Paola Crisostomidis Gatti, Messinese di nascita, è una poetessa sensibile e tagliente capace di trovare poesia in ogni istante della vita. Ha vissuto in diverse città italiane. Attualmente si divide tra Roma e Firenze. Dopo la Maturità Classica si è laureata in Giurisprudenza, per lavorare poi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. È stata premiata in vari concorsi letterari e le sue poesie sono state pubblicate su antologie e riviste. È stata membro di giuria del concorso fiorentino “Giubbe Rosse Inediti 2018”. Attualmente cura le rubriche Si alza il vento e Una poesia al giorno sul blog RMagazine.it. Nel 2017 ha pubblicato presso Giuliano Ladolfi Editore “Istanti lunghi come coltelli”. Prossimamente uscirà la nuova raccolta “L’imperfezione della solitudine” presso Edizioni Ensemble. Si potrebbe aggiungere molto altro. Ma lasciamo che siano le sue parole a raccontarci qualcosa in più.
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Ci vuoi raccontare di cosa parla questo tuo ultimo lavoro letterario?
Nel 2017 ho pubblicato Istanti lunghi come coltelli presso Giuliano Ladolfi Editore. L’idea del libro è nata in un periodo di sofferenza, dovevo elaborare due lutti contemporaneamente. La poesia mi ha aiutata a gestire il dolore e la perdita di punti di riferimento, ha sempre avuto per me una funzione terapeutica, è la mia medicina dell’anima. Non dimentichiamoci che la poetry therapy, nata a New York nel 1959, è inserita tra le branche dell’Arte Terapia (“La poesia / Ma cos’è mai la poesia? (…) / Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo / Come alla salvezza di un corrimano”. Wislawa Szymborska, da Ad alcuni piace la poesia).
La raccolta, che è divisa in cinque sezioni, attraversa le fasi della mia vita passando dal dolore alla consapevolezza e, infine, alla rinascita. Il titolo Istanti lunghi come coltelli rappresenta l’attesa di amore, l’attesa di una guarigione dal male di vivere. I coltelli invece feriscono, fanno male, come l’attesa.
C’è un altro libro a cui sei particolarmente legata, anche non tuo? E perché?
Sicuramente Guardami sono nuda di Antonia Pozzi. È un libro che porto sempre con me, ormai è diventato il mio portafortuna. È stata Rory, la mia amica d’infanzia, ora giornalista e scrittrice, a farmela conoscere, affermava che le mie poesie le ricordavano la poetessa. Devo dire che, dopo averla letta la prima volta, mi sono venuti i brividi. Mi sono riconosciuta. È stato un vero e proprio colpo di fulmine.
Qualche riconoscimento, anche personale, di cui vai fiero?
Generalmente non partecipo ai concorsi letterari. Tuttavia nel 2017 ho partecipato al concorso letterario inediti delle Giubbe Rosse perché particolarmente legata a quel luogo e sono stata premiata con la poesia A mio padre (il soldato). Questo è il riconoscimento del quale vado più fiera, l’ho vissuto come un regalo fatto a mio padre scomparso da poco. L’anno dopo ero in giuria nello stesso concorso.
Quale peso o responsabilità credi che abbia la cultura nella società di oggi?
La cultura deve essere vista come una forma attiva di partecipazione civile e sociale, di opposizione all’appiattimento culturale sempre più diffuso. Credo che uno dei doveri principali di chi diffonde cultura sia quello di promuovere valori di pace, uguaglianza e solidarietà. La cultura in senso lato deve essere portata in mezzo alla gente, nelle piazze come resistenza al degrado. È necessaria, inoltre, per educare le nuove generazioni a vedere e a proteggere la bellezza che ci circonda, a insegnare loro ad acquisire una visione più ampia di bellezza.
Quale rapporto hai con la città nella quale vivi, anche come fonte di ispirazione?
