Renato Carpentieri è un artista giunto a quel magistero essenziale e profondo, a quell’accento insieme intelligente e fantastico, che appartiene solo ai maestri. Classe 1943, nato a Savignano Irpino, in provincia di Avellino, è dotato di un eclettismo che gli permette di spaziare, in teatro e al cinema, dal registro brillante al drammatico, dal tono serio al grottesco, non perdendone mai in leggerezza e profondità. È un attore e un regista teatrale certosino, oltre che un operatore culturale e un pedagogo generoso. «Carpentieri è innanzitutto un intellettuale», afferma Grazia D’Arienzo, autrice della monografia Renato Carpentieri. L’attore, il regista, il dramaturg edita da Liguori, «il suo approccio al teatro comprende, da un lato, la conoscenza delle diverse correnti teoriche della scena, dall’altro, la dimestichezza con una grande quantità di testi drammatici, spesso poco frequentati. È poi un lettore vorace di romanzi», aggiunge, «non è un caso che spesso attui trasposizioni di opere non teatrali».
D’Arienzo ha conseguito il Dottorato in Metodi e Metodologie della Ricerca Archeologica e Storico-artistica con una tesi in Discipline dello Spettacolo. Svolge attività didattica presso il Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale dell’Università degli Studi di Salerno, dove collabora con le cattedre di Drammaturgia e di Storia del teatro. I suoi attuali interessi di indagine vertono sulle tangenze fra teatro e tecnologia e sugli adattamenti delle opere di Samuel Beckett. L’incontro con Renato Carpentieri, comunque, non è avvenuto sui libri, ma prima di tutto sulle tavole del palcoscenico. «Sono stata sua allieva durante i tre anni in cui ha diretto il Centro Universitario Teatrale di Salerno e la Compagnia d’Ateneo. Ho avuto modo di conoscerlo sia come regista che come attore: il lavoro operativo condotto insieme a lui è stata una preziosa esperienza di affiancamento al mio percorso di studi». Al punto da farne un oggetto di studi vero e proprio. «Il suo modo di guardare alla scena, la meticolosità nella costruzione dello spettacolo e nell’elaborazione del personaggio, mi hanno affascinata e incuriosita», spiega la studiosa, «ho dedicato alla sua figura la mia tesi di laurea magistrale in Scienze dello Spettacolo e della Produzione Multimediale. Grazie a un progetto di ricerca accademico ho poi approfondito il testo, che è diventato in seguito il saggio pubblicato dalla Liguori».
Scrivere il libro è stato un viaggio sia nella biografia personale che in quella artistica di Carpentieri. «Ho potuto consultare i documenti del suo archivio privato a Napoli e l’ho intervistato in diverse occasioni a proposito del suo percorso di regista e interprete. Le biografie si intrecciano del resto sempre con la Storia: quella del Sessantotto napoletano, del passaggio del Living Theatre e di Jerzy Grotowski in Italia, degli esperimenti di Roberto Bacci a Pontedera, e così via». Nel corso della sua carriera ha sperimentato tutte le diverse funzioni del processo di creazione-per-la-scena, specchio, probabilmente, di una formazione che Grazia D’Arienzo definisce “irregolare”. «Renato Carpentieri non ha calcato il palcoscenico sin da giovane, né ha frequentato un’Accademia teatrale», chiarisce, «l’avvicinamento all’arte performativa è avvenuta attraverso la militanza politica, in particolare con la programmazione di eventi agit-prop o dedicati alle manifestazioni artistiche popolari. La scelta del teatro come canale primario d’espressione», precisa l’autrice, «è avvenuta relativamente tardi, all’età di trentatré anni».
L’approdo avviene nella seconda metà degli anni Settanta, quando, insieme ad altri soci, fonda a Napoli la cooperativa Teatro dei Mutamenti. Negli anni Ottanta compie importanti esperienze extra-partenopee (a Bologna con Claudio Meldolesi, a Pontedera con il già citato Bacci, a Milano con Dario Fo), diventando poi co-direttore del Teatro Nuovo di Napoli. «I primi ruoli cinematografici risalgono a questo periodo: è Gianni Amelio in particolare a introdurlo al mondo della celluloide, affidandogli la parte di Consolo in Porte aperte. Nel 1995 assume la guida della storica compagnia partenopea Libera Scena Ensemble, con la quale dà vita al progetto Museum. Negli anni recenti fonda, insieme a Valeria Luchetti, Il Punto in Movimento e le Officine Carpentieri. Attualmente è direttore della Scuola del Teatro Stabile di Napoli».
Renato Carpentieri. L’attore, il regista, il dramaturg analizza quindi un tragitto attoriale unico e irripetibile, attraverso la disamina di una rosa di ruoli approntati per la scena e per il grande schermo. D’Arienzo parla di duende, lo stesso termine che si attribuiva un mattatore come Giorgio Albertazzi. «Si tratta di un termine spagnolo che ho mutuato, in particolare, dal poeta Federico García Lorca. Potrebbe essere tradotto come “demone”, ma García Lorca lo intende come lo “spirito creativo” che anima l’artista. Al cinema lo vedo, per esempio, nel personaggio di Lorenzo, il protagonista de La tenerezza di Gianni Amelio, che è valso a Carpentieri il Nastro d’argento e il David di Donatello come Miglior attore protagonista, oltre al Globo d’oro e al Ciak d’oro come Migliore interprete. Per il teatro è impossibile pensare a un solo ruolo: direi Falstaff per il filone comico e Gustavo Modena per quello serio».
Al pari della sua carriera, il suo rapporto con il patrimonio teatrale napoletano è singolare, perché quest’ultimo è sempre inquadrato entro un orizzonte di senso più ampio, sospinto verso la contaminazione con ciò che gli è estraneo. «Penso a esperimenti quali Piedigrotta Viviani-Piedigrotta Cangiullo, in cui, nelle vesti di Marinetti, combina paroliberismo futurista e poesia vivianea; Resurrezione, dove il sistema linguistico dialettale è chiamato a esprimere i concetti di Chuang-tzu, Chang Heng, Lu Hsün e Hans Magnus Enzensberger; Ciuccio Pulcinella alla corte di Scapallò, tentativo di fusione tra la trama di un dramma nō giapponese e le battute di Petito. Quanto al suo lascito culturale rispetto al territorio di provenienza», specifica Grazia D’Arienzo, «la rassegna Museum (tenutasi per diversi anni alla Certosa di San Martino e purtroppo interrottasi per carenza di fondi) è stata un progetto di assoluto interesse e rilevanza per la città di Napoli».
Il volume dà dunque conto anche della variegata e in gran parte inesplorata attività di regista, autore e dramaturg di Renato Carpentieri. Completano il saggio una teatrografia e una filmografia aggiornate e un’appendice fotografica per un uomo d’arte che lascia dietro di sé allievi, ma non eredi. «Sicuramente Carpentieri ha formato tanti giovani attori, ma ogni personalità artistica è unica e diversa dalle altre. Non parlerei tanto di “eredità”», conclude D’Arienzo, «quanto della trasmissione di un metodo teso alla ricerca personale, non prescrittivo, ma aperto alle sollecitazioni più eterogenee».