Stando seduti sulla nostra comoda poltrona a teatro non siamo abituati a farci troppe domande su quale sia stato il percorso che ha portato gli artisti a calcare quel palcoscenico; o quale siano le difficoltà che questi abbiano incontrato. Apprezzando l’hic et nunc dell’evento spettacolare, ci dimentichiamo al contempo che vi sono altre figure che operano nel dietro le quinte della “costruzione” dei professionisti: gli agenti. Così abbiamo intervistato Antonio Desiderio: una delle figure più influenti in ambito manageriale, operante nel campo della danza e della lirica a livello internazionale; che, oltre a fare chiarezza su in che cosa consista la sua professione, ci ha parlato dell’attuale situazione dei teatri e di come potrebbe essere la ripartenza degli spettacoli con la riapertura.
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Mi piace definire gli agenti come dei “realizzatori di sogni”: il Suo percorso formativo è iniziato con lo studio del pianoforte; come è arrivato poi a intraprendere la carriera manageriale?
La ringrazio molto di questo appellativo, Lei ha ragione! Un po’ è esattamente cosi! Si parte da un sogno, da una passione che poi si cerca di trasformare e plasmare in un lavoro. Questo è ciò che ho fatto io, ovviamente credendoci fino in fondo.
Ho sempre avuto una forte inclinazione musicale e la mia famiglia decise in giovanissima età di mandarmi a studiare pianoforte. Col tempo ho pensato che lo studio pianistico potesse essere impiegato a servizio e accostamento alla danza, di cui da sempre sono affascinato, e così ho fatto. Presi delle lezioni specifiche per l’accompagnamento musicale per la danza e, contemporaneamente ai miei studi in giurisprudenza, ho lavorato tantissimo come pianista accompagnatore per le classi professionali di danza. Quello è stato sicuramente il primo approccio al mondo danza da vicino, che mi ha permesso di conoscerlo dall’interno.
Alla fine dei miei studi universitari e, finita la pratica forense, mi sono trovato al bivio se continuare in questo mondo o dedicarmi alla professione di avvocato. Presi la mia scelta senza paura: la passione vince su tutto. Ho cominciato dapprima a lavorare per un cantante lirico molto famoso nel settore, poi si unirono lentamente i grandi nomi della danza e da lì ho cominciato a viaggiare in tutto il mondo.
Nello specifico, in cosa consiste la Sua professione di manager e cosa cerca negli artisti del mondo della lirica e della danza di oggi?
Mi piace molto definire la figura del lavoro manageriale come figura fortemente “atipica”. Questo perché le conoscenze da avere nel campo sono le più svariate: contrattuali, fiscali e naturalmente artistiche/musicali. Il lavoro del manager è infatti sicuramente di grande responsabilità in quanto si gestisce in nome e per conto dell’artista tutti gli aspetti che compongono la sua carriera; ma per farlo bisogna arrivare preparati ed essere in costante aggiornamento.
Io lavoro molto di più nel settore della danza che della lirica – in quanto il campo è meno saturo nel primo rispetto al secondo –, dove ho potuto più facilmente imporre il mio operato. Dopo oramai 17 anni che svolgo questa professione non mi stancherò mai di dire che un artista è sì, colui dotato di un talento che possa esser valorizzato con giusti e grandi progetti, finalizzati alla creazione di una carriera importante; ma, oltre a questo, per essere davvero annoverato tra i grandi sono necessari altri due elementi fondamentali: il cervello ed umiltà. Senza quelli il cosiddetto “Olimpo” non può essere raggiunto e chi sa di averli non ha bisogno di grandi proclami per affermare la sua grandezza, perché gli viene riconosciuta dal pubblico senza il bisogno di autocelebrazioni.
Molto spesso la danza e l’opera vengono considerate come delle realtà distanti o troppo complesse da comprendere; è d’accordo con questa affermazione e, secondo lei, quali potrebbero essere delle soluzioni per renderle più “vicine”?
