Per il recente compleanno (15 giugno) tutti i teatri italiani e europei hanno celebrato il novantesimo genetliaco del regista teatrale, scenografo e costumista Pier Luigi Pizzi.
La prima vera occasione di ripresa per le istituzioni che hanno dedicato all’artista e alla sua pluridecennale carriera internazionale eventi e conferenze online.
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Buongiorno Maestro, negli ultimi decenni ha quasi sempre curato gli allestimenti scenici in cui era coinvolto in qualità di regista, scenografo e anche costumista. Una trinità di ruoli che indubbiamente le permette di confezionare l’intero spettacolo a immagine e somiglianza della sua idea creativa, ma che comporta anche il triplo impegno e attenzione. In che ordine affronta questi tre mestieri in teatro e quale di essi ha la priorità nella sua visione artistica?
Fin dalla mia prima regia mi sono preso la responsabilità di dare una unità stilistica a ogni nuovo progetto, ma l’impegno non è triplo, è unico. Non esiste un ordine di intervento nel percorso creativo. L’idea nasce dalla stessa mente e non necessariamente in una successione prestabilita.
Approfondiamo, con il suo permesso, il processo creativo che contraddistingue il suo lavoro. Una volta determinata l’opera su cui intende lavorare, è il libretto o la musica a fare da guida? Da quella traccia come procede? Cerca dettagli dell’opera a sostegno di tale idea o lavora a un livello macro?
Ogni opera presa in esame ha una sua peculiarità che va subito determinata. In prosa e in lirica, il lavoro sulla parola è fondamentale, anche se poi in un’opera lirica le ragioni della musica sono imprescindibili. La mia metodologia di lavoro mi impone una severa e approfondita indagine sul significato del testo e sul clima drammatico della partitura. È in questa ricerca che trovo la chiave di lettura.
Il catalogo di opere a cui ha prestato la sua vena creativa è numeroso e spazia fra molti generi. C’è un titolo d’opera a cui, ad anni di distanza, ha cambiato chiave di lettura o che sia stato ripensato in maniera sostanzialmente diversa? Esiste invece qualche opera o qualche autore che ha sempre desiderato affrontare, ma non ne ha mai avuto modo?
Mi è successo spesso di riprendere una mia regia in tempi diversi ed è stata ogni volta una grande opportunità per me perché mi ha permesso di interrogare la stessa opera ricevendo sempre risposte diverse. ‘Tancredi’ di Rossini l’ho messo in scena in cinque diverse versioni e se mi capitasse sarei pronto per la sesta. Uguali esperienze ho fatto con altri titoli, come ad esempio ‘Macbeth’ o ‘Aida’.
Per restare nel catalogo, tre volte mi sono confrontato con ‘Don Giovanni’, pronto sempre a ricominciare. Ovviamente c’è spazio anche per qualche sogno rimasto nel cassetto.
Gli scorsi mesi sono stati una sospensione a cui nessuno di noi è stato mai abituato. Dopo lo sconcerto iniziale, tutti gli artisti si sono mossi in direzioni imprevedibili: chi recuperando i libri che non era mai riuscito a leggere, chi concentrandosi sugli impegni futuri con largo anticipo e chi ancora sperimentando nuovi passatempi. Lei Maestro come ha passato questi mesi? Su cosa ha concentrato il suo tempo?
L’isolamento forzato ha avuto lati positivi. Ho scoperto i vantaggi delle videoconferenze che mi hanno permesso di portare avanti due progetti di mostre, una a Versailles su Hyacinthe Rigaud, il grande pittore di corte fra Re Sole e Louis XV, l’altra al Museo della Scala sul Quarto Potere.
Ho anche impaginato un libro su Venezia col fotografo Lorenzo Capellini nella sua casa sui Colli Euganei, e col grafico nel suo studio a Bologna.
Mi sono concentrato sull’Orfeo di Monteverdi che in agosto aprirà il Festival di Spoleto.
Non ho certo scoperto la lettura, che ho sempre intensamente praticato. Invece ho fatto ordine, nei cassetti e nella mente.
Pensando ad un pubblico giovane (spettatori, registi in erba, …) che si avvicina per la prima volta alle sue opere, quali dettagli del suo lavoro vorrebbe che venissero colti? Ha delle regole auree a cui guarda durante il suo lavoro e che si sente di condividere con le giovani generazioni?
Nessuna regola in particolare. Per fare il mestiere del teatro occorre avere curiosità e passione. È consigliabile possedere una buona formazione, per esempio in architettura. Nel processo creativo immaginazione e cultura aiutano, ma devono essere associate a disciplina e rigore.
Condivisioni coi giovani? Devono essere loro a trovarle, se ci sono, attraverso quello che sanno del mio lavoro.