‘Note’ dall’isolamento – Conversazioni di Musica è un progetto che prevede sette incontri con giovani professionalità artistiche e musicali per scoprire cosa vi sia dietro all’essere musicista e i cambiamenti prima e dopo CoViD19.
Parleremo di direzione d’orchestra con Marcello Corti, direttore dell’ensemble Esecutori di Metallo su Carta e dell’orchestra Agnesi di Merate.
La diretta originale è visibile sulla pagina di Carlo Emilio Tortarolo (Facebook&Instagram: @carloetortarolo).
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Buongiorno Marcello, partiamo dalla domanda fondamentale. Come descriveresti la direzione d’orchestra e come la declini tu professionalmente?
Credo che la direzione sia un insieme di componenti: una principale di artigianalità e una minoritaria di interpretazione e di tecnica.
L’immagine che ho del direttore d’orchestra è quella di un servitore del compositore, un musicista il cui scopo professionale è quello di creare la miglior versione possibile di una partitura scritta da qualcun altro; senza i compositori, i veri creatori della musica, non ci sarebbero orchestre, ensemble e neanche concerti.
Il direttore quindi serve l’idea compositiva e cerca di ottenerla da chi gli sta davanti: orchestra, coro o qualsiasi formazione di musicisti. Per riuscirci non può porsi come è ipotizzato dall’immaginario collettivo – penso ad esempio al film “Prova d’orchestra” di Fellini – ovvero un individuo distaccato dall’orchestra che, forse, rappresenta più come erano un tempo questi professionisti.
Se si lavora con amatori e giovani, non è necessario essere un capo, ma serve essere un artigiano che li guida. Ad altri livelli come professionisti e grandi orchestre, il direttore può permettersi di mettere il proprio spirito davanti a quello del compositore e anche in questo caso l’artigianalità sta nelle caratteristiche personali del direttore, nelle sue competenze.
Il mix di carattere, abilità tecnica e artigianato rende ogni direttore diverso dall’altro, ma ognuno di essi è ugualmente un modo valido di incarnare la figura del direttore d’orchestra.
In questo difficile periodo, l’annullamento di tanti concerti unisce tutti gli artisti. Qual è stata la tua situazione nei mesi scorsi e quale nei mesi prossimi?
Oltre ad alcune repliche di uno spettacolo che non so se verranno recuperate, in questo periodo generalmente porto a compimento il percorso di studio e preparazione delle orchestre giovanili e amatoriali a Merate e a Lecco. Un lavoro in cui i concerti finali sono solo l’ultimo atto e il vero protagonista sono i mesi di preparazione che passiamo assieme.
Un percorso comune anche ai corsi estivi musicali (ANBIMA Lombardia, ndr) che allo stato attuale, nonostante siano ancora previsti, sono una grande incognita.
Riusciremo a realizzare questi eventi? La volontà di farlo c’è, il desiderio dei ragazzi pure, ma non sappiamo attualmente se avremo i permessi.
Parliamo di 100-120 ragazzi a cui, oltre alle problematiche logistiche, si dovrà andare ad aggiungere la questione sanitaria.
Arrivo addirittura a dire che se potessimo fare il corso ma non il concerto finale sarebbe già un ottimo risultato: faremo musica per le caprette nel parco che ci ascoltano!
Questo perché il primo motivo di questi corsi è vivere l’esperienza della musica assieme e arricchirsi dal suonare insieme. Ovviamente c’è la soddisfazione del concerto pubblico finale, ma allo stato attuale passa in secondo piano.
Uno dei più grandi problemi di questo periodo è l’incertezza non solo attuale ma anche futura.
Sarà possibile fare questo o quello? con quali limitazioni? sono solo alcune delle domande che ogni musicista si sta ponendo non solo per i mesi estivi ma anche per quelli autunnali e futuri.
Un’incertezza destabilizzante per chi organizza, come il nostro team di docenti, ma anche per i giovani che desiderano vivere questa esperienza che attendono con ansia di estate in estate.
