“Neues Stück1: Seit Sie” (“Nuovo lavoro 1: A partire da Lei”)
Tanztheater Wuppertal Pina Bausch
Coreografia di Dimitris Papaioannou
——–
Since She, il lavoro diretto da Dimitris Papaioannou, già dal titolo vuole sibillinamente richiamare la presenza di Pina Bausch nei pensieri e nelle memorie del pubblico. D’altronde, seppure immersi nello stile personale e fortemente identitario del coreografo greco, i riferimenti al linguaggio di Pina Bausch sono molteplici, carichi di affetto e di umanità.
La prima scena, non a caso, comincia a luci ancora accese, e presenta tutta la compagnia che sfila lentamente su una passerella di sedie che ricordano vivamente Café Müller. Li si vede ad uno ad uno, si sorridono, si sistemano i vestiti, scherzano silenziosamente fra loro e con il pubblico, mostrando in questa sfilata iniziale la loro vulnerabilità e personalità di esseri umani, in linea con l’approccio artistico proprio della compagnia di Wuppertal.
Lo spettacolo si presenta come un susseguirsi di immagini allo stesso tempo vibranti di significato e cariche di enigmi. Papaioannou, nato come artista visivo, si interessa alla manipolazione di corpi, oggetti e materiali. La brillante maniera con cui orchestra l’interazione di questi ultimi fra loro, innesca velocemente l’immaginazione di chi guarda. Lo spettatore viene così trascinato in una composizione coreografica all’apparenza caotica ma che in verità segue un ritmo e un filo narrativo precisissimo. Si ritrovano qui evidenti similarità con alcuni lavori di Pina Bausch, dove il palcoscenico è un magma di scene e immagini in cui lo sguardo dello spettatore si ritrova costretto a scegliere consapevolmente dove posarsi.
In similitudine con la maestra tedesca, il coreografo utilizza a più riprese, seppur in maniera fortemente personale, le strategie coreografiche di reiterazione e interruzione.
Nello specifico, Papaioannou da un lato si sofferma lungamente su alcune immagini, come il vestito a paillettes nere che al tocco di una mano si tramutano in oro, o il dolce scivolare di una danzatrice su grandi rulli di plastica. Dall’altro, decide di riproporne alcune più volte, tra cui l’arrampicata sulla nera montagna squadrata di spugna, design di Tina Tzoka, da cui i danzatori emergono e scompaiono, o la magica scena in cui alcuni danzatori sollevano un tavolo rovesciato facendolo ruotare a gran velocità. Una danzatrice, eretta su questo tavolo e con i piedi nascosti, dà l’impressione di non ruotare affatto, e immobile nel suo enigmatico sorriso fisso sul pubblico crea una magica illusione ottica.
L’interruzione, invece, retaggio brechtiano di cui sia Pina Bausch sia Papaioannou si rendono consapevoli eredi, è una strategia che viene in questo caso applicata, per parafrasare Walter Benjamin, tramite il costante utilizzo della citazione, visiva e musicale.
In quanto artista visivo, Papaioannou dichiara apertamente di servirsi di immagini ben note della storia dell’arte, che ricostruisce in scena per produrre una composizione strutturalmente onirica. Facendo ciò, lo spettatore viene stimolato non nel cercare un messaggio premeditato, bensì nel vagare in quello che Papaioannou stesso definisce deserto della conoscenza: quel luogo in cui ciascuno può trovare il proprio spazio e interpretare ciò che vede secondo il proprio giudizio.
Concludendo, la forza di questo spettacolo non risiede nel movimento caratteristico dei danzatori – che in effetti è quasi del tutto assente e che d’altronde non è elemento caratterizzante dello stile del coreografo – bensì nelle strategie drammaturgiche e sceniche. Queste ultime si riconfermano come strumenti ben padroneggiati da Papaioannou, e combinate con maestria alla poetica umanità degli artisti che popolano il palcoscenico, lasciano incantati gli spettatori per 70 minuti consecutivi.