Leggere i testi teatrali di Sarah Kane è come accettare una sfida e stringere un patto: il lettore deve essere pronto a confrontarsi con il linguaggio della violenza e del dolore, con la purezza della poesia, con la corsa incessante dentro una passione combattuta e sfrontata per la vita.
Kane scrittrice inglese nata nel 1971 vive e regna dentro lo scorrere delle pagine della sua pulsante e pungente drammaturgia, un climax ascendente di emozioni che viaggia di pari passo alla desaturazione delle parole che da fitte diventano rade, ma sempre più intense. La sua opera comprende cinque testi avvincenti già da una prima lettura, senza per nulla escludere il potenziale racchiuso nell’idea della messa in scena di questi testi.
****
Luoghi dell’osceno e della libido negata
I personaggi di Kane conducono esistenze all’insegna dell’autodistruzione dentro luoghi in cui si intrattengono relazioni masochistiche esclusive e ci si imbatte in situazioni da spiare come mossi da un’inconsueta attrazione per la più cruda verità. Sono stanze-contenitori di materiale esplosivo come nel primo testo Blasted, il cui titolo già racchiude in sé il concetto di “esplosione distruttiva dei corpi e delle anime” citando Barbara Nativi. Pistole pronte a sparare e fucili intimidatori, droghe micidiali e fiumi di alcool identificano luoghi opprimenti dove l’istinto di morte è vissuto come impulso volto all’estinzione del dolore e come potente fame d’amore e libido negate.
Cleansed – testo dedicato ai pazienti e al personale di ES3, l’ospedale psichiatrico in cui si trovava Sarah – (“Purificati”, “Puliti”) è ambientato in un altro luogo chiuso: le mura di cinta del Campus universitario. Quattro ambienti – la stanza bianca (l’infermeria universitaria), la stanza rossa (la palestra universitaria), la stanza rotonda (la biblioteca universitaria), la stanza nera (dove le docce della palestra si trasformano in cabine di un peep-show) – diventano luoghi di tortura e dell’osceno dove Tinker uno pseudo-dottore (in realtà un pusher) decide la sorte dei personaggi e dove incontriamo Grace balbuziente e Graham che vuole farla finita con una dose di eroina.
Uno sguardo attento alle vittime e ai pregiudizi
La lente di ingrandimento è posta sulle vittime e sui pregiudizi, ogni parola si dispiega come un grido incontrollato dentro un purgatorio ingiusto di anime che si trovano a subire pene per colpe inesistenti.
In Blasted Cate, 21 anni e balbuziente nelle situazioni di stress e Ian un giornalista razzista del Galles di 45 anni rinchiusi in una stanza d’albergo di lusso come in Splendid’s di Genet o in un intimo interno pinteriano che qui si trasforma in luogo della violenza domestica, si infliggono una vicendevole pena. Cate si trova costretta a consumare dei rapporti sessuali con Ian, eppure a Cate Ian non piace. Ai dialoghi si alternano scene di violenza e quadretti avvincenti descritti in una forma prosaica che snocciola le azioni singolarmente rigo per rigo con un efficace punto e a capo che fa vivere ogni scena come il fotogramma di un film. Non stupisce infatti che Kane si sia avvicinata al cinema con il cortometraggio contro il razzismo Skin girato da Vincent O’ Connell al quale Sarah dedica appunto il testo di Blasted.
I testi sull’amore impossibile e lo stile
Ne Phaedra’s Love (L’Amore di Fedra)il mito di Fedra di ispirazione Senechiana e Euripidea, viene rivisitato in una chiave moderna di forte impatto: Ippolito trascorre la sua vita in una stanza buia su un divano circondato da costosi giochi elettronici, pacchetti di patatine e hamburger e calzini sparsi dappertutto. Insegue il senso del vuoto d’amore “rifugiandosi” in una sessualità meccanica e reiterata, creando intorno a sé l’isolamento e l’emarginazione.
In Crave (Fame) “un testo sul bisogno d’amore e sul desiderio”(Vicky Featherstone), i personaggi diventano entità del pensiero di Kane senza nome, a cui vengono attribuite delle lettere come in Quella Volta di Beckett dove ABC sono i momenti della sola e stessa voce. I dialoghi si diradano, si sfaldano e diventano voci nello spazio dell’anima. Infatti scompaiono completamente le note di regia e i riferimenti scenografici, sino all’ultimo testo scritto da Kane 4.48 Psychosis (Psicosi delle 4.48) dove si è a tu per tu con un monologo polivocale, a tratti senza punteggiatura e dove viene raggiunto il livello più alto dell’evocazione poetica dentro il teatro, vissuto qui come un tramite tra vita e aldilà.
****
Intervista a Dimitri Milopulos del Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino
Abbiamo rivolto alcune domande a Dimitri Milopulos regista e direttore artistico di Intercity Festival – ormai appuntamento fisso al Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino dal 1988 – che nel 1997 incontrò Sarah Kane. In quell’occasione il regista curò la scenografia di ‘Blasted’ al Teatro della Limonaia.
Considereresti l’opera teatrale di Sarah Kane un’autobiografia attraverso gli occhi dell’arte?
