Shakespeare parla in napoletano in Shakespea Re di Napoli, cult di Ruggero Cappuccio che attraversa con inarrestabile e inalterato successo da oltre 25 anni i palcoscenici italiani e che adesso debutta al Silvano Toti Globe Theatre (repliche fino al 6 settembre), il teatro elisabettiano nel cuore di Villa Borghese a Roma.
Non potrebbe esserci migliore collocazione per un siffatto spettacolo (il testo è pubblicato nella Collana Classici Einaudi) presentato per la prima volta nel 1994 al Festival di Sant’Arcangelo con la regia di Leo De Berardinis e diventato il più longevo degli spettacoli in Italia prodotto da un teatro privato.
La magia è ancora tutta là, inalterata come sempre in un affascinate e serrato dialogo a due che si gioca tutto fra Desiderio, interpretato da Claudio Di Palma, e il suo amico Zoroastro, cui dà voce e corpo Ciro Damiano, gli stessi bravissimi attori del debutto qui diretti con sobrietà da Ruggero Cappuccio.
Si racconta, si ricostruisce la storia di un’amicizia infranta, fra sogno, realtà e forse menzogna, ma tutto viene riproposto solo attraverso lo sguardo dell’evocazione, del suggerimento, le immagini sfuggenti e oniriche.
E se Shakespeare fosse sbarcato a Napoli e il viceré gli avesse ceduto il trono per una notte? È questo che immagina in qualche modo Cappuccio quando colloca sulla scena Desiderio e Zoroastro ricostruendo il loro incontro in un ininterrotto gioco di specchi e di rimandi, intuizioni, umorismo e debolezze umane.
Desiderio, ancora adolescente, lascia Napoli e lascia Zoroastro, suo fraterno amico, per raggiungere l’Inghilterra dove diventerà il maggiore (?) interprete dei ruoli femminili dei drammi del Bardo. Questo è quanto lascia intendere a Zoroastro Desiderio stesso quando ritorna a Napoli e senza risparmiare mai immagini e dettagli sull’arte, sulla necessità della bellezza, sulla rovinosa peste che costringe alla chiusura dei teatri londinesi, sulla morte. Per toccare anche il mistero di W. H., lo sconosciuto ispiratore dei Sonetti di Shakespeare che Cappuccio immagina possa essere proprio Desiderio, riconosciuto come tale anche dall’incredulo Zoroastro nel toccante finale che inneggia all’arte. Sontuosa e musicalissima la lingua ideata da Cappuccio che scrive il testo in settenari ed endecasillabi, in un napoletano del Seicento creato per l’occasione toccando i continui parallelismi con la lingua inglese. A ospitare il piccolo, prezioso spettacolo, la scena di legno del Globe con le scene e i costumi minimal di Carlo Poggioli illuminate dalle tragiche luci caravaggesche disegnate da Umile Vainieri. Repliche final 6 settembre, info su www.globetheatreroma.com.