Quest’anno al Crisalide Festival, festival di arti performative organizzato da Masque Teatro (Forlì) giunto alla sua 27 esima edizione, si parla di Pratiche sociali di liberazione. Dal 29 agosto al 6 settembre il pubblico riscopre il luogo teatro per eccellenza per incontrare artisti del calibro di Carlo Massari, Kinkaleri, Paola Bianchi, giusto per citare alcuni nomi. Il regista di Masque Lorenzo Bazzocchi rilascia questa dichiarazione: “Crediamo fondamentale che la pratica teatrale ritorni dove essa nasce, in quel luogo di libertà che è il palcoscenico”.
Il 29 e 30 agosto è andato in scena per l’occasione lo spettacolo “A peso morto” di Carlo Massari (C&C Company).
Si tratta del risultato di un processo step by step (sempre in progress) che racchiude un ciclo affascinante di spazi e incontri all’insegna della ricerca e della comunicazione. Dal 2016 Carlo Massari porta avanti un percorso a lungo termine da concepire come opera d’arte che avanza per capitoli, che risponde a interrogativi e soprattutto pone interrogativi, come i pezzi di un puzzle di cui ancora non si conosce l’esito, come “scorie di lavoro che ci vengono regalate” per dirla con Massari. In questo periodo critico il ruolo della danza è lavorare sulla riconquista della creazione, basata sul rischio e l’errore: “la possibilità di sbagliare permette la creazione dell’evoluzione (Massari)”. Del resto è un concetto di chiara reminiscenza beckettiana da riaddattare all’arte come alla vita: “Try again. Fail again. Fail better”. Un seducente e profondo meccanismo di metamorfosi continua, intercetta dinamiche d’evoluzione dell’arte in cerca della comunicazione coinvolgente e non scontata di tematiche sociali e oggettive su cui di Massari vuole agire, lasciando un messaggio concreto attraverso la danza.
Siamo dentro una nuova città metropolitana, il cui centro è la periferia e dove si incontrano anime in estinzione e divinità che trovano una nuova dimensione. Un corpo poetico quello di Massari che tesse il palcoscenico come su una tela, in un susseguirsi di cadute, rotolamenti e corse danzati. Una lotta incessante verso il cambiamento e verso la liberazione dell’arte a cui sono state tagliate le ali. Sulle note di una Mazurca d’amore, la danza è il modus vivendi di un anziano in via d’estinzione. Siamo di fronte a un invito al revival di uno spirito artistico dimenticato, che deve diventare una componente funzionale attiva e utile, non accessoria. “L’arte è amore” ci tiene a sottolineare Massari citando Édith Piaf. La danza vuole riconquistare il suo centro attraverso un corpo parlante e urlante che si mostra e si palesa, che non vuole ritrarsi: una silhouette che salta, rimbalza, cade a peso morto, rimbalza ancora e cerca un contatto con l’altro. Le strade di periferia diventano i luoghi dell’incontro, del contatto,“panorama infinito di personaggi che possiamo incontrare” (Massari).
L’uso di una maschera che mostra i segni del tempo è di forte impatto immaginifico e apre riflessioni sulla creazione e la trasformazione del personaggio. La maschera come un involucro-schermo che deve essere sfilato via o altrimenti pietrificarsi in una forma statica, è un espediente interessante che introduce il concetto di metamorfosi. Togliersi la maschera equivale a cambiare pelle, a ricrearsi per creare. Massari anticipa anche che la maschera utilizzata in occasione di questo spettacolo, avrà un seguito e un’evoluzione. La danza diventa un mezzo per trasformare, per porre quesiti e deve essere politica (dal greco, πόλις ovvero città) e non politicizzata (Massari).
Carlo Massari pone la lente di ingrandimento sulle aree dimenticate e sui quarteri disagiati, a favore di una coesione dei luoghi e quindi della valorizzazione di un policentrismo della città tanto caro a molti Festival di Danza degli ultimi anni, di un coinvolgimento totalizzante del pubblico. Possiamo allora parlare non della rinascita dell’arte, ma di una forza prorompente che nasce e cresce per strada, dall’amore e dagli incontri.
Mi piace concludere questo incontro con il teatro di Carlo Massari con una nota citazione tratta dal teatro-danza di Pina Bausch: “Dance, dance, otherwise we are lost”.