Un’opera, questa, di Luciano Postogna che divisa in cinque parti (Poesie di marzo, di aprile, di maggio, di giugno, di luglio) si estende in un climax ascensionale di palpabile elaborazione formale; la prima affidata ad una espressione più vicina alla tradizione nostrana di endecasillabi e sinestesie, le altre ad una ricerca di verticalità e concisione, di apoditticità e brevità metrica che la fanno nuova, diversa, più moderna, anche se ritengo la prima sezione la meglio riuscita, complessivamente parlando.
“Sei nei colori allegra oh Primavera, / tiepidi i tuoi aliti il contado avvolge, / gioisci natura al rinnovato evento. / Le piante spoglie di stagion brumale / or vanitose s’ammantano sciolte. / Limpido il ciel si riversa di luce / e di garrir redivivi si colma. / Sale il carretto sull’erta dai fianchi / impolverati e di bossi adornata, / porta verdure della stagion mite / come colori dell’arcobaleno / e ciuffi verdi che la brezza muove / come la fluente chioma di fanciulla. / Dal campanil i rintocchi s’effondono / ad annunciar un’incipiente sera. / Ora dormi paesetto di collina / domani sarà ancora Primavera” (Ben tornata Primavera). Poesia agile, snella, dove gli endecasillabi escono con luce accecante supportati da accessori di misura contrattiva ed estensiva. La versificazione si fa compagna di input emotivi che si esaltano in un gioco di spartiti sinfonici. C’è qui una grande compattezza fra dire e sentire: i verbi in iuncturae di significanti accostamenti seguono passo passo lo spartito dell’opera. Musicalità, eufonica scansione, oscillazione metrica che, col suo andare e venire, si fa misura di un essere polposo e vitale.
Questo vuole il poeta, sente la necessità di trasferire tutto se stesso, ogni parte del suo ontologico abbrivo, in versi loquaci e armonici. E lo fa ricorrendo a tutto ciò che la vita gli ha lasciato in eredità. E qui c’è la vita, il suo andamento temporale, la realtà della sua aspirazione, l’immaginazione e il volo in alto per ovviare ai patemi dell’esistere. Iniziare da questa poesia testuale significa entrare fin da subito nei meandri dell’animo del poeta; nei suoi marchingegni reificanti amore, dolcezze, melanconie, flussi, sensazioni; insomma vita in tutta la sua dispiegata sinfonia. Ma soprattutto significa leggere quanto la natura incida sulla poetica di Luciano Postogna. La primavera si fa giovinezza, a cui il poeta resta aggrappato con ogni suo brivido icastico. C’è qui la necessità di volere, di affidare alle latebre di Pan le emozioni che vibrano nel cuore dell’autore. E la poesia si fa concreta, visiva, fattiva in questa trasfusione dell’animo nei dintorni naturali. “Domani sarà ancora Primavera”, il messaggio visionario del poeta che vede un domani ricco di fiori, di profumi, di speranze che richiamano la bella stagione dei tempi andati. Questa è la primavera di Postogna. Un tempo che continua, imperterrito, a gridare amore e musica, sole e orizzonti, felicità e abbrivi; d’altronde è la memoria a constatare un reale che richiama, con tutta la sua bellezza, i giorni più felici della vita. La memoria, quel patrimonio che ognuno di noi si porta dietro e a cui ricorre in parte col proposito di allungare l’esistenza, in parte con quello di restare ancorati a fatti ed emozioni che ci videro pronti ad amare: “…Anch’io ero un uomo. / Ora m’inebrio di ricordi” […].
Nazario Pardini (dalla prefazione)
Luciano Postogna è nato nel 1942 a Trieste, dove a tutt’oggi risiede. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Pensieri nudi (2000), Ali d’Arcangelo (2000), Raggi rossi al tramonto (2001), Anatomia del vento (2002), Oltre ogni orizzonte (2003), L’ombra dell’anima (2006), Antologia (2020). È recensito nel terzo volume dell’opera Contributi per la Storia della Letteratura Italiana. Il Secondo Novecento, 2004, pubblicata da questa Casa Editrice.