Parlando di regia, sia essa di prosa o lirica, siamo abituati a pensare che sia un concetto contemporaneo quando, in realtà, ciò che per noi è contemporaneo è l’autorialità; termine con cui si fa riferimento alla valenza che un dato artista dà agli elementi drammaturgici e scenici. La stessa espressione “messa in scena” affonda le proprie radici nella fase più arcaica della nostra storia del teatro, nell’Antica Grecia, quando con “coregia” si indicava un tipo di liturgia per cui un ricco cittadino si assumeva le responsabilità e le spese dell’allestimento di un coro tragico o lirico: incarico poi affidato direttamente ai tragediografi. Il vero interesse per l’organizzazione scenica si è però manifestato parallelamente all’affermazione dell’opera in musica e della gestione impresariale delle compagnie teatrali, quindi dai primi decenni del Seicento; non a caso, le prime linee guida per l’allestimento operistico – soprattutto per quanto riguarda la gestualità, l’apparato scenografico, ecc. – ci vengono fornite da Marco da Gagliano nella prefazione “Ai lettori” dell’edizione musicale del 1608 della sua Dafne. Di seguito riportiamo un breve estratto delle indicazioni per l’interprete del personaggio di Apollo:
“Quando Apollo pronuncia il verso Faran ghirlanda le tue fronde e i rami virgole avvolgasi quel ramoscello d’alloro, sopra il quale si sarà lamentato, intorno alla testa, incoronandosene; ma perché qui è alquanto di difficoltà, voglio facilitarvi il modo per fare questa azione con garbo punto. Scelgasi due ramoscelli dall’alloro eguali, non di più lunghezza che di mezzo braccio, e congiungendoli insieme leghinsi le punte, e con la mano tenga uniti i gambi, di maniera che appariscono un solo. Nell’atto poi di volersene coronare, spiegandoli, se ne cinga il capo, annodando i gambi insieme”.
La citazione conferma l’importanza che il musicista fiorentino conferiva ai cantanti, al perfezionamento della loro esibizione ed evidenzia, con le sue stesse parole, come “l’intelletto vien lusingato in uno stesso tempo dalle più dilettevoli arti” tra cui “[…] la leggiadria di ballo e di gesti, e…la pittura per la prospettiva e per gli abiti”.
“La Dafne” venne dunque rappresentata a Mantova, appunto nel 1608, in occasione delle nozze di Francesco Gonzaga e Margherita di Savoia e non ci sorprende che ottenne un tale successo che persino Jacopo Peri – “incontrato” la scorsa settimana insieme alla sua “Euridice” – ne abbia tessuto le lodi per senso artistico e capacità compositiva. Adesso vediamo più da vicino il contenuto dell’opera, composta da un Prologo e sei scene. La prima delle sette parti presenta il poeta Ovidio mentre introduce la vicenda, che porterà alla sofferenza di Apollo per la trasformazione della sua amata Dafne in alloro. La storia ha inizio dalle preghiere delle ninfe e dei pastori agli dei, affinché li liberino dal mostro che distrugge i loro campi e viveri; preghiere che vengono presto esaudite, grazie all’intervento del Dio del Sole che sconfigge il drago (Scena I). Poco dopo l’eroe incontra Venere e suo figlio cieco Amore, di cui si prende gioco per la presunta scarsità nel tirare con l’arco; pertanto Cupido giura di non darsi pace finché le sue frecce vendicative non colpiranno anche Apollo (Scena II).
Non passa molto tempo prima che si presenti per il primo l’occasione più propizia: con una freccia colpisce il nemico, facendolo innamorare di Dafne, e con un’altra colpisce la ninfa portandola a rifiutare qualsiasi forma di amore; proprio per fuggire dal Dio del Sole, la Naiade si trasformerà in alloro (Scene III-IV). Dopo aver appreso del triste destino di Dafne, tutti i pastori e le ninfe piangono la sparizione della compagna, e Apollo con loro (Scene V-VI).
La suddivisione scenica viene chiaramente scandita dalla corrispondente suddivisione musicale; di seguito infatti vi riportiamo i titoli dei singoli brani, che introducono le scene:
Prologo
Da’ fortunati campi, ove immortali
Scena I
Tra queste ombre segrete (Pastore I, Pastore II, Ninfa I, Tirsi, Coro di Ninfe e Pastori).
Ohimè! che veggio, o Divo, o Nume eterno (Coro di Ninfe e Pastori).
Pur giacque estinto al fine (Apollo).
Almo Dio, che’l carro ardente (Coro di Ninfe e Pastori).
Scena II
Che tu vada cercando o giglio o rosa (Amore, Venere, Apollo).
Nudo Arcier, che l’arco tendi (Coro di Ninfe e Pastori).
Scena III
Per queste piante ombrose (Dafne, Pastore I, Pastore II).
Ogni ninfa in doglie e’n pianti(Coro di Ninfe e Pastori).
Deh, come lieto in queste piagge torno (Apollo, Dafne, Pastore II, Tirsi, Amore, Pastore I).
Una al pianto in abbandono (Coro di Ninfe e Pastori).
Scena IV
Qual dei mortali o dei celesti a scherno (Amore, Venere).
Non si nasconde in selva (Coro di Ninfe e Pastori).
Scena V
Qual nuova meraviglia (Tirsi, Pastore I, Pastore II).
Piangete Ninfe, e con voi pianga Amore (Ninfa I).
Sparse più non vedrem di quel fin oro (Pastore I e II).
Piangete Ninfe, e con voi pianga Amore (Coro di Ninfe e Pastori, Pastore I).
Scena VI
Ma, vedete lui stesso (Tirsi, Apollo).
Per chi volesse poi avere una visione d’insieme del testo, qui può trovare il libretto dell’opera: www.librettidopera.it › zpdf › dafneg