Il nostro Paese non ne ha di certo meno di altri, anzi! Ne tantomeno gli italiani! Ma di sicuro alla base c’è ancora un’insufficiente formazione culturale, che deve avvenire fin dai primi anni di età partendo dalla scuola e a seguire.
Nei Paesi esteri i bambini vengono portati in teatro con estrema frequenza e spontaneità, eliminando l’etichetta del bel vestito o dell’evento eccezionale: i nuclei familiari semplicemente si recano in teatro e vanno a vedere i più svariati spettacoli, dando così ai più piccoli la possibilità di sviluppare gradualmente un personale gusto artistico su quello che vedono; con la stessa facilità che avrebbero se andassero a fare una passeggiata o al cinema.
Insieme a questo anche i canali culturali e gli eventi di spessore artistico in prima serata aiutano moltissimo. Sarebbe veramente bello vedere che le nostre reti tv, di Stato e non, riportano in prima serata grandi eventi, come avveniva in passato, per educare le nuove generazioni allo stupore che il teatro sa infondere.
L’emergenza COVID-19 ha purtroppo congelato i cartelloni di tutti i teatri d’Italia facendo sentire la maggior parte degli artisti abbandonati a sé stessi. Cosa pensa di come è stata gestita l’emergenza relativamente al mondo dello spettacolo e come ne ha risentito la Sua stessa attività?
La domanda è molto delicata e forse non basterebbe un’intervista ma cercherò di essere a tal proposito il più incisivo e chiaro possibile. Lo Stato, a mio avviso, non ha fatto. Gli artisti sono stati lasciati senza prospettive e senza quelle garanzie che uno Stato di diritto deve necessariamente dare. L’Arte, e ovviamente parlo nel senso globale del termine, non diverte (come nei giorni scorsi si è indicato); l’Arte eleva, l’Arte innalza, l’Arte rende un popolo più libero e mentalmente più evoluto. Questo fa l’Arte.
Come tutti, ovviamente anche il mio calendario ne ha risentito con cancellazioni o slittamenti di progetti da un periodo a un altro. Sono sicuro che lentamente ci riprenderemo, a patto che lo Stato comprenda l’aiuto di cui abbiamo bisogno e si renda conto non è sufficiente parlare di un’ipotetica, prossima data di riapertura se non la si è strutturata bene nei contenuti.
Si è parlato di una riapertura dei teatri prevista per metà giugno. Secondo Lei, come sarà la ripartenza di questi luoghi culturali?
Riagganciandomi alla domanda precedente, trovo la ripartenza molto difficile e ardua perché le restrizioni nel campo artistico sono troppo rigide e poco redditizie: 1000 persone per gli spettacoli all’aperto e 200 persone per gli spettacoli al chiuso. Masse comprese però! Follia pura!!! Tutti cartelloni teatrali sono in fortissimo ritoccamento o cambio in virtù di ciò.
Ma chissà perché invece in un settore come quello calcistico – che comunque prevede contatto fisico –, siano ammessi l’assenza di mascherine in campo e l’utilizzo degli spogliatoi prima e dopo la partita. Le Istituzioni devono capire che dietro l’Arte ci sono degli enormi ingranaggi capaci di smuovere l’economia; solo con questa consapevolezza potremo sperare in un futuro migliore.
E, in relazione alla stessa riapertura, ha già dei progetti in cantiere?
Di sicuro riprenderò i miei progetti esteri, che contemplano realtà “più avanti” della nostra in termini di organizzazione e stagioni; poi ritornerò in Italia per gli impegni personali e quelli degli artisti che rappresento. Tra le novità riguardanti questi ultimi, a breve vi sarà la presentazione di un nuovo astro nascente della danza, ma…ve ne parlerò nella prossima intervista!
Non possiamo che attendere con impazienza la scoperta della prossima stella, che calcherà i palcoscenici dei nostri teatri più importanti; nel frattempo, auguriamo buona fortuna ad Antonio Desiderio e a tutti i suoi professionisti affinché tornino presto a farci emozionare con la bellezza della loro Arte.