Leandro Piccioni è vincitore della 65ª edizione dei David di Donatello come “Miglior Musicista” per il film “Il Flauto Magico di Piazza Vittorio”, insieme all’Orchestra di Piazza Vittorio.
Un riconoscimento arrivato ad omaggiare un’opera coraggiosa, nata nel 2007 da una proposta di Daniele Abbado, ma anche una eccezionale carriera, iniziata già a quindici anni, con la realizzazione di alcune colonne sonore dei film di Pupi Avati e proseguita attraverso la collaborazione con Carmelo Bene, gli Avion Travel e molti altri grandi artisti.
Pianista solista di Ennio Morricone, Piccioni ha prodotto e scritto musica per radio, televisione, teatro e cinema e la sua presenza come autore, pianista, arrangiatore e direttore, impreziosisce l’Orchestra di Piazza Vittorio fin dalla fondazione, avvenuta nel 2002.
La premiazione trasmessa dalla Rai, in questa edizione, ha visto gli artisti collegarsi da casa, via web, in un clima del tutto particolare che abbiamo il privilegio di rievocare in questa intervista.
———-
Leandro Piccioni, ha ricevuto il Premio David di Donatello come miglior musicista, insieme all’Orchestra di Piazza Vittorio. Cosa significa, in un momento così complesso per la storia dell’umanità, vincere questo prestigioso premio insieme all’Orchestra che ha visto crescere e maturare artisticamente?
Il primo significato del premio è intrinseco al motivo e alla qualità che ci vedeva candidati ai David 2020 come Orchestra di Piazza Vittorio nella categoria “miglior musicista” per la colonna sonora. Realizzata con le musiche elaborate da me e Mario Tronco oltre che da musicisti dell’orchestra dall’opera di Mozart, con l’aggiunta di mie musiche di commento originali che collegano le varie situazioni sceniche fra un aria e l’altra e che non erano esistenti nel nostro precedente lavoro da cui è tratto il film. Il secondo significato lo intendo come riconoscimento al nostro lavoro complessivo di questi 18 anni per un orchestra che, con le sue caratteristiche di multietnicità e multiculturalità, ma anche di classicità nel saper lavorare artisticamente con le grandi opere teatrali del passato (da Mozart a Bizet), è ormai vista come una realtà musicale italiana consolidata (ora anche dal mondo del cinema) con tutte le sue camaleontiche variabilità, progetto per progetto. Voglio aggiungere che questo premio, arrivato in un momento storico così surreale e complicato, con le oggettive difficoltà e incertezze del momento che stiamo vivendo tutti, è un infusione di energia, di voglia di attività e speranza per il futuro. Una bella spinta a continuare con i nostri progetti e proseguire il nostro viaggio artistico insieme, sperando che la riapertura dei teatri, che sono il nostro campo di battaglia musicale più frequente, avvenga nel più breve tempo possibile.
“Il flauto magico di Piazza Vittorio” è la rivisitazione, in chiave cinematografica, di una sua opera teatrale, costruita insieme a Mario Tronco, sulle fondamenta del Singspiel di Mozart. La rielaborazione musicale di brani preesistenti è unita a composizioni originali, interpretate da musicisti di varia provenienza culturale, in una mescolanza di stili che raggiungono una particolare armonia d’insieme. Questa esperienza orchestrale straordinaria può avere aspetti emblematici, secondo lei, in una fase così critica per la convivenza di tutte le diverse culture che abitano il pianeta? L’arte ha la capacità di valorizzare la diversità?
Non voglio essere retorico, ma la nostra esperienza insegna concretamente che l’arte e la musica uniscono. Il nostro “Flauto Magico” è il prodotto musicale fra l’opera di Mozart e una riscrittura, una elaborazione creativa musicale, reinterpretata con grande libertà stilistica, rispettando comunque qua e là la sacra bellezza della partitura originale mozartiana. Lo abbiamo fatto “nostro” nelle sonorità, nelle vocalità e nelle scelte linguistiche. È appunto un singspiel in lingua tedesca e lo abbiamo riscritto in 8 lingue diverse, che erano di fatto le lingue specifiche degli interpreti dell’orchestra cui i personaggi sono stati assegnati a parte Tamino, che invece di cantare, come racconta la voce narrante, fischia. A proposito della sua domanda circa le diversità io penso che la musica non abbia diversità in quanto tali, in tanti anni in rapporto con i musicisti di questa orchestra di provenienze lontane tra loro come indiani, rajastani, latino-americani, senegalesi, tunisini, insomma di culture musicali, religiose e linguistiche molto diverse dalla nostra, abbiamo avuto sempre il filo di collegamento della musica che ci ha fatto comunicare con naturalezza attraverso il linguaggio nudo e crudo del suono, delle scale melodiche, dei virtuosismi strumentali e quant’altro racchiuda in sé il termine stesso musica. Talvolta non ci si capiva con le parole, ma alla fine trovavamo sempre il punto focale di quello che volevamo fare, ottenere. Per un musicista più della parola parlata può il silenzio o il suono se è ben organizzato e il suono non è altro che il prodotto di un silenzio interrotto. Avevamo sempre come prima preoccupazione (e ce l’abbiamo sempre) quella di organizzare le tante e diverse sonorità con le giuste pause, i silenzi organizzati e io tenevo in particolar modo alle dinamiche, che sono basilari per la buona musica.
