All’interno della rassegna Summer Plays, organizzata dal Teatro Stabile di Torino e dalla Fondazione TPE per la tanto attesa ripartenza del teatro a Torino, va in scena “Kollaps” di Philipp Löhle, un profetico testo del 2015 in cui l’autore tedesco immagina un mondo sconvolto da un collasso, seppure temporaneo, delle strutture primarie della società con conseguente caos e distruzione. A portare in scena l’opera è l’affermata compagnia Il Mulino di Amleto di Torino, diretta da Marco Lorenzi, che decide di riallacciare il legame con il pubblico parlando di uno spaesamento, di uno sgomento che tutti abbiamo vissuto a causa delle devastanti conseguenze della pandemia, che ancora stiamo attraversando. Un parallelismo che cattura gli spettatori, li porta a riflettere, li costringe ad affrontare domande profonde sulle proprie volontà, sui propri desideri, sulle scelte fondanti della vita.
Kollaps, il collasso, è arrivato all’improvviso un giorno, tutto è iniziato quando internet se n’è andato, di colpo, ovunque. È una coppia che introduce lo spettacolo rivolgendosi al pubblico, cercando di spiegare con difficoltà l’inizio di quello stravolgimento: le parole sembrano inadatte a raccontare quel senso di vuoto e spaesamento. Lo spettacolo si compone di modalità rappresentative variegate, dal documentario, reso con l’ausilio di una telecamera che riprende in tempo reale ciò che la coppia in un angolo della scena racconta, il dialogo serrato e il monologo rivelatore, un flusso di coscienza interiore che dà vita al mondo celato di dentro. L’intreccio di questi piani, quello esterno, quello relazionale e quello interiore, cercano di dare i diversi punti di vista dell’umanità di fronte al collasso: ciò che nella routine è celato, nascosto, sotteso, sopportato, nella crisi, nel collasso possono riaffiorare, emergere, erompere con la brutale violenza di un desiderio che per troppo tempo è stato tarpato, represso, schiacciato.
E così i personaggi della pièce si portano dentro verità celate e bugie nascoste: la manager che inventa esperienze professionali inesistenti per acciuffare per i capelli un lavoro di cui in realtà non le importa, la coppia tenuta insieme da un perbenismo borghese minato fin dalle fondamenta da tradimenti, mancanze e frustrazioni, il proprietario di un’azienda che si porta appresso il fardello di un’attività imposta dalla famiglia ma con il tacito proposito di scappare a vivere nei boschi o farla finita, il lavoratore umile illuso da un sistema che invece di aiutarlo, lo deride, lo umilia, lo schiaccia, mentre il sogno di regalare una piscina al figlio diventa la molla per la follia. In questo quadro di delusioni manifeste e sogni infranti il collasso arriva come la detonazione delle energie schiacciate, la forza bruta della bestia inespressa prende voce con il verbo del caos e della distruzione. Löhle prende a prestito le teorie di Marcuse di “Eros e Civilità” ribadendo a gran voce, come scrisse il filosofo tedesco naturalizzato statunitense, che è l’eros a nobilitare l’uomo, non il lavoro. Alla fine però, terminata la temporanea Apocalisse, tutto torna come prima e si ricomincia ad abdicare al piacere, richiudendo in gabbia l’animale che ci portiamo dentro.
La regia di Marco Lorenzi ha il pregio di trasmettere con energia, gioco e costante varietà di codici espressivi la fortissima esigenza, insopprimibile nella società contemporanea, di trovare l’equilibrio fra civilità, tecnologia, ordine e la soddisfazione dei propri impulsi e della propria profonda autorealizzazione, per evitare di far la fine del pollo che si sente amato nella fattoria, nutrito, curato, fino a quando all’improvviso cala la scure del macello. La scena è semplice e funzionale, un grande tavolo centrale, già presente in altri spettacoli de Il Mulino di Amleto, come luogo dell’incontro, ma anche della distanza, del conflitto, un divano. L’uso di videocamere in scena, con la regia che dal vivo monta le immagini e compone quadri scenografici e momenti di docu-fiction, a cura di Eleonora Diana, rende in maniera efficace il passaggio dal mondo della rappresentazione documentale del dopo collasso al qui e ora del caos apocalittico.
Un sentito plauso per l’eleganza e la maestria delle musiche eseguite dal vivo con chitarra, contrabbasso e ukulele, pedaliera, effetti, distorsioni, da Gianmaria Ferrario, preciso e sempre in sintonia. L’affiatato team di attori è perfettamente funzionale all’impianto scenico impostato da Lorenzi e giocano con bravura su tutti i registri, dal comico al grottesco, dai dialoghi veloci e furenti ai monologhi intensi in cui le trame della repressione diventano chiare ed evidenti. Uno spettacolo intenso costruito su più livelli espressivi e su numerose trame multimediali che ci dona l’opportunità di riflettere in maniera profonda su cosa ci ha lasciato e cosa ci potrà lasciare la devastante esperienza della pandemia.
Visto il 31 luglio 2020 al Teatro Carignano di Torino.
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KOLLAPS (Collasso)
di Philipp Löhle
traduzione Clelia Notarbartolo
con (in ordine alfabetico)
Roberta Calia (Roberta Shütz)
Yuri D’Agostino (Yuri Breuer)
Barbara Mazzi (Barbara Becker)
Raffaele Musella (Raffaele Becker)
Angelo Maria Tronca (Angelo Seeger)
e Gianmaria Ferrario al contrabbasso, pedaliera, distorsioni e effetti sonori
regia Marco Lorenzi
assistente alla regia Emily Tartamelli
dramaturg Thea Dellavalle
musiche composte ed eseguite dal vivo da Gianmaria Ferrario
visual concept e video Eleonora Diana
sound designer Giorgio Tedesco
luci Link-Boy (Eleonora Diana & Giorgio Tedesco)
distribuzione Valentina Pollani
uno spettacolo di Il Mulino di Amleto
produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale