Cinzia Della Ciana è una verace toscana di origine poliziana, oramai d’adozione aretina, è una scrittrice e poetessa ostinata per la vita. Nella sua infanzia ha peregrinato assai per questa meravigliosa regione, sì che avendone abitati molti, non è legata come dice lei stessa a un campanile solo, ma li ama tutti, figlia di una Terra dove paesaggio si fa cultura. Avvocato di professione dal 1991, scrive di prosa e poesia per intima e impellente – più recente – vocazione. Parallelamente agli studi giuridici compiuti presso l’Ateneo fiorentino ha seguito al Conservatorio di Perugia quelli pianistici che con dolore poi ha abbandonato avendo scelto di vivere nella più ortodossa via del diritto. Ma la formazione musicale, rimasta quiescente per tanto tempo, a “mezzogiorno” della sua vita è riemersa prepotentemente e con essa la voglia di tornare a suonare, questa volta con lo strumento affinato nell’esercizio dell’avvocatura: le parole. Di qui il suo motto “del suonar colle parole”, sì perché le parole sono diventate le sue note che combina e manipola per comporre un pezzo. L’anno del suo esordio è il 2014 in narrativa con il racconto. Il suo racconto “Lacrimosa” viene pubblicato in “Racconti nella rete” (Nottetempo, 2014), fra i vincitori dell’omonimo premio. Contemporaneamente esce la sua opera prima, la raccolta di racconti dedicata alle donne dal titolo “Quadri di donne di quadri” (Aracne, 2014). Nel 2015 colleziona riconoscimenti sui racconti editi, ma anche per una raccolta inedita dal titolo “Grumi sciolti”, poi ultimamente pubblicata. Partorisce poi il romanzo familiare “Acqua piena di acqua” (Effigi, 2016) anch’esso con focus al femminile. La curiosità è che l’opera finisce con una poesia e questa soluzione le rende naturale il passaggio a pubblicare la silloge poetica “Passi sui sassi” (Effigi, 2017), dove trovano collocazione le liriche che in quegli stessi anni aveva composto. La poesia di “Passi sui sassi” diventa un vero e proprio spettacolo dal titolo “Accordi di versi: quattromani di donne, la poesia al pianoforte” che ha realizzato con l’amica pianista Leonora Baldelli. Così arrivano gli esercizi in chiave umoristica, gli ormai noti “Solfeggi” (Helicon, 2018), una raccolta di racconti che tratteggia in modo ironico spaccati di ordinaria follia quotidiana. Il volumetto rivela anch’esso una vocazione teatrale, tanto che con la soprano Gaia Matteini e il Prof. Andrea Matucci danno luogo a una vera e propria pièce di “Solfeggi parlati e cantati”. A maggio del 2019 si tempra la sua ostinazione del “suonar colle parole” e pubblico “Ostinato” – Suite in versi (Helicon Edizioni), raccolta di poesie che si propone come una vera e propria partitura con tanto di agogica destinata a essere eseguita dallo stesso lettore. A primavera del 2020 sono voluti nascere – decidendo che questo era il loro presente – sempre per i tipi Edizioni Helicon, i famosi “Grumi sciolti” (che nel frattempo si sono arricchiti e sono diventati ben 18 racconti e non solo!): un libro da leggere “a voce alta”, specie in un momento dove si ha bisogno che le emozioni travalichino l’interiorità e diventino esperienza individuale e collettiva. Si potrebbe aggiungere molto altro. Ma lasciamo che siano le sue parole a raccontarci qualcosa in più.
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Ci vuoi raccontare di cosa parla questo tuo ultimo lavoro letterario “Grumi sciolti”?