Ci racconti come è nata la sua collaborazione con l’Orchestra di Piazza Vittorio e quali sono state le graduali fasi di crescita del vostro progetto laboratoriale.
Con Mario Tronco ci conosciamo fin dagli anni ’90 e cioè dai tempi gloriosi degli Avion Travel di cui lui era colonna portante e tastierista. Abbiamo lavorato insieme in quel periodo e io ero in particolar modo quello degli arrangiamenti e delle rifiniture. Nel 2002 Mario ha fondato l’orchestra che, insieme con Pino Pecorelli (a sua volta colonna portante e indispensabile della OPV), abbiamo visto debuttare, crescere ed evolvere negli anni. Inizialmente io lavoravo per gli arrangiamenti e la scrittura musicale vera e propria per quella parte di musicisti dell’orchestra che sapevano leggere lo spartito come gli archi e i fiati, per il resto con gli altri si comunicava come si dice “ a orecchio” che è comunque un sistema infallibile per la memoria per chi vi è abituato. Poi, dopo alcuni anni di concerti e produzioni discografiche, nel 2007 è arrivata una proposta di lavorare al Flauto Magico per una notte bianca a Reggio Emilia da parte di Daniele Abbado e da lì è partito tutto il nuovo corso delle opere elaborate che mi ha legato molto più intensamente e stabilmente a questa orchestra fino a tutt’oggi. È stata una fortuna, posso dirlo.
La musica è ricerca di equilibri attraverso la sperimentazione?
Nella musica si cerca sempre un equilibrio. Quando parliamo di un brano musicale, di una canzone, di un aria o altro, parliamo di struttura, di costruzione, sviluppo ecc… e per funzionare, sia esso complesso o semplice, deve avere appunto un equilibrio. Detto questo però il lavoro con questa orchestra è stato anche un grande laboratorio dove abbiamo potuto sperimentare cose nuove e non conosciute di fatto come già esistenti, con dei punti di riferimento che tutti abbiamo certamente, ma cose che non sarebbero possibili in altri ambiti musicali, con altri ensemble con connotati stilistici precisi ed etichettabili, ne tantomeno con orchestre tradizionali con cui ho fatto a mia volta varie esperienze e continuo a fare comunque. Direi che la sperimentazione è importante per realizzare e produrre nuove cose che altrimenti non vedrebbero mai la luce.
Lei è anche pianista solista di Ennio Morricone. Cosa vuol dire collaborare artisticamente con questo gigante della musica?
Con Ennio Morricone ho un rapporto artistico e umano bellissimo ed è sempre una grande emozione suonare da solista con grandi orchestre in tutto il modo con lui davanti che dirige. Ogni volta sento rinnovare la grande responsabilità che ho nelle mie dita nel momento in cui suono la sua musica, spesso davanti a decine di migliaia di spettatori incantati e ogni volta tutto si ripete, in modo diverso, ma con la stessa emozione. Una sola parola: indescrivibile.
Ci si sente nella storia ed è una sensazione Magica, per usare un termine in analogia con il nostro “Flauto”. Una curiosità visto che siamo in tema: Ennio Morricone conosce bene la nostra orchestra e ogni volta rinnova le sue congratulazioni per me e il lavoro musicale che facciamo. Ha visto praticamente tutte e tre le opere che abbiamo realizzato apprezzandole molto e questo per noi è un grande onore.
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Intanto l’uscita in digitale e fisica del cd della colonna sonora del film. Era già pronto tempo fa ma il Coronavirus ci ha bloccato momentaneamente. Per il prossimo futuro stiamo pensando a un lavoro che avevamo in cantiere da un po’ di tempo: “L’opera da tre soldi” di Brecht / Weill. Un nuovo cd di canzoni originali e poi vedremo se affronteremo un’altra opera. Recentemente eravamo in tournée con lo spettacolo “Orchestra di Piazza Vittorio all’opera” che è composto da una serie di arie di nostre opere elaborate da Mozart a Bizet a Verdi (con il “Va Pensiero”), ma abbiamo ovviamente dovuto interrompere i concerti e gli spettacoli per la pandemia, purtroppo. L’ultimo concerto era stato al teatro Rossini di Pesaro a fine Febbraio. Il premio ai David però ci ha dato una grande spinta con la voglia di uscire prima possibile da questo incubo della pandemia.
Grazie.
Ines Arsì