‘Note’ dall’isolamento – Conversazioni di Musica è un progetto che prevede sette incontri con giovani professionalità artistiche e musicali per scoprire cosa vi sia dietro all’essere musicista e i cambiamenti prima e dopo CoViD19.
Questa intervista sarà l’occasione per parlare di critica e managerialità musicale con chi coltiva entrambe queste professioni: Alessandro Tommasi. Attivo come direttore artistico del Festival Pianistico Bartolomeo Cristofori di Padova, nella gestione degli uffici di promozione e stampa di Trame Sonore – Mantova Chamber Music Festival e l’Accademia di Pinerolo e come tour manager della Mahler Jugendorchester, ha prodotto per Amadeus, Le Salon Musical e Quinte Parallele recensioni che gli hanno permesso di entrare nell’Associazione Nazionale Critici Musicali.
La diretta originale è visibile sulla pagina di Carlo Emilio Tortarolo (Facebook&Instagram: @carloetortarolo).
Buongiorno Alessandro, delle tante professioni che svolgi prendiamo le principali, ovvero critico e manager musicale. Parlaci di questi due ruoli.
Sono due professioni che al loro interno racchiudono un universo di diverse mansioni.
Il primo, il critico, può includere il classico ruolo dell’andare ai concerti per recensirli o intervistare gli artisti o anche quello del giornalista musicale che cura articoli di approfondimento sull’attualità o su particolari temi. Ruoli accomunati dal desiderio di divulgazione: ecco quindi anche la possibilità della cura di note di sala per le stagioni o di introduzione ai concerti stessi.
Il manager o organizzatore è un termine generico per parlare di tutti quei diversi ruoli che si possono coprire all’interno di un organigramma di una fondazione o di una associazione siano esse pubbliche o private. Personalmente, ad esempio, se al Festival Pianistico Bartolomeo Cristofori mi occupo della direzione artistica, in altre realtà curo promozione, gestione delle tournée o assistenza alla giuria nei concorsi internazionali. Tanti ruoli, anche molto diversi, con molteplici sfaccettature.
La particolarità dei manager culturali è proprio questa trasversalità fra vari ruoli. Tu personalmente come ti districhi fra i vari incarichi?
La mia parola d’ordine è ‘spacchettare’. Spacchettare il proprio tempo e dedicarsi a un ruolo alla volta. Cambiare costantemente abito non è facile perché è stancante soprattutto quando i ruoli sono differenti fra loro. Può capitare anche di doversi appuntare idee mentre si fa tutt’altro, come telefonare fra amici, ma la tecnica principale è quella di ordinare.
All’inizio facevo lunghe liste di cose da fare e a fine giornata non ne uscivo. Poi ho imparato a spacchettare, a prendermi un determinato lasso di tempo per curare la programmazione del festival pianistico o per seguire un determinato pianista da invitare e poi dopo passare a come promuovere un corso di specializzazione a Pinerolo.
Rimane comunque molto difficile perché per ogni cambio d’abito vuol dire ricordarsi tutto ciò che ha portato alla creazione di quell’abito.
In questi mesi di sospensione, in mancanza di un panorama futuro, come hai trovato la concentrazione per questo tipo di organizzazione? Quali impegni hai visto saltare?
Sono stati mesi difficili in cui è stato necessario dirmi “ora mi ci metto veramente” perché avevo in programma molte trasferte europee sia come critico sia come collaboratore della Mahler Jugendorchester. Appuntamenti di grandissimo valore artistico programmati e desiderati da mesi, saltati da un momento all’altro.
In cuor tuo sai che puoi sfruttare questa sospensione per poterti reinventare o concentrare su altro perché le situazioni di crisi possono essere anche portatrici di chance per creare qualcosa di nuovo.
La facilità di perdersi nelle giornate tutte uguali soprattutto per persone abituate come me a viaggiare e andare molto spesso a teatro è, però, dietro l’angolo.
Sono estremamente grato a chi in queste settimane mi ha trascinato in nuovi progetti come ad esempio l’introduzione ai concerti online di Quinte Parallele.