Credo che l’opera di Sarah abbia svolto un ruolo fondamentale, uno sfogo, attraverso il quale ha cercato di trovare un collegamento tra la vita vera e il mondo esterno cercando di comunicarci la violenza, onnipresente nei suoi testi. Ogni parola, ogni fatto raccontato, ogni storia sviscerata e le modalità di espressione, hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nella sua arte, mai gratuita o ipocrita come inizialmente fu creduto da alcuni critici. Mi fa piacere ricordare le sue parole espresse qui durante il primo incontro pubblico con Lei il 16 settembre 1997 per Intercity London 2:
“Io sono convinta che il teatro fa parte dei bisogni umani più fondamentali. Io credo che, se una città fosse distrutta da una bomba, la gente per prima cosa andrebbe a cercare cibo e un tetto e, non appena avesse provveduto a queste necessità, comincerebbe a raccontarsi delle storie. Io, dal momento che ho già il cibo e un tetto, adesso racconto le mie storie. Per me la funzione del teatro è quella di farci sperimentare una cosa attraverso l’arte in modo che non abbiamo la necessità di sperimentarla effettivamente nella vita reale. Se sperimentiamo in teatro quello che significa commettere un atto di violenza estremo, magari ne possiamo provare una repulsione tale da impedirci di andare poi a commettere un atto di violenza estremo fuori nelle strade. Io credo che la gente possa cambiare, e credo che sia possibile, per noi come specie, cambiare il nostro futuro, ed è per questo che scrivo quello che scrivo“.
Che impressioni hai avuto della sua personalità?
Sarah era l’esatto contrario di quello che tutti si aspettavano. La sua scrittura inizialmente faceva pensare ad una donna forte e prepotente, pensando alle immagini evocate nel suo teatro. Invece Sarah era una ragazzina, bionda e abbastanza timida che metteva le sua parole in primo piano. Si scherzava e si rideva: ricordo quando ci siamo trovati per esempio entrambi con i capelli casualmente corti rispetto alla prima volta in cui ci siamo incontrati visti. Si parlava di parole e di teatro. Contrariamente a quello che molti credevano ai primi tempi, Sarah era una persona genuina e forte, ma allo stesso tempo fragilissima. Forte abbastanza per uscire allo scoperto con Blasted e reggere con enorme maturità e forza alla famosa secchiata di merda (la chiamavamo così allora) che ne seguì. Fragile e fiera del proprio lavoro . L’aggettivo ‘fragile’ qui non è inteso come debole, perché per creare un teatro come il suo, bisogna assolutamente essere forte. Per capirlo, bisogna collocarsi sul punto tra la vita e la morte, in quella sottile incrinatura della vita stessa, rischiando di rompersi per riuscire ed esprimerlo.
Quale può essere e qual è stato il tuo approccio da scenografo al teatro di Sarah Kane a partire da ‘Blasted’?
Di grande impatto, un grande approccio artistico filtrato da un enorme rispetto, perché Sarah mi ha dato molto sin dalla prima lettura. In particolare, ho letto il testo mentre si preparava Intercity London 1 quindi più di un anno dalla messa in scena italiana. Mettete in scena Blasted è stato un percorso lungo e faticoso. Nel mio lavoro da scenografo (allora non facevo ancora il regista) mi sono lasciato trasportare dalle prime parole del testo “una camera d’albergo lussuosa” che poi sarebbe stravolta, mettendole in collegamento con il mio vissuto: mi riferisco al dolore che provai quando bruciarono la Fenice a Venezia. Quello è stato il fatto scatenante sul quale ho basato il mio lavoro estetico di allora. Per lavorare sui testi di Sarah non bisogna fermarsi sui fatti raccontati, ma entrare nel testo per sviscerarlo e tradurlo in altro che possa fare da tramite per la scena. La parte psicologica del testo è fondamentale e predominante.
Quale aspetto dei suoi testi può considerarsi attuale nell’immaginario registico? In particolare parliamo di ‘4:48 Psychosis’ di cui hai curato la regia?
Il lavoro di Sarah può rivelarsi complicato per un regista: si passa dal bisogno di una grande teatralità al suo esatto contrario. È criptico, ma allo stesso tempo rivela tutto. La cosa difficile è tirare fuori quel tutto. I suoi testi permettono libertà, ma allo stesso tempo mantengono un vincolo ai sottotesti i quali riescono a turbarti e sono oggi molto attuali. Sopratutto nei due ultimi testi che io considero i suoi capolavori; Crave e 4:48 Psychosis.
Parliamo di 4.48 Psychosis, sul quale ho lavorato due anni fa e tra poco riprenderò: il risultato di uno studio dell’animo umano, di una ricerca che ha portato Sarah oltre Crave (in cui c’è un chiaro collegamento a 4.48 Psychosis). Questo testo è come un vortice in cui ritroviamo la ricerca di un linguaggio poetico teatrale senza precedenti. Ogni parola, ogni frase, ogni paragrafo è un susseguirsi di orgasmi di linguaggi e di sensi estremamente e minuziosamente collegati. Sarah ha impiegato un anno a scriverlo. Poi se n’è andata. Il testo è conosciuto come “note per un suicidio” ed è vero che racconta di questo, ma è anche un omaggio alla vita, e al vivere sani di mente. Sarah non fa altro che mostrare la tragicità della vita così come la viviamo oggi, attraverso la nostra follia e questa grande voglia (Crave) di connettere anima e corpo – unica possibilità di salvezza. È la nostra difficoltà nel farlo che spinge al suicidio. Scrive: “Cercando di lasciare un segno più duraturo del mio”. Un testo sulla speranza, quindi. E su questi sottotesti e rimandi si concentra o meglio si dovrebbe concentrare il lavoro di un regista, oggi come allora; “per favore aprite le tende”.
Sarah Kane ci ha lasciato nel 1999, togliendosi la vita:
‘La mia anima è presa in una ragnatela di ragioni.
Tessuta da un dottore per aumentare il numero dei sani.
Alle 4 e 48 dormirò.’
(4:48 Psycosis)