nel tempo del vivere a domicilio anche il teatro strutturato, pianificato a lungo termine, dotato di grandi risorse teme l’incerto, e tutto l’indotto nei suoi diversi settori lo teme di riporto. Bene per le cinque proposte di Forlenza e quanto aggiunto dall’assessore regionale alla cultura Felicori, c’è bisogno di proposte e non deve prevalere la paura del vuoto economico, della sensazione di una povertà imminente più insopportabile di quella che il teatro non strutturato già conosce. Già affiora l’intento di ampliare il concetto stesso di strutture teatrali, certo il riferimento al maggior intervento sulla cultura in altri Paesi, come la Francia e la Germania ad esempio, deve seguire di pari passo questa felice intenzione. Così come superare la rigidità algoritmica o di rendita di posizione che caratterizza l’attuale intervento del MiBACT.
Il tempo della pandemia è il tempo della paura, aldilà della speranza tutta umana di uscirne al più presto, ma per il teatro? per il linguaggio del teatro? per il teatro del corpo fisico, il teatro dell’umano, sia che si rappresenti on stage sia che partecipi, guardando e vedendo?
Scrivevamo tempo fa: “Forse l’esperienza primaria della paura dovrebbe ritornare all’uomo, all’attore parafulmine, all’eroe mancante nell’epoca dei superuomini virtuali. L’uomo dovrebbe ritornare ad essere uguale a zero e, come scrive Hölderlin, nell’infinita debolezza trovare la sua massima potenza.
Se è nella decomposizione/trasformazione/trasfigurazione che l’opera d’arte percorre un vero cammino di luce e conoscenza, chi meglio dell’uomo, e quindi della forma artistica che non può prescindere dalla sua presenza – il teatro -, può riaffermare il primato dell’essere sull’apparire? Certo non tutto il teatro ma il teatro del falso movimento. La nostra esperienza artistica ci ha disegnato una mappa che è fatta di tanti percorsi scuri e oscuri ma dove abbiamo incontrato la vera bellezza lì c’era l’impronta di un passo incerto, claudicante, insicuro. Un balbettío. Fosse una “Veduta” scritta nella notte scura di Hölderlin o un “carne, dura marcia carne –“ di una luminosa attrice sensibile”.
Questo presente senza un domani, e per il teatro il domani è l’anno che verrà (se non tre anni dopo) impone di ripensare alle modalità del teatro, inteso come rappresentazione negli edifici teatri o in luoghi aperti, in ogni modo usati come teatri; impone pratiche di teatro nuove per l’uomo-attore così come per l’uomo-spettatore.
Il corpo fisico è elemento fondamentale, ma altrettanto debole.
Nel tempo della pandemia ogni piccolo passo deve garantire sicurezza, difesa totale da aggressioni, garanzia di negatività al virus. La relazione tra regista e attore deve di necessità cambiare, può prevedere un periodo di prova a distanza, di studio e analisi, ma poi ci sarà sempre un luogo fisico dove l’umano si darà in pasto ad altri umani, l’immagine non potrà più ritardare l’evento, anche se adesso si mostra bellissima.
E lì sarà il corpo fisico, e allora occorrerà difenderlo da ogni pericolo. Si sta ancora sperimentando l’efficacia del test più completo, quello sierologico. Quando la percentuale di sicurezza avrà raggiunto l’apice, ed effettuati i test solo allora si potrà procedere a risalire in palcoscenico, e solo per le prove. Fra pochi, gli attori per i quali varrà la formula: il rischio fa parte della vita.
E così forse per gli spettatori distanziati, con mascherina e guanti. Le prenotazioni con l’aggiunta di certificato medico e di test terminati.
La cosiddetta normalità, la socialità, la comunità verranno, ma solo con il vaccino. Più avanti, la scienza accelera ma ha bisogno di certezze.
Intanto ben vengano le proposte, bene le riflessioni a ripensare un’arte che si dovrà armare di fluidità, differenza, più leggera nelle dimensioni per meglio mutare, meglio avvicinarsi ad altri umani, più duttile alla malattia, alla resistenza, al nuovo mondo.
Aprile 2020
Francesco Pititto
Lenz Fondazione