L’ultima mia fatica è una raccolta di racconti dal titolo “Grumi sciolti” uscita nell’aprile del 2019 per i tipi di Helicon Edizioni. Con Grumi torno al mio primo amore, cioè la forma breve – i racconti – con i quali avevo iniziato nel 2014 (Quadri di donne di quadri, Aracne). Se la guardi da lontano la vita – di un individuo o di una collettività – è come l’immagine che esce da un telescopio puntato sul cosmo. La storia è un quadro in divenire, in cui qua e là si osservano “grumi”, cioè “luoghi di addensamento”, “momenti di intenso ammasso”, in cui ogni componente fluida si perde e resta solo materia, materia che si coagula e si rapprende chiudendosi a giro. Ma poiché tutto è movimento, anche questo processo di avvitamento non si sottrae alla legge del divenire, e il grumo si evolve in una spirale che lo porta inevitabilmente a spandersi. Ovvero a sciogliersi, a nebulizzarsi lasciando a galleggiare in sospensione grani. Grani che a loro volta sono nuclei di potenziali nuovi grumi. Avendo negli occhi questo quadro ho dato la parola a un narratore che apre e chiude la raccolta usando una tecnica narrativa e stilistica che richiama proprio la dinamica del “grumo sciolto”. Il classico espediente della cornice, che tiene i racconti, qui in vero è elastico, continua variazione del tema madre. La voce narrante, che si presenta come un grumo arso ignaro dell’acqua che lo culla, ad un tratto si lascia invadere da una condizione di liquidità che lo rende granello fluente, inarrestabile narratore. Che passerà in rassegna storie di grumi, e poi storie – quasi visioni – di grumi sciolti, fino a snocciolare storie di grani (tre sono le sezioni che raccolgono i racconti). E quando avrà finito l’ultimo racconto il narratore sentirà il bisogno di trattenere qualcosa tra quelle sue dita che ormai sono sciolte e non vogliono più serrarsi vuote. Raccontare sarà il suo predicare, come una preghiera. Un piccolo scorcio sulle sezioni che articolano il libro. Nella prima “Grumi” protagoniste sono donne che si trovano in un particolare momento della loro vita e debbono compiere una scelta, nella seconda “Grumi sciolti” il mondo si dilata in un variegato quanto onirico cosmo fatto di passioni, emozioni, mito e leggenda che nella terza parte diventa “storia” (emblematico l’omaggio a Elsa Morante). La prefatrice Letizia Cirillo ha colto nel segno nel momento in cui ha dichiarato che è un libro che va letto a voce alta, perché esaltando la sensorialità che lo anima, si può trasformare l’esperienza individuale della lettura in esperienza collettiva di condivisione. Secondo alcuni è “prosa che accarezza la poesia” (Federico Migliorati) ovvero “poesia travestita” da racconto (Stefano Pasquini). Matucci poi, data per ammessa l’equivalenza romanzo – cinema, segnala che la mia tipologia di racconto pretende la concentrazione dello scrittore e del lettore su pochi, risolutivi fotogrammi. In effetti nei miei racconti, quasi sempre, tutto confluisce in una sorta di “buco nero” che dilata solo nel pensiero dei personaggi un tempo narrativo anche lunghissimo, e attrae al contempo dentro di sé tutto il significato di vicende che possono essere le più varie. Racconto dunque come massima concentrazione “fotografica” su un nodo che la vita ha lungamente preparato.
C’è un altro libro a cui sei particolarmente legata, anche non tuo? E perché?
La Divina Commedia. È un’opera in cui è stato scritto tutto. Non si può viaggiare da nessuna parte se non si è percorso questo cammino. Lingua, storia, poetica, invettiva e tenerezza, armonia e dissonanza, la mia “toscanità”.
Qualche riconoscimento, anche personale, di cui vai fiera?
Vivere.
Quale peso o responsabilità credi che abbia la cultura nella società di oggi?
Sollecitare la curiosità, diffidare dall’omologazione.
Quale rapporto hai con la città nella quale vivi, anche come fonte di ispirazione?
Ho la fortuna di vivere in Toscana dove il cielo è più vicino alla terra, dove l’uomo ha trasformato il territorio in paesaggio, dove la storia è il presente. Ho l’onore di abitare in Arezzo, terrà di Grandi che attestano che il genius loci esiste: da Guido Monaco a Petrarca, da Michelangelo e Vasari, da Mecenate a Piero della Francesca solo per esemplificare.
Cosa pensi della collaborazione e della condivisione tra artisti e scrittori?
Il confronto fra autori è fondamentale, il momento della convivialità artistica è stimolante, la collaborazione fucina di creazione. Per quanto mi riguarda sono molto aperta al confronto e amo le “contaminazioni” cioè eventi perfomanti in cui la letteratura incontra e si completa con altre discipline: dalla musica, alla poesia, alla pittura fino alla danza. Alcuni miei libri, infatti, sono diventati veri e propri spettacoli, ad esempio “Passi sui Sassi” è diventato “Accordi di versi: quattro mani di donne al pianoforte” oppure “Ostinato” ha dato luogo a una pièce dal titolo “Ostinati per la vita” a favore di un’associazione per la lotta contro il cancro. Insomma mi lascio trasportare in esperienze in cui cerco di coinvolgere il pubblico da vicino, scrivendo anche atti unici che poi diventano parte di un percorso artistico più ampio.
Parlando dei tuoi scritti ricordi un passo a memoria? Come mai proprio questo?
Per rifarmi a Grumi sciolti e al suo intrecciarsi con la poesia mi piace ricordare che questo libro è dedicato alla vita. ”qua sine proposito vaga est” agganciando a questa un’altra citazione poetica (il mio caro Montale) con cui termina uno dei racconti, “La roba”. “La vita era questo scialo di trita roba fatta e accumulata. E anch’io ero inventariata”.
Chi sono i tuoi riferimenti letterari o artistici in generale?
Dopo aver citato Dante…
Sicuramente i lettori di Teatrionline vorranno sapere: qual è il tuo rapporto con il teatro?
Rispondo con questa mia poesia tratta da “Ostinato-Suite in versi” Helicon 2018:
A teatro
(Quasi solfeggiato)
In uovo cavo,
dove il cielo è Tiepolo
acceso e sceso
di rosso tinto è l’avorio intorno,
dentro io palpebro.
E in quella tenda
che alzo e chiudo
orizzonte di pirata
l’occhio mio si benda.
(al Teatro Dovizi in Bibbiena)
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Suonar colle parole al mondo.
Cinzia Della Ciana è una scrittrice e poetessa ostinata per la vita.