Ripensare l’opera dal vivo dopo l’emergenza Covid? Difficile, ma possibile. Lo ha ben dimostrato il Teatro dell’Opera di Roma che ha reinventato negli spazi del Circo Massimo la stagione estiva inaugurata con successo (tre recite sold out) dal Rigoletto di Verdi nel nuovo allestimento ideato da Damiano Michieletto e diretto da Daniele Gatti con un dispiegamento di mezzi enorme, con 1500 metri quadrati (a fronte dei 1000 di Caracalla e di 500 del Costanzi) di palco a disposizione, il distanziamento dell’orchestra e 1400 spettatori adeguatamente sistemati.
Il risultato? Un concreto segnale di ripresa e rinascita culturale, il ritorno a una certa normalità ammantata dalle caratteristiche dell’evento, che si è concretizzato in un kolossal dal sapore cinematografico che vive di un grande schermo e di grandi spazi senza tuttavia tradire, nonostante tutto, l’intimità e lo spirito del capolavoro verdiano.
“Il mio Rigoletto? Un racconto inedito, come se fosse un film” aveva dichiarato il regista veneziano, fra i più corteggiati della scena internazionale, sempre innovativo e provocatorio, ma mai gratuito nelle sue regie illuminate sempre da qualche tocco di genialità. Stavolta però, ammettendo di sentirsi un privilegiato alla ripresa del lavoro dopo le chiusure imposte dal Covid, ha dovuto affrontare le non poche difficoltà legate alle disposizioni di contenimento della pandemia incluso il distanziamento e l’impossibilità degli artisti a toccarsi in un’opera passionale come Rigoletto.
Ma la difficoltà aguzza l’ingegno e Michieletto (sviluppando il progetto di un film su Michieletto e recuperando l’idea dell’ottima La damnation de Faust, premio Abbiati 2018, in prima al Costanzi) si conferma nella capacità di trasformare i limiti in una grande opportunità mettendo in scena uno spettacolo dalle grandi proporzioni lasciando in qualche modo dimenticare l’innaturale distanza fra i cantanti con svariati escamotage (le maschere usate durante il rapimento di Gilda, gli oggetti che gli artisti possono scambiarsi indossando i guanti) spaziando anche fra numerose citazioni cinematografiche.
Michieletto ripensa e attualizza le opere, qui trasportando l’azione dalla corte cinquecentesca di Mantova, alla periferia malavitosa degli Anni Ottanta in un dramma on the road, ma continua a farlo in modo mai gratuito e al contrario del tutto funzionale e vincente optando per la contaminazione dei linguaggi teatrale e cinematografico per avvicinare il pubblico agli artisti.
Se il suono d’altra parte sembra essere quasi innaturale e un po’ ovviamente appiattito dalla necessaria amplificazione, la direzione del Maestro Daniele Gatti, direttore musicale dell’Opera, punta alla riproposizione di una lettura intimista e raffinata (come quella di due anni fa in occasione della inaugurazione di stagione del Costanzi) è in direzione quasi cameristica quasi a contrastare la ricchezza quasi strabordante delle immagini cinematografiche e delle scene.
Michieletto costruisce tre livelli diversi di spettacolo, l’azione scenica, le riprese live dei tre cameraman con steady cam proiettate sul maxi schermo, 19 brevi video girati a Cinecittà che svelano momenti della storia che non si svolgono direttamente in scena (l’incontro del Duca e di Gilda che da perfetta adolescente si cambia d’abito per andare in discoteca e si strucca prima di incontrare il padre o Gilda bambina con la madre al mare) e che svelano il pathos e l’intimità del vissuto di ogni personaggio.
Articolata su tre livelli narrativi l’attenzione dello spettatore deve essere sempre selettiva fra la regia cinematografica ricca di dettagli con particolare attenzione alla recitazione, ai gesti e alle espressioni (mai così curate) con numerosi dettagli da film. E se la soluzione più pratica per lo spettatore è quello seguire quel che accade sullo schermo, la visione attiva è di selezionare quel che accade sul palco con un attento lavoro di coinvolgimento costruendosi la propria regia.
In generale si tratta di un gioco multimediale che funziona benissimo con il duca che immediatamente si compiace e guarda direttamente in camera o grazie alle numerose invenzioni di Michieletto, dalle maschere indossate dai “cortigiani” che picchiano Rigoletto durante il rapimento di Gilda ai numerosi flash forward che anticipano la morte della ragazza avvolta di fiori, il corpo avvolto nella plastica (in stile Twin Peaks), l’abito da sposa indossato da Gilda simbolo dei suoi sogni d’amore. Senza dimenticare il lavoro dei regista sui personaggi: centrale resta sempre il rapporto fra Rigoletto e Gilda che Michieletto trasforma in una ragazza con un carattere deciso che cerca di prendere in mano le redini della propria vita riuscendosi a liberare dall’ingombrante ingerenza paterna nonostante il tragico finale.
In scena, Rigoletto è un solido e tragico, sempre bravissimo Roberto Frontali (che sostituisce Luca Salsi), Rosa Feola una toccante, ma caparbia Gilda che mostra tutto il suo carattere di figlia ribelle e sprovveduta, Iván Ayón Rivas è il Duca di Mantova, libertino e spavaldo negli atteggiamenti con un doppiopetto bianco e occhiali con lenti fumè in stile Tony Montana. Nel coacervo di malavitosi negli Anni Ottanta in una periferia degradata (la roulotte di Maddalena, la giostra e) fra macchinone d’epoca, capelli cotonati (scene di Paolo Fantin e costumi di Carla Teti) e paillettes colorate, spuntano l’ottimo Sparafucile di Riccardo Zanellato, la conturbante Maddalena di Martina Belli e gli altri personaggio tra cui Monterone, giustiziato a sangue freddo fuori scena e che torna in stile visione-fantasma. Dopo il successo dell’inaugurazione di stagione estiva con il Rigoletto, la stagione estiva Opera al Circo Massimo prosegue con Il barbiere di Siviglia di Rossini e La vedova allegra di Lehár in forma di concerto, la prima assoluta del balletto Le quattro stagioni, nuova creazione di Giuliano Peparini, l’atteso galà omaggio a Roma con le stelle Anna Netrebko e Yusif Eyvazov. Biglietti in vendita presso la biglietteria e sul sito del Teatro dell’Opera di Roma, info operaroma.it