Proseguono gli appuntamenti con la stagione in streaming dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Giovedì 7 maggio alle ore 17, Antonio Pappano in diretta sui canali web dell’Istituzione racconta il poema sinfonico di Respighi, Feste Romane. Con lui, a dialogare e a eseguire esempi musicali, alcune prime parti dell’Orchestra ceciliana: Carlo Maria Parazzoli, primo violino; Andrea Oliva, primo flauto; Edoardo Giachino, percussioni.
Sempre giovedì 7 maggio, ore 19.30, Andrés Orozco-Estrada, alla guida di Coro e Orchestra dell’Accademia, dirige La Creazione di Haydn. Il compositore visitò più volte l’Inghilterra, paese che gli tributava i massimi onori, e lì ebbe modo di ascoltare alcuni oratori di Händel rimanendone fortemente impressionato. Da questa esperienza nasce La Creazione, un oratorio nel quale vengono raccontati i sette giorni della nascita dell’Universo, con l’esclusione di quella straordinaria pagina iniziale che descrive il Caos primigenio, con un tono semplice, disincantato e diretto. Tutto appare informato a una positiva fiducia, ad un’ottimistica e visione del farsi delle cose, della natura e delle sue creature secondo un atteggiamento che fu tipico dell’epoca ma che traduce anche l’animo e il sentimento del compositore giunto alla fine della carriera e all’apice della notorietà. Il cast vocale è formato da Christiane Karg soprano, Benjamin Bruns tenore, Günther Groissböck basso. Venerdì 8 alle ore 20.30 due personalità travolgenti e due interpreti che sono da tempo entrati nell’aura del mito salgono sul palco della sala Santa Cecilia: Martha Argerich e Yuri Temirkanov che si incontrano per eseguire con l’Orchestra di Santa Cecilia il Concerto n. 1 per pianoforte e tromba di Šostakovi, pagina scoppiettante di vitalità nella scrittura originalissima che mette in risalto anche una tromba solista, Giuliano Sommerhalder. Temirkanov si cimenta poi in due pagine di grande spolvero orchestrale dapprima con gli ironici effetti della Sinfonia n. 94 “La Sorpresa” di Haydn in cui, ad un certo punto, inaspettati interventi dei timpani interrompono il vorticoso e tipico ticchettio del procedere ritmico e melodico che è in genere tipico delle Sinfonie di Haydn e poi con il fluire rigoglioso dell’Ottava Sinfonia di Dvořák, pagina intrisa di un dolce lirismo e da elementi mutuati dalla tradizione musicale boema, uno dei vertici della parabola compositiva del musicista.
Sabato 9 alle ore 18 l’Orchestra e il Coro dell’Accademia guidati da Antonio Pappano eseguono la Sinfonia n. 6 “Pastorale” e la Sinfonia n. 8 di Beethoven e Ludwig Frames per coro e orchestra, nuova commissione che Santa Cecilia aveva affidato al violoncellista e compositore Giovanni Sollima. «La prima idea per la creazione di un brano ispirato a Beethoven – dichiara Sollima – è nata esaminando i “Quaderni di conversazione”, ovvero quei taccuini che il grande compositore utilizzava per comunicare, a partire da quando la sua sordità si era seriamente aggravata. Dei “Quaderni di conversazione” ne esistono a centinaia e naturalmente sono pieni di esempi musicali, abbozzi, progetti mai sviluppati, spesso solo scarabocchi… Quando è arrivata la proposta di Santa Cecilia per la composizione di un nuovo brano, da accostare a due Sinfonie, ho avuto l’idea di tornarci su per approfondirne la conoscenza, per rielaborare il caos geniale di quel piccolo ed evocativo universo fatto di segni, appunti e pensieri, per trarne una nuova composizione in un linguaggio che fonda epoche e stili diversi e completamente originali. Ludwig Frames – continua il compositore palermitano – cammina sul filo emotivo e su quello del praticare la musica di un autore che per il mio strumento, il violoncello, ha scritto bellissime cose: cinque sonate, delle variazioni e un triplo concerto che ci fa sempre sudare perché è di grande difficoltà. È un compositore che osa tantissimo sullo strumento e questo grande repertorio, fin da quando lo affrontiamo, ci spinge ad approfondire numerosi aspetti. C’è una tale umanità in quella musica, una tale forza, un coraggio, una visionarietà, una cultura e un’apertura tali che il violoncello sembra uno spazio vitale limitatissimo e quindi ci sentiamo spinti non solo a cercare i colori del suono, ma a scavare dentro alla musica, a solcarla, a cercare i solchi del suono, che sono umani. Qua e là Beethoven viene sempre fuori nella mia ricerca, condotta in modo abbastanza disordinato, che si tratti di citare Beethoven o di riferirmi a lui, proprio perché è un amore tale che è come avere degli oggetti a casa che diventano a poco a poco quotidiani: li tocchi, li sposti, li hai lì ogni giorno con te. Di conseguenza, anche gli oggetti quotidiani messi da parte da lui, i suoi schizzi e i frammenti di brani mai venuti alla luce, mi hanno sempre attratto».
In diretta sui canali web dell’Accademia (www.santacecilia.it/idagio)