Il Maestro Nardoni, Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana e Accademico d’Onore dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, ha raccolto l’eredità preziosissima di artisti come Pietro Annigoni, Antonio Bueno, Giorgio de Chirico, maturando un pluripremiato percorso pittorico di straordinaria vitalità e talento, segnato da una profonda dedizione agli studi e accompagnato, parallelamente, da una altrettanto fruttuosa carriera nel mondo dell’insegnamento. Scelto, nel 1986, da Renato Barilli per esporre nella Sala dei “Pittori moderni della realtà”, in occasione della mostra “Firenze per l’Arte Contemporanea”, conquista una fama di livello internazionale che lo porta, nel 1996, ad esporre con una personale all’Art Expo di New York e ad essere omaggiato in tutto il mondo con molteplici mostre.
Potete ammirarne i capolavori all’interno del Museo Nazionale del Bargello a Firenze, nelle Collezioni Pontificie della Città del Vaticano, nella Raccolta dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, nel Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, nel Duomo di San Miniato e a Tavarnelle Val di Pesa.
Straordinario paesaggista e ritrattista di grandi personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo, è stato nominato Ritrattista Ufficiale del Corpo della Nobiltà Europea, cogliendo sempre, nelle sue opere, l’intimo della bellezza.
Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo per voi.
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Maestro Nardoni, come si è avvicinato alla pittura?
È la pittura, fin da quando sono in grado di ricordare, circa a quattro anni di età, che si è avvicinata a me. Così non ho avuto bisogno di avvicinarmi, lei stava già lì, attorno a me. Ricordo la mamma che quando veniva a trovarci a casa qualche parente o un amico, diceva: “…Sergino, vieni, fai vedere allo zio quanto sei bravo, fai un disegnino!” Oppure ad esempio, poco più tardi, a sei anni, quando la maestra elementare, privilegio unico nella scuola, mi permetteva di disegnare anche mentre spiegava l’aritmetica…
Così posso affermare che non sono io ad essermi avvicinato alla pittura, è la pittura che si è avvicinata a me, fin da quando ho memoria.
Era destinato a portare avanti l’azienda di famiglia, ma ha scelto di approfondire la sua esperienza artistica iscrivendosi all’Accademia di Belle Arti di Firenze. L’arte è una vocazione capace di vincere le resistenze e gli ostacoli che si presentano nella vita?
Non è stato semplice, ad esempio, una volta che da ragazzo, ero insieme a mio padre ero a spasso nel centro di Firenze, lui mi indicò un povero “barbone” sporco e con gli abiti tutti strappati che seduto sulla scalinata di una chiesa disegnava e colorava su un foglio, neanche male se ben mi rammento, esclamò autoritariamente: “Guarda, o non volevi fare il pittore? Vedi come ci si riduce a fare quel mestiere!” Così la prima cosa che ho fatto è stata quella di cercare di diventare indipendente, cercare un lavoro, non certo quello con mio padre, che mi permettesse di lavorare e insieme anche studiare. Domande, concorsi, ed ecco quello che cercavo è arrivato: Manovratore alle Ferrovie dello Stato, con turni notturni che mi hanno permesso, mentre lavoravo e mi automantenevo, di fare tutti gli studi che volevo, Maturità al Liceo Artistico, in un anno, senza frequentare, esame da privatista poi Pittura all’Accademia di Belle Arti, subito dopo Specializzazione in Storia dell’Arte all’Università di Firenze, Abilitazione all’insegnamento, Concorso a Cattedre ed ecco l’incarico di Professore di ruolo in Educazione Artistica nella Scuola Media. Fatto, la mattina a Scuola e la sera, dal pomeriggio alla notte, in studio a dipingere. Poi sono diventato insegnante in altre scuole di livello superiore fino a due Università, fino a quando ho detto: o di qua o di là. Ed eccomi, lasciata anche la scuola, a coronare il mio sogno: pittore a tutti gli effetti, per la vita.
Così tanti ostacoli mi si sono presentati davanti, ma con tanto studio, un po’ di fortuna e tanto sacrificio eccomi qua.
Quali sono stati i Maestri che hanno contribuito, in modo più significativo, alla sua crescita artistica?
Più che i professori che ho trovato in Accademia a Firenze, di grande valore a dire il vero, come Silvio Loffredo per la pittura e Alberto Manfredi per l’Incisione, ho trovato fuori dell’Accademia i miei veri punti di riferimento: per primo Felice Carena, che non era più in vita ma la frequenza della sua famiglia alla quale mi aveva introdotto il nipote Giuseppe, mio compagno d’Accademia, mi dette l’opportunità di conoscere la figlia e soprattutto la vedova, Mariuccia Carena, una signora che mi incantava con i suoi racconti, tra l’altro mi presentò a Giorgio de Chirico una volta che lui si trovava a Forte dei Marmi, dove lei viveva, (purtroppo non una foto, niente, solo una stretta di mano e una parola, un semplice “piacere Maestro!” e basta). Poi dovevamo andare insieme a trovarlo a Roma ma prima lui e poi lei, morirono. Ma da questa grande donna io ho imparato più che in Accademia e Università messe insieme.