Ho la fortuna di non dipendere direttamente da questi progetti, ma mi metto nei panni di chi vive con le attività didattiche e oltre a questo dramma aggiunge una famiglia da mantenere o una casa da pagare.
In questo tuo lavoro con ragazzi e amatori come ti approcci con loro?
La risposta è sempre ‘dipende’. Sono quasi una decina di anni che lavoro con non professionisti e penso di aver capito quale siano le qualità richieste non solo al direttore, ma anche a tutti quei professionisti che ci lavorano.
Per iniziare è richiesta una grande sensibilità psicologica: sensibilità nell’accompagnare ogni musicista durante il percorso e nel comprendere le sue difficoltà, psicologia nel creare un bell’ambiente di lavoro affidandoti all’autorevolezza e non all’autorità, due concetti solo a prima vista simili.
Non otterrai mai nulla alzando la voce o pretendendo la perfezione perché non solo non avrai il risultato desiderato ma andrai a intaccare il legame umano.
I musicisti non professionisti fanno musica perché scelgono di farla solo per il piacere intellettuale e sociale. Se viene a mancare questo, scompare il piacere di fare musica.
Oltre a questa dimensione sociale, ci sono le qualità musicali del direttore. Come ho detto prima, considero la direzione un lavoro artigianale ed è proprio in questi casi che lo puoi vedere.
Trovo estremamente gratificante a livello intellettuale prendere i pezzi, metterli assieme e dar loro una forma.
Con i professionisti si può dare per scontato che tutti sappiano suonare la loro parte, ma ciò non sussiste con gli amatori, gente che nella vita studia e lavora e quindi può anche non prepararsi per la prova. Lì è compito tuo andare a motivarli e aiutarli.
In dieci prove partirai da un brano completamente sfaldato che va pian piano a prendere forma fino ad uscire, magari imperfetto, ma costruito tutti assieme.
Plasmi una materia, impari a lavorarla e alla fine ottieni sempre soddisfazioni.
Questo lavoro prolungato con tante altre persone, impossibile a livelli professionistici in cui non hai settimane per preparare un concerto o un’opera, non concorre solo all’esecuzione di un brano, ma anche alla creazione di legami preziosi.
Ricordo ancora adesso la preparazione che feci con gli Esecutori su Metallo di Carta del ciclo di Fausto Romitelli “Professor Bad Trip”. Una grande sfida per la difficoltà dell’esecuzione che non solo ci ha arricchito dal punto di vista umano, ma ci ha anche resi amici.
Penso che ogni direttore vorrebbe poter lavorare così a lungo, creando questi contatti umani, anche se purtroppo per problemi economici non sempre è possibile.
Come vedi il futuro della musica se questa emergenza dovesse perdurare?
Nessuno ha questa risposta, ma posso darti la mia opinione che spero sia molto lontana da quello che sarà il futuro. Credo che i primi che avranno bisogno di musica saranno quelli che fanno musica. Sentiremo la necessità di farla con le nostre voci e con i nostri strumenti.
Questa spinta a volersi esprimere con le note non la puoi fermare.
Il problema è che non si esaurirà nemmeno la voglia di ascoltare musica, di qualsiasi tipo essa sia, classica o contemporanea, e così per le altre forme artistiche che non c’entrano con la musica.
Le persone hanno bisogno di fruire arte che sia andare ad un concerto, partecipare al Lucca Comics, azioni che non possono competere con l’ascolto di un cd online.
Si troveranno dei modi per poter ascoltare musica assieme, magari infrangendo le regole come i Rave degli anni ’70.
Continuo la mia utopia pensando che ci saranno Rave clandestini di musica classica dove potremo dirci “andiamo ad ascoltare la Ciaccona di Bach stasera?”.
È giusto tenere a casa le persone per uno-due mesi, ma la necessità di vivere musica in maniera collettiva, di vivere emozioni non la puoi addormentare ed è una voglia che stimolerà le persone.
Stiamo sottovalutando, ad esempio, l’impatto che questa reclusione sta avendo sugli adolescenti che capiscono meno questa necessità.
Questo bisogno sarà come l’acqua: una via per uscire la trova sempre.