Cristiano Arsì è laureato In Letteratura, musica e spettacolo e specializzato in PROGEST (Progettazione e gestione dei sistemi turistici in campo di eventi culturali e sportivi). Insegna in laboratori teatrali nelle scuole di Roma, attualmente in collaborazione con il liceo linguistico Lucio Lombardo Radice e il liceo linguistico Aristofane. È regista della Compagnia teatrale italo-francese Les Jeunes Filles en Fleurs, oltre che fondatore, regista e attore della compagnia teatrale Malacoda. È iscritto all’ultimo anno dell’Accademia teatrale STAP Brancaccio di Roma. Collabora con l’Accademia cinematografica RUFA e realizza visite teatralizzate nel centro della capitale.
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Quanto tempo occupa la recitazione nella tua routine quotidiana?
Il mio tempo è sempre stato scandito da prove, spettacoli e altri lavori utili a sovvenzionare le mie attività teatrali. Con l’inizio del percorso accademico, la mia formazione attoriale ha preso una grande fetta del mio tempo. La formazione accademica prevede una presenza continua, cinque giorni su sette, per circa otto ore al giorno, senza contare che l’orario può variare con la preparazione degli spettacoli finali.
Come hai scelto l’Accademia del Brancaccio?
Fino ai ventisette anni, ho sempre partecipato a laboratori, workshop e progetti teatrali. Non sentivo la necessità di uno studio più approfondito. Poi ho capito che alla mia formazione mancavano dei pilastri importanti che solo un percorso accademico mi poteva dare. Della STAP Brancaccio mi ha colpito soprattutto la didattica. Oltre al corpo docenti, le attività svolte in accademia hanno inciso fortemente sulla scelta di questo percorso formativo.
Per esempio?
Le attività sono molteplici, incentrate sull’acquisizione di competenze tecniche, quindi uso della voce, dizione, movimento scenico, ma affrontano anche la drammaturgia e la pratica della regia. Con le lezioni di drammaturgia, nello specifico, si affronta la struttura narrativa del testo e di ogni parola che andiamo a interpretare. Con le lezioni di regia si ha la possibilità di dirigere i colleghi, portando, così, in scena dei progetti sperimentali. L’esperienza e il lavoro prodotto in questi contesti didattici vanno poi a confluire nel lavoro attoriale. Il percorso triennale prevede il rapporto continuo con il pubblico, attraverso le prove aperte durante l’anno e lo spettacolo finale, sia al primo che al secondo anno. In questo terzo anno, con il progetto “Classici del secolo futuro”, stiamo lavorando sulla riscrittura di quattro classici che compongono una rassegna annuale, inserita nella stagione del Teatro Brancaccio di Roma.
A causa dell’emergenza sanitaria anche la STAP sta tenendo lezioni online. Si può insegnare un’arte a distanza?
Il periodo di pandemia ha comportato un momento di grande difficoltà, ma è stato anche un’occasione di grande riflessione e verità. Insegnare un’arte a distanza è molto difficile, ma non impossibile. Chiaramente fare lezioni di teatro in modalità smart working, utilizzando piattaforme di comunicazione online, ha portato a soffermarsi più sul singolo, trasformando una comunicazione a distanza, per assurdo, in una comunicazione vis-à-vis. Non posso prediligere la didattica a distanza, in primo luogo perché è figlia di un momento di disagio sociale e poi perché il lavoro attoriale, a lungo andare, ha necessità di avere contatti fisici reali, ricordando che l’attore è corpo.
Quale artista del mondo dello spettacolo è stato per te fonte d’ispirazione?
Molte sono state le personalità dello spettacolo che mi hanno portato verso la strada della recitazione. Non posso non citare Joseph Frank Keaton e Charlie Chaplin, o, un regista per tutti, Peter Brook. Dando uno sguardo al nostro paese e all’attualità, senza dimenticare la nostra storia del teatro, posso citare come punto di riferimento Massimo Popolizio, più volte vincitore del Premio Ubu come migliore attore e regista affermato, con spettacoli come Ragazzi di vita, in scena dal 2016 al Teatro Argentina.
Tieni dei laboratori teatrali nelle scuole di Roma. Cosa hai imparato dagli studenti?