Gli altri me li sono trovati da me; sempre a Firenze ma fuori dell’Accademia, Antonio Bueno che frequentavo nella sua residenza di Fiesole e soprattutto Pietro Annigoni, che voglio ricordare con la lettera che mi lasciò sul tavolo del gallerista in occasione di una delle mie prime mostre alla Galleria L’Indiano di Firenze nel 1985: “… vedo, evidenti, nel Suo operare, un talento e una tenacia particolare che la porteranno lontano…”.
L’influenza di Giorgio de Chirico, Pietro Annigoni e Antonio Bueno ha contribuito a dare una direzione al suo percorso artistico?
Un contributo fondamentale, mi hanno letteralmente indicato la strada. Ma io, da pittore, lo dico con i quadri, così più che le parole risponderanno alla domanda i miei quadri a loro dedicati, tra i quali troneggia questo “Padri nobili” e con i quali corredo la mia risposta.
Nel 1986 è stato protagonista della grande mostra “Firenze per l’Arte Contemporanea”, insieme ad Annigoni e Bueno. Ma oggi come descriverebbe l’arte contemporanea di ambiente italiano e internazionale?
Un grande onore esporre a questa Mostra nella Sala del gruppo fondato dai fratelli Bueno, Annigoni, Sciltian che già non c’erano più, i “Pittori Moderni della Realtà”. Avrei voluto concludere questa parte dell’intervista con queste parole: il 30 maggio inauguro una mostra unita all’anteprima del film – documentario sulla storia della mia vita a Palazzo Malaspina di San Donato in Poggio (FI) e questa mostra sarà la mia risposta. Ma è stato tutto rimandato al 30 maggio del 2021 per le note restrizioni dell’emergenza sanitaria in atto. Credo però, che il titolo della mostra e del docufilm, da solo, già dica molto: “IL NON ALLINEATO – Sergio Nardoni e la sua Scuola”.
Il talento e lo studio della tecnica sono i due capisaldi della sua espressione artistica. Ma da dove nasce la sua sempre rinnovata ispirazione, il suo motore espressivo?
Dalla vita. Mi guardo intorno e cerco di trasfigurare la realtà in fantasia in sogno. In altre parole, dipingo quello che si vede cercando di metterci dentro però anche quello che non si vede.
Lei ha dedicato diverse opere al cinema e al teatro, alla commedia dell’arte, ai circensi, agli attori. Cosa la affascina del mondo dello spettacolo?
Le grandi emozioni che queste varie forme d’arte hanno suscitato in me nei vari tempi della mia vita. Le luci del teatro, forti ed esagerate per sottolineare le scene, si sono letteralmente trasferite nei miei quadri, i grandi e mitici attori e le grandi attrici del cinema, quanto mi piacevano, dopo il film, ad esempio, visto rigorosamente con gli amici, provocava per almeno una settimana battute sul film e opinioni sull’avvenenza delle dive o sulla bravura degli attori. Il Circo poi mi affascinava così tanto che quando ero ragazzo mi era saltata in testa l’idea di scappare con un circo di periferia. Poi, le lacrime di mia madre… Ma con qualche rimpianto dico, che se l’avessi fatto, pensi, chissà quante storie avrei potuto raccontarle…
La sua attività di ritrattista vuol raccontare le sue emozioni, le sue impressioni dei soggetti, o, invece catturare la loro storia?
Una lunga storia quella dei ritratti, fin da giovane, infatti, mi dicevano tutti che nei pochi tratti di un disegno sapevo catturare il volto ma anche un po’ la psicologia delle persone che ritraevo. E giù disegnini, in treno, al ristorante, sulla spiaggia, per non parlare della scuola, ai miei studenti, ai colleghi durante le lunghe e noiosissime riunioni dei collegi docenti o dei consigli professori… Fino ad arrivare ai grandi ritratti di personaggi anche celebri, tutte commissioni che però rischiano di condizionare un po’ ispirazione, ma che ho ugualmente affrontato. Credo di averne dipinti almeno centocinquanta, dai ritratti di Kerry Kennedy, la figlia di Robert Kennedy, allo stesso Pietro Annigoni, poi Cesare Prandelli, grande collezionista e grande uomo oltre che Allenatore della Fiorentina prima e dell’Italia poi, e una volta ricevuto l’incarico di Ritrattista Ufficiale del Corpo della Nobiltà Europea, di personaggi della Nobiltà che vanno dall’erede degli Asburgo e Granduca di Toscana Sigismondo d’Asburgo-Lorena, alla Principessa Madre dei Gonzaga di Mantova, senza dimenticare il Principe Duarte Duca di Braganza dei Reali di Portogallo, fino ad arrivare a oggi con i due ritratti di grandi dimensioni di Andrea Bocelli che forse mi hanno dato le maggiori soddisfazioni in questo campo. Dipingendoli, che cosa ho cercato di raccontare di loro? La loro interiorità, oltre al loro reale aspetto.
