La scena buca il buio del palco con l’avanzare claudicante di una figura in preghiera. È un “Padre Nostro” modificato, che tornerà a ripetersi in scena.
È il dottor Frankenstein (Francesco Aiello), deluso dalle sue illusioni, affranto dalla realtà, torturato dalle esperienze.
È un dialogo inquieto tra creatore e creatura, dottore e mostro, padre e figlio.
La “Creatura” (Fabrizio Pugliese) dimostra volontà e amor proprio, manifesta desideri, bisogni, progressi, istinti umani (e violenti).
Si è dinanzi a secche scene di violenza alternate a surrogati di dolcezza familiare, odio e amore malato.
“Lo spettacolo – si legge nelle note di regia – è focalizzato sul rapporto tra i due personaggi, il dottore-creatore e il mostro-creatura e concentra l’azione in un momento ben preciso, quello in cui la creatura prende coscienza della sua condizione di alterità, dell’anomalia di essere generato oltre natura, in modo artificiale, senza storia, senza memoria, solo con una serie di desideri urgenti e forse irrealizzabili. La scena è una stanza-laboratorio in cui si intravedono i precedenti esperimenti del Doctor: creature imperfette, inanimate, manufatti inutili; un luogo dove si intuisce l’irrefrenabile voglia di lasciare qualcosa ai posteri, di registrare l’accaduto, di documentare l’evento, quello della creazione, anche se innaturale e mostruoso. È nello scontro fra queste due figure, fra queste due umanità malate, che si dipana l’azione drammatica, senza rinunciare a momenti di distaccata ironia, attimi di folle lucidità dei personaggi, spazi narrativi in cui porre domande e questioni etiche alte. Questioni che sfuggono al controllo dei personaggi stessi, domande da porre con un sorriso, ma col rischio continuo di provare vertigini infinite”.
C’è, da parte del “figlio” un desiderio anelato di umanità, implorato a chi di umanità è rimasto senza; privato dell’amore vero, da chi d’amore doveva arricchirlo.
Si gioca sul piano della rassegnazione e desiderio di affermazione del dottore, in contrasto con la voglia di vita, “normalità” e rivendicazione della “creatura” foriera di morte (forse inconsapevole?).
Si parla di torture e affetti, uccisioni e tenerezze, dolori e amore, mancanze e vendette, con una naturalezza perturbante.
La musica, curata da Remo de Vico, più volte diviene argomento di confronto tra i due protagonisti:
“Cos’è musica?”
“Il silenzio è solo una delle infinite musiche possibili”.
Non ci resta che attendere future repliche e augurare un forte in bocca al lupo a questo progetto che torna a far vivere, dopo troppo tempo, una accenno di normalità all’arte e al teatro.
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Drammaturgia Francesco Niccolini
Di e con Francesco Aiello e Fabrizio Pugliese
Musiche di Remo De Vico
Responsabile tecnico Jacopo Andrea Caruso