Intervista a cura di Il Granchio in Frack
…Parlare di me non mi piace ma parlando di quello che mi piace parlo di me…
Non sono solita leggere l’ultima frase di un libro, ma è capitato. Poi ho letto tutto quello che precedeva quest’ultima riga e ho scoperto un racconto di vita appassionato e sincero. Lei si chiama Darinka Montiko, ha percorso l’Italia a piedi in solitaria e senza soldi. Poi ha ripetuto l’impresa in sella ad una bicicletta raccogliendo i sogni della gente; ha vissuto in diversi Paesi attraversando Continenti. È una viaggiatrice? Sicuramente, ma non solo. È una donna libera con una mente che sprigiona energia, un’anima sincera, un sorriso contagioso e rinfrescante.
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Bentrovata Darinka! La tua storia può sembrare una come tante, una ragazza che capisce di dover iniziare a pensare a se stessa e dedicare il suo tempo a fare ciò che gli piace. La storia che accomuna tante vite più o meno giovani, vite da carillon, con i piedi incastrati su un palco che gira e gira ancora e girando ti riporta sempre al solito punto di partenza. Una routine logorante che non ha via d’uscita. Almeno fino a quando non capisci che basta muovere un solo passo per venirne fuori. Qual è stato il tuo primo passo?
Ho capito quanto fosse prezioso il mio tempo e cosa ci volessi fare. Sopratutto, ho capito che se non sono felice io, non avrò mai niente da dare agli altri; star bene con se stessi è il primo passo importante da fare, qualsiasi sia la meta successiva. Per prima cosa ho quindi cercato la pace interiore; mentre muovi i primi passi allontanandoti da quel mondo scomodo nel quale ti sentivi un po’ estranea, impari a riempire la vita di cose che ti piace fare e che ti rendono felici. Quello che ho intrapreso nel 2014 è più di un viaggio, è la ricerca della mia felicità. Un cambio di vita per inseguire i miei sogni.
Il titolo della commedia di Giacosa ha fatto storia: “Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia, e non sa quel che trova”. Coraggio, fermezza e passione, è così che si dimostra alla vita chi è che comanda. Il tuo secondo libro Mondonauta, oltre ad essere un racconto ricco di dettagli di viaggio e di emozioni, infonde una bella grinta e un’energia positiva. Mi domandavo: che significato ha questa parola di copertina?
Nauta significa ‘navigante’ perciò il mondonauta è quel viaggiatore che si sposta sulla terra come se viaggiasse in mare aperto dove i confini tra razze, sesso e religione non esistono. È un modo di viaggiare a trecentosessanta gradi senza giudicare e senza pregiudizi, con una mentalità molto aperta ecco.
Hai viaggiato da sola attraverso l’Asia facendo incontri bizzarri e talvolta preziosi, quanto è difficile per una donna intraprendere viaggi di questo tipo?
C’è l’errata percezione che sia molto più difficile di quanto in realtà non sia. Se poi uno si studia le statistiche scopre che gli abusi e soprusi che una donna subisce avvengono tra le mura domestiche, non in viaggio. Liberarsi delle catene mentali che ci hanno messo addosso facendoci pensare che fosse pura follia per noi viaggiare da sole, che fosse qualcosa di rischioso e pauroso, probabilmente è quello l’ostacolo più grande da sorpassare. Poi se mi domandi se mi sia capitato di avere paura non posso negarti che in questi miei lunghi viaggi qualche volta è successo. Ti devi inventare stratagemmi, devi essere fantasiosa. La tecnologia in questo caso può venirci in aiuto. Io ad esempio condivido spesso immagini o video con persone di fiducia, così da far sapere sempre a qualcuno la mia posizione o il numero di una targa o un volto.
Attraversare continenti e abitare in Paesi diversi ti ha portato inevitabilmente ad incontrare migliaia di persone differenti. Quali sono gli incontri più preziosi?
In realtà, Daniela, tutti gli incontri ti cambiano la vita, in bene o in male. Quelli che te la cambiano in male probabilmente non fanno altro che riflettere degli aspetti di te con i quali devi confrontarti. Penso che ci sia un ottima ragione per tutti gli incontri che facciamo e a volte scatenano dei butterfly effects: ogni incontro seppur piccolo ci può lasciare nuovi solchi come se fossimo giradischi e su questi nuovi solchi suoniamo musiche che non conoscevamo. Col tempo si impara a dare ad ogni incontro il peso che merita perché c’è la buona probabilità che la maggior parte degli incontri abbiano un senso e se facciamo attenzione sapremmo come coglierlo.
Il tuo libro offre interessanti spunti di analisi sociale. Cerchi di aggiungere dell’acqua al famoso bicchiere mezzo vuoto suggerendo al lettore alcune alternative possibili per un cambiamento prima di tutto interiore e poi di approccio alla vita. In base alla tua esperienza definisci gli italiani come un popolo spaventato. Perché?