Lavoro da circa sette anni nei licei linguistici, con i laboratori teatrali in lingua. In questi anni ho imparato ad ascoltare, capire e comprendere. Mi trovo sempre a contatto con ragazzi adolescenti che sono nella loro fase di crescita più delicata, per questo mettersi nei loro panni mi è fondamentale per aiutarli, sia ad affrontare la messa in scena, sia a comprendere le loro problematiche adolescenziali. Mettersi nei panni dell’altro è la base per un attore, per capire il processo dell’immedesimazione in un personaggio.
Che cos’è Les Jeunes Filles en Fleurs?
È la compagnia teatrale in lingua francese di cui sono regista. Nasce nel 2016, dalla proposta dell’allora coordinatrice, oggi organizzatrice, della compagnia, Bianca Lamanna e dal progetto del laboratorio scolastico in lingua francese. Quelle che all’epoca della proposta erano aspiranti attrici oggi sono ormai semiprofessioniste, quando non professioniste. La compagnia ha lo scopo di promuovere la cultura teatrale francese in Italia. Negli anni ha già affrontato numerosi spettacoli, con tournée tra l’Italia e la Francia. Oggi collaboriamo con il Centro culturale San Luigi dei Francesi di Roma, e non solo.
Sei anche fondatore della compagnia Malacoda, com’è nata?
La compagnia teatrale Malacoda nasce nel 2013, da un mio progetto di tesi triennale sul Don Giovanni di Molière, con messa in scena finale. Ho fondato Malacoda perché mi sono circondato di persone che avevano il mio stesso sogno. L’obiettivo comune era quello di fare teatro, fare spettacoli, per il puro piacere di farli. Ad oggi la compagnia conta venti componenti, tra attori amatoriali e professionisti. L’organizzazione prevede, oltre alla messa in scena di spettacoli con le mie regie, anche corsi teatrali aperti a chiunque.
A chi sono rivolte le visite teatralizzate nel centro di Roma?
Da circa due anni collaboro, come attore, con la Fenix 1530, che organizza visite teatralizzate per le vie di Roma e non solo. Le messe in scena vanno dal Marchese del Grillo a Trilussa e tanti altri spettacoli. Luca Basile organizza, con l’agenzia I viaggi di Adriano, questi incontri che uniscono il teatro alla visita guidata per i vicoli di Roma. Le attività sono rivolte a tutti coloro che hanno voglia di scoprire le curiosità sulla storia di Roma e non solo.
Cosa farai una volta finito il triennio alla STAP?
Ormai il percorso accademico è quasi terminato e ho la volontà di dedicarmi ai lavori attoriali che mi verranno affidati, senza smettere di coltivare le attività che ho sviluppato in questi anni. Penso a Malacoda e alle Jeunes Filles en Feurs, alla rete che ho creato in questi anni in cui ho studiato in accademia e contemporaneamente continuato a lavorare sui miei progetti.
Pensi di rimanere in Italia o andare all’estero?
Andarsene dall’Italia per me è impensabile, soprattutto ora che inizio a raccogliere i frutti di anni di lavoro.
Cosa consiglieresti a un giovane che vuole avvicinarsi al mondo delle accademie?
Molti ragazzi mi chiedono consigli sulle accademie e come prepararsi ai provini. La prima cosa che consiglio loro è di prendere coscienza del fatto che si tratta di un percorso molto difficile. Questo non viene preso spesso in considerazione. Il mio consiglio non vuole scoraggiare, ma far riflettere. I sacrifici che bisogna essere pronti ad affrontare non sono per tutti, ed è solo l’inizio. Detto ciò, consiglio sempre di scegliere un percorso accademico che in qualche modo ti rappresenti, che possa far fiorire, nell’attore ancora acerbo, le sue qualità intrinseche, prima ancora di apprendere la metodologia.
Un augurio per il futuro del teatro italiano?
Il periodo di fermo ha portato noi artisti a riflettere sulla nostra categoria, a quanto siamo vulnerabili e, alle volte, invisibili agli occhi dello Stato. Definisco la cultura il cuore del nostro paese che, però, diamo per scontato. Mi auguro, in questo senso, una rivoluzione a partire proprio da noi artisti, dotati, come siamo, di una particolare sensibilità nel guardare al futuro, portando sempre con noi l’esperienza del passato e le idee del presente.