Sugli impegni devo dire che questi sessanta giorni sarebbero stati belli densi fra concerti imperdibili in giro per l’Europa, riunioni con l’Associazione Nazionale dei Critici Musicali e miei personali progetti come le conferenze a Padova in collaborazione con l’Università.
E fino a metà aprile erano ancora un periodo poco frenetico perché poi sarei dovuto essere ad Orleans per il Concorso di pianoforte come assistente alla giuria.
Mi dispiace soprattutto per ciò che salterà nei mesi prossimi: tante collaborazioni e altrettanti impegni estivi che avevo già programmato, ma che gioco forza sono a forte rischio. Penso, ad esempio, all’impegno di agosto sempre con la Mahler Jugendorchester: difficile che ci lascino raggruppare oltre cento ragazzi da tutta Europa in un unico spazio, ma ci spero ancora!
E poi ovviamente tutto il lavoro per il Festival Cristofori di settembre, una programmazione saltata e da ricreare senza sapere come potremo organizzarlo effettivamente.
Settembre è un mese abbastanza in là nel tempo da permetterci di pensare che sarà possibile tornare a teatro, ma la riprogrammazione deve partire ora. Come adatterete il Festival?
Questo è il mio pensiero fisso delle ultime settimane. Si sta discutendo molto sulle possibilità soprattutto legate alle orchestre che hanno esigenze di spazi differenti.
Per un festival pianistico o di musica da camera rispettare le distanze è più semplice, ma ugualmente la scelta dei luoghi da concerto sarà fondamentale.
Si può pensare ad ambienti all’aperto o in cui saranno possibili assembramenti di piccola dimensione, oppure prevedere diverse fasce di ingresso, riprogrammando così il concerto più volte in una giornata.
Ogni idea ha pro e contro che vanno soppesati senza sacrificare la qualità sonora che viene cercata dal nostro pubblico.
La sfida futura per tutti i concerti consisterà nel non mettere a rischio il pubblico considerato che, come dice Michele Dall’Ongaro, “il pubblico della musica è un po’ più che maggiorenne”.
Altra possibilità molto discussa in questi giorni è quella dello streaming. In che modo si può fornire un prodotto che non sia semplice riproposizione dello spettacolo dal vivo?
Bisognerà pensare a format ad hoc pensati per platee più grandi e diverse.
Parlando di futuro: in un prolungamento di questa situazione d’emergenza, come sarà il fruire musica per il pubblico?
Scelgo di essere ottimista.
Ci sarà un ritorno entusiasta allo spettacolo dal vivo soprattutto quando il pubblico si sentirà più sicuro di uscire di casa, momento che non è detto coincida con quando ci verrà detto che è ‘sicuro uscire’.
Dovremo convincere queste persone a tornare soprattutto dopo l’attenzione all’online e allo streaming di questi ultimi mesi, strumenti prima poco utilizzati e che in futuro dovranno essere implementati parallelamente al percorso live, ma che non ne saranno il sostituto.
Pensiamo ad esempio agli archivi messi a disposizione fra tv e Youtube dai principali teatri e dalle fondazioni italiane: una serie inestimabile di esperienze teatrali che non potranno però sostituirsi all’unicità del viverle in prima persona.
Come dicevo, creeremo nuovi format che allargheranno la nostra platea permettendoci di raggiungere quel pubblico che non potrà essere presente in sala.
Godiamo attualmente del nostro panorama culturale interessandoci sempre meno al palinsesto e preferendo, invece, quei servizi che ci permettono di scegliere cosa fruire e quando.
Un fenomeno che si rispecchia nella crisi attuale degli abbonamenti rispetto all’incremento dei singoli biglietti serali. Ciò obbligherà le istituzioni a dover convincere il pubblico per seguire un determinato prodotto, aprendo così molte possibilità anche a generi minori.
Spero che questa possa essere la direzione, seppur con tutte le difficoltà del caso, anche perché solo così sfrutteremo un’occasione unica: formare una nuova realtà.