Alcuni studi rivelano che l’Italia è tra i primi Paesi al mondo a percepire la realtà in modo completamente diverso da quello che la realtà è. La percezione viene deviata ed influenzata da media che non presentano la realtà ma una realtà. Ti faccio un esempio: mentre facevo l’Italia a piedi quelli che incontravo mi dicevano di stare attenta informandomi ogni volta che, i vari paesi successivi che avrei dovuto attraversare, sarebbero stati pericolosi. Ogni paese mi diceva questa cosa e io il paese pericoloso non l’ho mai trovato. Quando mi fermavo a raccogliere i sogni delle persone, leggevo nella maggior parte dei biglietti che le persone speravano nella futura Felicità. La gente chiedeva di essere felice. Felicità…felicità…e ancora felicità. Sembravano richieste banali. Poi ho consultato il dizionario dei sinonimi e dei contrari e ho scoperto che proprio uno dei contrari di felicità è paura e allora questo sogno così ricorrente ha iniziato ad avere un senso perché sì, l’Italia ha un popolo spaventato.
Qual è il momento più felice di un viaggio e quello invece più brutto?
Ogni viaggio è diverso quindi è difficile generalizzare, probabilmente è quella sensazione che hai soprattutto nei viaggi a piedi o in bici, quando sei per strada e hai l’incertezza di sapere dove andrai a dormire quella notte, l’incertezza di sapere quali avventure vivrai quel giorno, l’eccitazione di non sapere che persone incontrerai. Una della cose che mi piace di più del viaggio è questa curiosità che ti spinge a risalire le montagne, a sudare, a piangere e bucare un copertone dopo l’altro per continuare comunque ad andare avanti spinta dalla voglia di scoperta di quel mondo che è lì ha un passo da te e che non sai cosa avrà in serbo per te. I momenti brutti boh, magari quando ti capitano situazioni spiacevoli tipo l’essere inseguita da cani randagi o quando ti si avvicinano persone in maniera non auspicabile. Ma considerando la quantità di momenti positivi non hanno poi un gran peso.
Darinka, adesso ti sei fermata. Ripartirai?
Causa Covid mi sono fermata qui a Bali, non era previsto una permanenza così lunga ormai è un anno ma nulla di quello che è accaduto quest’anno era previsto. Non so quando tornerò però, ho la bicicletta in Irlanda e il mio prossimo progetto prevede di pedalare dall’Irlanda a qua ma, ecco, non so quando sarà possibile. Nel frattempo ho cambiato modalità di viaggio: visto che non posso viaggiar all’esterno sto viaggiando all’interno. È stato un anno molto importante per me, un anno d’introspezione, passato a studiarmi dentro. Un altro tipo di viaggio certo, ma allo stesso modo affascinante e gratificante.
Escludendo il tuo luogo interiore che certamente ti affascinerà ogni giorno di più, dimmi: qual è il tuo posto preferito nel mondo?
Bali mi piace tantissimo e mi è piaciuta molto la Sicilia e poi Nuova Zelanda, Bolivia e Laos. Sono questi i miei posti preferiti nel mondo e poi chissà, spero ce ne siano altrettanti che ancora non conosco.
Darinka, in questo libro sei te stessa senza filtri. Il tuo stile di scrittura è appassionante, lega tra loro la simpatia dell’esposizione dei tuoi pensieri alla profondità delle riflessioni esistenziali. Ci ricordi che la normalità non esiste e sono le differenze a renderci unici ed interessanti. Ci regali il significato della lentezza che non è un difetto ma un nuovo concetto di approccio al tempo. Come in ‘Ufficiale e Gentiluomo’ mi hai fatto sognare il volto del bell’ufficiale di dogana al confine Kazako (certo che una foto per il piacere delle lettrici potevi anche includerla). Poi ad un certo punto scrivi: …è come se viaggiare ti allungasse la vita… Per concludere non posso che farti un’ultima domanda: che cos’è il viaggio per te?
Il viaggio è… Allora, uno nasce e cresce nel suo paese, gli vengono insegnate cose, gli viene spiegato cosa pensare, si fa in modo che egli si conformi, insomma, gli viene spiegata la normalità; quindi gli dicono che deve studiare, deve fare il bravo a scuola non deve fare il ribelle, deve fare due figli, deve trovarsi un lavoro e, anche se non gli piace, deve fare quello per tutta la vita, poi va in pensione e finalmente si gode i suoi anni e il suo tempo rimasto facendo quello che vuole quando ha ormai settant’anni e non ha più il fisico per goderselo. Ti fan credere che tutta sta roba qua sia normalità e la maggior parte della gente si adegua. Per me il viaggio è proprio quello. Magari nasci in un paese in cui ti fanno credere in quella bugia originale e poi finisci in un altro posto per caso e vedi che la normalità lì è una cosa completamente diversa, poi finisci in un altro posto ancora e quello che tu reputi normale è l’esatto opposto della loro normalità. Allora capisci che tutto quello che ti avevano inculcato come normale è soltanto normale in uno specifico luogo e in uno specifico periodo storico perché certamente quello che è normale per noi nel 2020 non lo era ad esempio cinquanta anni fa né cento anni fa e così via. Ecco che il viaggio ti offre questa nuova prospettiva. Una volta che capisci che la normalità è un concetto inventato non hai più niente a cui conformarti e puoi creare la tua normalità, quella che si confà al tuo modo di essere, al tuo modo di pensare, al tuo modo di vivere e poi, magari, diventa una miscela di mille culture diverse in base a quello che senti più affine.
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