In questa poesia, Giovanni Luca Valea guarda con tenerezza ad una giovanissima fanciulla – ormai pronta a una vita nuova – facendo risaltare la sua indomabile libertà e la paura che possa sfumare. La malinconia degli ultimi versi illumina la prospettiva di chi guarderà andare via la ragazza, custodendo dentro di sé soltanto il ricordo della sua bellezza e qualche parola per colmare una terribile solitudine
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Non dovresti, Elisa
Non dovresti, Elisa,
ridere così soave:
il tempo non perdona e circonda.
Può essere
che gli dei
ti vogliano rosa
oppure sposa di un marinaio:
in ogni caso è distanza il cielo,
sempre inutile l’obbedienza.
Credo
che il tuo amore sia e non sia
– se esiste è lieve, foglio
di carta con il nome
di una passante.
Non so
cosa dirai al re
quando ti mostrerà le sue terre,
la corona tutta d’oro.
Che volevi danzare nel campo,
tenere i capelli liberi,
nuda nella maniera
che conosci?
Chissà, Elisa, quale sarà
la canzone dell’innocente
che ti porterà lontano,
quale il suo desiderio
per una colpa
che potrà soltanto sognare.