Questa poesia di Emanuele Martinuzzi tratta di un tempo perduto, un momento originario, edenico, in cui le parole e le cose si rispecchiavano perfettamente e l’uomo, come il fanciullino pascoliano, nel solo nominarle in qualche modo le creava dal nulla, le faceva esistere per la prima volta.
Un tempo
Un tempo un tramonto era un tramonto, l’affresco sublime
di una feritoia, che esangue si aggira, unico straniero senza patria.
Un tempo occhi innocenti erano occhi innocenti, ciottoli arresi
a sentieri d’amore, che vanno alla sera tra sterpi marciti in passi.
Un tempo la solitudine era la solitudine, stonata preghiera nel vuoto
come terra tra gigli seccati, fuori una bara di mondo ad attenderla.
Un tempo il canto era il canto, violini di vento strappati da ciò
che macchia al lamento, ogni voce chimera, ogni sguardo rena.