Un cancello nero, una serie di numeri stampati sul collo – che si “affacciano” dai colletti di una divisa bianca, per tutti uguale; e due sguardi, quelli di Emma e Norman, che cercano di scorgere al di là di quelle sbarre, al di là dell’oscurità, un mondo a loro sconosciuto. Così si apre “The Promised Neverland”, l’anime tratto dall’omonimo manga distribuito dalla J-Pop, forzando fin da subito lo spettatore/lettore a contemplare come unica realtà esistente quella della villa – o meglio dell’orfanotrofio – in cui vivono 38 bambini. Sebbene siano esteticamente omologati, scopriamo che tra i piccoli abitanti ve ne sono alcuni con caratteristiche speciali, in termini di età, qualità intellettuale e prestazione fisica: i già nominati Emma e Norman, cui si aggiunge Ray. La prima si differenzia dai compagni per la gentilezza – che le viene più volte recriminata come un difetto –, per la testardaggine e un’ingenuità, spesso infantile; il secondo si definisce per le sue straordinarie intelligenza e previdenza, nonché onestà. L’ultimo, invece, nonostante le grandi doti calcolatrici, preferisce asservire la propria furbizia alla soddisfazione degli interessi personali guardando soltanto in seguito al bene dei suoi fratelli.
La struttura, che accoglie i bambini, si fonda su una classifica gerarchica e formale, accuratamente stilata dall’unica autorità dell’orfanotrofio: la Mamma; incaricata di accudire i “suoi bambini” e di prepararli al loro trasferimento presso una famiglia, una volta compiuti 12 anni. Almeno questo è quello cui Emma e Norman hanno dovuto credere fino alla notte della partenza della loro sorellina Conny. Una notte che sgretolerà tutte le loro certezze insinuando per la prima volta nelle loro menti – che dovrebbero rimanere innocenti – il dubbio, la paura e la consapevolezza della morte.
Si può definire una serie fatta di sguardi, il più delle volte penetranti e inquietanti, nati da immagini, quali quelle del manga, di per sé già fortemente evocative; e che con l’animazione acquisiscono uno spessore emozionale sempre più denso. Vista di fatto la precisa caratterizzazione dei personaggi, il più delle volte non è necessario che questi parlino perché gli occhi, o il corpo stesso, lo fa per loro. Dalla prima puntata non vi è per i piccoli protagonisti e i loro spettatori un istante in cui tirare un sospiro di sollievo facendo della spensieratezza e, soprattutto, della tranquillità – data dal silenzio del bosco circondante l’orfanotrofio – solo un ricordo lontano.
Se dunque volete scoprire i segreti di questa villa, dimenticata (o ignorata?) dal mondo, non perdetevi la prima stagione di “The Promised Neverland” su Netflix!