Questa poesia in forma di filastrocca di Emanuele Martinuzzi racconta le gesta di un giullare, essere multiforme dell’antichità medioevale giunto fino a noi attraverso numerose evoluzioni. Un giullare raccoglie in sé molte qualità e sentimenti. È un musico capace di suonare le corde del proprio e altrui animo anche attraverso veri e propri strumenti musicali, un attore che delizia le corti con le sue piacevoli trovate, un saltimbanco che porta la sua arte a giro per le strade, un ciarlatano che indispettisce con i suoi scherzi i passanti o fa ballare i giovani, un folle che ha il diritto di parlare di verità taciute, perfino sui regnanti. Questo e non solo, l’acrobata, il mimo, il mangiafuoco, il cavallerizzo, il buffone e molto altro ancora. Ma dietro tutte queste maschere, dietro tutte queste sfaccettature, c’è l’uomo, con i suoi desideri e le sue malinconie, le sue gioie e le sue tristezze, le sue contraddizioni e la sua voglia di libertà.
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Il giullare
Qua devia l’avventura
del giullar senza radura
che tesse ogni affanno
col verde rosso panno.
Beffardo nel disincanto
incede con premura;
brusio di campanelli
gorgheggia sotto al manto.
In piazze arroventate
si ospitano occhiate
sedotte dalla paura
per ventose rotte.
Nel ballo solitario
stride il suo archetto,
la luna va a braccetto
con l’ultimo lampadario.
Ai piedi colorati
resti del banchetto santo
strascicano profani
nel buffo mimando.
Cerca la musa assente,
dolce incanto di cielo:
nebbioso e commovente
nella pioggia un sol velo.
Stinge la maschera bianca
nelle smorfie d’un verso,
oltre la parola stanca,
nel buio d’un volto terso.
E dall’ugola s’intona
un brivido di vocali
che a cascata risuona
consonanti come strali.
Il ripido vanverare
di vanità senza forma
e di romanze amare
si fa cristallina torma.
Sottile linea il riso
quando lo specchio è segno
dipinto su di un viso
che è parodia di legno.
Quasi l’aurora canta
e con dei lazzi scrolla
il bastone che si vanta
di acclamare la folla.
Con salti e piroette
ricomincia il cammino
dolente di scarpe strette
e devoto all’inchino.
Di labbra in labbra vive
con novelle e leggende
pure o anche lascive;
per casa purpuree tende.