In realtà ho sempre vissuto senza radici, mio padre era un militare, ogni anno, o al massimo due, dovevo cambiare città e ricominciare. La necessità del cambiamento è ormai così radicato da non poterne fare a meno e mi porta a dividermi tra due città, Firenze e Roma. Firenze è la città dell’anima, non riuscirei a farne a meno, la amo e la odio come un grande amore, è stata la mia maestra di vita e di gusto estetico, ogni suo angolo è per me un’emozione, un ricordo. Roma è la città del lavoro, ma anche dell’accoglienza, qui ho trovato persone che non mi hanno mai fatto sentire sola. E poi degli affetti importanti, mio figlio e mia madre vivono qui. Roma è dentro di me per un bisogno di abitudini, infatti, mentre Firenze è un dolore acuto e una gioia infinita a fasi alterne, Roma è un amore tranquillo, un po’ come un lungo matrimonio dove non ti aspetti grandi emozioni, ma ti senti protetta e perfettamente a tuo agio. Poi io amo la metropoli, il caos, lo smog. Non riesco a pensare e a scrivere nel silenzio. Nel silenzio mi cresce l’ansia dentro.
Cosa pensi della collaborazione e della condivisione tra artisti e scrittori?
Credo che ci sia una strettissima corrispondenza tra l’arte nelle sue varie forme, la letteratura e la poesia. Gli artisti dovrebbero collaborare tra loro come succedeva nel passato, forse si è un po’ perso questo aspetto, ma dovrebbe essere ripreso. Penso che l’arte debba farsi voce unica per potersi valorizzare.
Parlando dei tuoi scritti ricordi un passo a memoria? Come mai proprio questo?
Ricordo a memoria una breve poesia, quella che chiude il libro Istanti lunghi coltelli: Lontano / dove corre il tuo riso / là / vorrei essere. È il ricordo di una foto dove lui, il mio amore scomparso, mi guarda e sorride da lontano. Rappresenta il desiderio di ritrovarlo e nello stesso tempo la consapevolezza che non sarà più possibile.
Chi sono i tuoi riferimenti letterari o artistici in generale?
Il liceo classico ha sicuramente avuto un’influenza importante sulla mia formazione culturale e letteraria, mi ha sempre affascinato la letteratura greca e in particolare i lirici greci e la poetessa Saffo.
Pavese è stata la passione dell’adolescenza, ma sono state fondamentali nella ricerca di un mio stile letterario le poetesse Sylvia Plath, Antonia Pozzi, Marina Cvetaeva e Alejandra Pizarnik. Diverse tra loro, però unite da una grande sofferenza di vita, sofferenza che hanno tentato di esorcizzare attraverso la poesia.
I miei riferimenti attuali li ritrovo nelle poesie di Alida Airaghi e di Chandra Livia Candiani, i versi di queste due poetesse hanno una potenza emotiva straordinaria.
Sicuramente i lettori di Teatrionline vorranno sapere: qual è il tuo rapporto con il teatro?
Sono stata abituata fin da piccola ad andare a teatro. Ricordo che avevo solo otto anni quando con mia madre, che aveva l’abbonamento alla Pergola di Firenze, andai a vedere Il giardino dei ciliegi e le Tre sorelle di Checov! Grazie a lei ho avuto la fortuna di conoscere grandissimi attori. Devo dire che mi ha sempre emozionato la connessione che si instaura tra gli attori sul palco e gli spettatori in platea, è questa la magia del teatro. Amare il teatro, andarci e osservare le passioni dei personaggi in scena, apre un varco verso noi stessi, ci permette di scoprire le sfaccettature del nostro io. Il teatro, inoltre, è un veicolo sociale potente, perché diffonde l’arte, la cultura e la bellezza. Anche solo entrare in un luogo come il teatro regala un senso di bellezza. Credo che questa sensazione arrivi a tutti in maniera trasversale, a prescindere dal livello culturale o sociale. Il mondo del teatro è sicuramente un veicolo di messaggi positivi, per questo è importante che il teatro sia un luogo accessibile a tutti, soprattutto ai giovani.
Ci vuoi anticipare qualcosa del tuo lavoro poetico di prossima pubblicazione?
Prossimamente uscirà la nuova raccolta L’Imperfezione della solitudine presso Edizioni Ensemble. Anche qui troviamo cinque sezioni rappresentate da altrettante figure femminili che all’interno di un cerchio immaginario affrontano il passaggio dall’Unico all’Universale come naturale processo di evoluzione. “La grande solitudine interiore” di Rilke diventa imperfetta nel momento in cui nasce il bisogno dell’altro. È un bisogno che stravolge l’esistenza e porta a percorrere strade alternative. Così la partenza e il ritorno a percorsi solitari diventa cura e amalgama all’universalità dell’amore.
Paola Crisostomidis Gatti è una poetessa sensibile e tagliente, capace di trovare poesia in ogni istante della vita.