Che rapporto c’è, a suo parere, tra arte e natura?
I suoi quadri, durante il periodo di pandemia, hanno illustrato interni, nature morte, vedute, giochi di luce, in una costante ricerca della bellezza. L’arte è un esercizio di osservazione?
Rispondo al primo punto in una frase: Natura, Madre e Maestra. Tutto viene da lì. Compreso Astrattismo, Informale, Concettualismo, Arte povera e compagnia.
Per il secondo punto ricorro ad un aneddoto che raccontavo ai miei ragazzi quando insegnavo. Qualcuno mi chiese: Professore, ma con tutta la confusione che si vede in giro in questo campo, che cos’è, in verità, l’arte? Ti rispondo con un aneddoto dissi io: si racconta che Leone Tolstoj, il patriarca della letteratura russa, si trovasse un giorno d’estate su di una terrazza assolata sul Mar Nero, nei primi anni del Novecento, insieme a due altri grandi personaggi discutendo animatamente su che cosa fosse l’Arte. Erano Massimo Gorkij, cantore dell’ormai imminente rivoluzione d’ottobre e Anton Cechov, poetico autore del “Giardino dei ciliegi”. La vera Arte, affermava con vigore il grande Tolstoj, è l’uomo che ascende verso Dio. No, no, rispondeva il futuro rivoluzionario Gorkij, l’Arte è Dio che scende nell’uomo. Nel frattempo Cechov, apparentemente distratto dalla profonda ed elevata discussione, si divertiva a lanciare il suo cappello qua e la per la terrazza. Anton, gridò irritato Tolstoj, invece che giocherellare con il cappello, vieni a dire che cos’è l’Arte per te!
L’Arte per me, rispose Cechov, è catturare quel raggio di sole con il mio cappello.
Il suo talento e le sue opere le hanno permesso di girare il mondo e di conoscere diversi personaggi di spicco della nostra storia contemporanea. Quali sono i momenti che ritiene più significativi in questa esperienza itinerante?
Ne indico uno per tutti, la mia esperienza in Cina, dove ho avuto, fino al 2015, a disposizione uno studio e un appartamento nel centro di Beijing (Pechino), e dove sono stato chiamato per una collaborazione con la Sichuan University di Chengdu nel 2011. Ebbene, due sono i momenti che voglio raccontare. Questo il primo. Dovevo presentare il mio progetto a studenti e professori (con l’interprete si intende, non parlo cinese) e mandarono a prendermi all’Hotel dove alloggiavo una macchina con l’autista, una enorme auto tutta nera, quasi presidenziale, per portarmi al grande Campus universitario della città. Arrivati al Campus aprirono un enorme cancello e imboccammo un larghissimo viale alberato ai lati del quale si ergevano giganteschi edifici che, mi dissero, ospitavano le varie facoltà universitarie. Ebbene ci fermammo davanti alla Facoltà di Belle Arti dove notai un gruppo di persone che aspettavano, una delle quale venne a aprirmi lo sportello. Si trattava, mi disse l’interprete, del Preside di Facoltà accompagnato da una delegazione del corpo docente. Ma le sorprese non erano finite, alzai gli occhi e con mia grande meraviglia vidi uno striscione rosso steso da parte a parte del viale con la scritta “Benvenuto Sergio Nardoni”. Non solo non mi era mai capitato in vita mia, ma nemmeno mai avevo immaginato che potesse capitarmi.
Sempre in Cina, dove mi recavo ogni anno per alcuni mesi, mi commissionarono un ritratto per Zhang Jizhong, un famoso regista cinese molto popolare e, una volta finito il quadro, decisero di organizzare addirittura una cerimonia per consegnarglielo. Sul set del film che stava girando nella campagna di Zholu festeggiavano la fine delle riprese, nella piazza di un villaggio della Cina antica ricostruito per il film, su un lunghissimo palco con segnalati i posti che ognuno delle autorità, delle attrici e degli attori in costume di scena dovevano posizionarsi, mi indicarono il mio posto, esattamente al centro del palco, accanto a quello del regista e ad un grande cavalletto con il mio quadro coperto da un drappo rosso. Salito sul palco, mi trovai davanti almeno un migliaio di persone, con fotografi, giornalisti, video operatori, insomma, sembrava di essere allo stadio. Dopo lo svelamento del quadro e la consegna iniziò una interminabile festa, con tanti fans scatenati a farsi fare autografi dalle attrici, dagli attori e soprattutto dal regista e, non ci crederete, anche da me; e io ne feci, così tanti da stancarmi la mano…
L’arte è un veicolo di trasmissione espressiva universale. Con il suo personale percorso, cosa sente di voler comunicare?
È vero, l’arte è (o secondo me dovrebbe essere), un linguaggio universale, comprensibile a tutti, vicini e lontani, grandi e piccoli, colti e semplici ai quali raccontare semplicemente quello che vedo, riversando sulle mie tele ogni cosa e cercando così di capire di tutto l’intimo senso e soprattutto, di capire qualcosa del più grande mistero della vita, quello della creazione…
Grazie.
Ines Arsì