Giunto alla 34esima edizione il Festival MILANoLTRE 2020 al Teatro Elfo Puccini di Milano si colloca a conclusione di un triennio che ha gettato lo sguardo verso Oriente e che proprio quest’anno avrebbe voluto concretizzarsi nel disegno di un ponte ideale tra il Bacino del Mediterraneo e la Via della Seta. Il progetto sarà realizzato interamente a due riprese tra le due stagioni 2020 e 2021. Il Festival ha aperto i battenti in grande stile con lo spettacolo Toccare, The White Dance, nuova produzione di Cristina Kristal Rizzo, a cui seguiranno sino al 10 ottobre ospiti molto interessanti della scena della danza contemporanea come Fabrizio Favale, Simona Bertozzi, Michele Di Stefano, Roberto Zappalà e molti altri nomi di spicco.
Toccare verbo e azione diventati ormai quasi un tabù nel quotidiano, è il titolo del nuovo spettacolo di Cristina Kristal Rizzo, coreografa e danzatrice toscana formatasi alla Martha Graham School of York, al Cunningham Studio e alla Trisha Brown Dance company. Le sue coreografie sono puri concetti in movimento libero che assumono consistenza (ma sono pur sempre inafferrabili) in corpi fluttuanti e leggeri in cerca di sè stessi che,come monadi pitagoriche, tornano all’ἀρχή (principio) dell’universo. Siamo all’insegna di meticolosità cinetica eppure naturale e di una eufonia totalizzante, di quella armonia musicale tanto cara al musicista francese Jean Philippe Rameau. Secondo Rameau, noto filosofo della musica e musicista tra Seicentro e Settecento, la musica sa esprimere, attraverso l’armonia, il divino ordine universale, ossia la natura stessa.
Lo spettacolo è una performance-concerto dove i corpi diventano partiture musicali che prendono vita sui brani di Rameau. Tratti da Les Pièces de clavecin, i brani del musicista francese vengono qui curati interamente con adattamento, direzione musicale e clavicembalo da Ruggero Laganà.
Sul palco a tracciare equilibri e disequilibri ci sono 4 danzatori: Annamaria Ajmone, Jari Boldrini, Sara Sguotti, Kenji Paisley-Hortensia. Perfezione delle linee e ritmi accattivanti assumono un andamento incalzante identificandosi con gli accenti di un flauto ipnotico dal suono di evocazioni ferine (di Antonella Bini).
L’ingresso elegante e misterioso di una raffinata Cristina Rizzo avvolta da un abito dark luccicante, introduce e enfatizza un lavoro incentrato su precisione analitica esecutiva del tratto gestuale, che rende questo spettacolo una partituta coreutica di distanze-vicinanze concettuali, di spazi mentali che diventano scatole apribili e aperte. Nella prima parte i corpi non si toccano mai, come in un percorso in cui rirovare sè stessi per ritrovare l’altro. Le atmosfere diventano oniriche e quasi arcaiche e rituali, i volti esprimono nostalgiche memorie, i moti diventano vortici di anime che fuoriescono dall’involucro del corpo per innalzarsi (si susseguono camminate in punta di piedi) per restare sospesi e per poi raggiungere il tocco, il toccarsi appunto, delle anime.
Siamo davanti a un percorso graduale e infallibile dal concreto all’astratto, dal terreno al divino.
Un senso di sospensione raggiunge l’apice quando i corpi danzanti salgono su superfici sopraelevate, i suoni si fanno più dark e concreti. Accessori come guanti luccicanti illuminano una scena più buia. I corpi e i movimenti da precisi e reiterati, subiscono una metamorfosi erotica (da Ἔρως, amore): ondeggianti e liberi, sono in simbiosi con le melodie orientaleggianti di Rameu, ne hanno seguito l’evoluzione dall’inizio alla fine. La scelta del numero 4 (4 danzatori) non è casuale, considerando che questo numero è manifestazione di ciò che è concreto, del moto, dell’infinito, della completezza e della forma geometrica del quadrato.
Le notevoli percussioni di Elio Marchesini contribuiscono sino alla fine a dare una nota ritmica originale, di forte impatto immaginifico e di coinvolgimento verso un desiderio di evasione.
The White Dance lascia il senso del toccarsi come sfiorarsi restando sospesi, come un sentirsi reciproco in un’armonia ritrovata e da tempo persa. Rizzo lascia così l’idea di una nuova “poetica del conoscersi”, in un periodo in cui ri-conoscersi è difficile.