Fabio Strinati è nato a San Saverino Marche, provincia di Macerata, in quello che – probabilmente – doveva essere un giorno freddo: il 19 gennaio del 1983. Contadino, uomo che lavora nel sociale, pianista e compositore. Collabora con alcune Case Editrici – è il direttore della collana Poesia per Il Foglio Letterario – e scrive poesie. Dal lontano 2014 ha pubblicato diverse raccolte, quasi come se fosse baciato dalla Musa o dalla fortuna. Eppure, al netto di ogni debole banalità, la poetica di Fabio Strinati ha radici precise e compiute. La sua voce è calma, è da uomo che si sveglia all’alba, come lui stesso conferma, il timbro sereno e in pace.
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Quale ragione l’ha condotta fino al verso, alla poesia?
Scrivo per passione, in primo luogo. Eppure, dietro ogni verso, c’è una precisa questione terapeutica. Sono una persona schiva, riservata. Persino timida. La scrittura mi concede di aprirmi con maggiore naturalezza. È un modo per entrare in sintonia, in armonia con il mondo e coloro che lo abitano.
Chi l’ha ispirata, ammesso – e non concesso – che qualcuno l’abbia fatto?
Molti, moltissimi scrittori che ho letto e continuo a leggere. Dai racconti di Edgar Allan Poe a Tiziano Sclavi, da Cardarelli a Montale. Walt Whitman, però, è il mio preferito. Foglie d’erba mi ha spalancato le energie del mondo, aprendomi scrigni di scrittura e di contenuto. In un certo senso, ho iniziato a scrivere grazie a Whitman, grazie a queste sensazioni.
Quando scrive? E cosa la porta alla realizzazione di un componimento?
Scrivo al mattino se non, addirittura, all’alba. Credo di essere un artista atipico, non vivo la notte. Mi addormento presto per svegliarmi con la prima luce del sole: le parole mi arrivano con più facilità e attraverso i cinque sensi riesco ad assorbire la linfa vitale.
Sul web, Lei è presente sul Portale Anarcopedia. Il suo rapporto con l’anarchismo è compatibile con la Sua poesia?
Io credo di sì: tutto può esistere. Ogni anima deve trovare il suo canale e il suo percorso. Ho un rapporto molto particolare con la politica. Mi definisco un anarchico. Sono pacifista, rispetto l’ambiente e ho un mio credo alimentare. Odio la violenza. Ho lottato contro il femminicidio, sostenuto i diritti delle donne e la mia veste di anarchico mi è calata addosso in maniera naturale. Non ricordo nessuno capace di rappresentarmi. Le mie conquiste sono solitarie. Del resto, se un essere umano è dotato di saggezza, consapevolezza e rispetto per il prossimo, a cosa può servire qualcuno che lo indirizzi, lo comandi?
Il Suo stile è particolare, anche nella punteggiatura. Ho riscontrato un uso frequente dei puntini di sospensione. È in evoluzione oppure crede di avere una maniera ormai cristallizzata?
In ogni libro c’è sempre la mia identità, c’è sempre il mio DNA, ma forma e stile cambiano e si evolvono costantemente, alla pari del contenuto. Amo sperimentare: mi tiene vivo. . Nasce anche da qui l’idea dell’ultimo libro, che è bilingue: in italiano e in esperanto. La punteggiatura è interiore: i puntini di sospensione li vivo, da musicista, come tregua, come respiro.
L’ultimo libro, appunto. “Oltre la soglia, uno spiraglio”…
È stata un’esperienza meravigliosa. È un libro scritto in italiano ed esperanto, realizzato a quattro mani con l’esperantista e amico Massimo Acciai Baggiani, persona stupenda e preparata. Abbiamo cominciato a scrivere nel luglio del 2017. Poco dopo, Amerigo Iannacone, altro straordinario esperantista, è venuto a mancare. Gli abbiamo dedicato la raccolta.
Com’è scrivere poesia con un’altra persona, un’altra sensibilità?
Intenso. Difficile, ma è bello vedere due sensibilità che si fondono e si rincorrono.
E il verso più bello, Strinati?
Banalmente? Lo devo ancora scrivere.
Poi apre una sua raccolta, “La Calabria e una pagina”, e legge. La speranza – quasi una certezza – che abbia ragione.