Claudio Ascoli non è solo un profondo conoscitore dell’Arte Teatrale; potremmo dire che è uno dei suoi massimi esponenti viventi. Un filosofo artigiano del pensiero, un costruttore dall’agile e sapiente creatività, un autore riflessivo che occupa la sua fucina, nei verdi spazi di San Salvi, a Firenze, come un dio Vulcano attivo.
Lo testimonia bene Matteo Brighenti, nel libro “Napule ’70”, pubblicato da Pacini editore, raccogliendo una documentazione storica assai preziosa, attraverso una viva collaborazione con questo grande artista; lo testimonia, poi, ancora di più, il suo lavoro di costante approfondimento e rimodellamento del linguaggio espressivo, che muta con i tempi, attraverso le epoche e gli avvenimenti che è in grado di trasformare in eventi.
Noi lo abbiamo intervistato per voi.
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Domenica 17 Gennaio, nell’ambito della Giornata di resilienza civile per il Teatro e lo Spettatore, è andato in scena Napule ’70, in una speciale edizione, capace di coniugare spettacolo dal vivo e partecipazione di un pubblico in streaming. Ci racconta questa iniziativa, nata sotto la sua spinta creativa e la sua direzione artistica?
In questo tempo sospeso o meglio sequestrato, già da alcuni mesi si avvertiva un silenzio assordante sulla possibile riapertura dei Teatri. La loro chiusura sembrava (e sembra) come un dato acquisito su cui non valesse la pena neanche interrogarsi. Da ciò l’idea di lanciare un dolce grido: “Noi ci siamo. Il Teatro è necessario allo Spettatore come all’Attore. Non c’è Teatro senza relazione tra Corpi: da tutto questo, e solo da tutto questo prende vita la Comunità.”
Come Chille, abbiamo perciò pensato di indire una Giornata di resilienza civile del Teatro e dello Spettatore nella prima domenica successiva alla scadenza dei termini di chiusura dei Teatri, fissata nell’ultimo DPCM: appunto, domenica 17 gennaio. A questa Giornata, con la parola d’ordine #apriteiteatri, abbiamo invitato Teatri, Compagnie, Artisti e…Spettatori a dare un segnale, a dire “ci sono!”. E a farlo liberamente, inviandoci in tempi strettissimi un video dell’esperienza, da inserire in una creazione collettiva da far circolare nei rispettivi social. Un video che ha visto ben 17 contributi da tutt’Italia (oltre 50 i soggetti che hanno partecipato alla Giornata!), video che, messo sulla nostra pagina Fb, è stato già visto da 10.000 persone.
E noi Chille? Per l’occasione, abbiamo inventato un’edizione speciale dello spettacolo “Napule ‘70”, la nostra produzione teatrale n. 100, e di farlo dal vivo con Spettatori. Abbiamo infatti subito precisato che avremmo potuto rinunciare al pubblico, in obbedienza alle regole sanitarie imposte dai DPCM in tempi di pandemia, ma non allo Spettatore. Non c’è Teatro, infatti, senza Spettatore. Come fare, allora? E come riuscire in un sol colpo ad evidenziare le differenze tra spettacolo dal vivo e in streaming, rispettando le regole? Ecco l’idea: lanciare una lotteria con biglietti numerati da 1 a 90 al costo di 1 €. Estrarre poi pubblicamente sulla ruota di San Salvi 5 fortunati cui regalare la possibilità di vivere di persona lo spettacolo…offrendo agli 85 perdenti la visione in streaming. Ma poi come rendere legale la partecipazione dei 5 Spettatori fortunati? In un Teatro come il nostro in cui la partecipazione dello Spettatore è davvero essenziale, perché, ci siamo detti, non assumere lo Spettatore come Attore, o meglio Attor-Spettatore a paga zero e sottoporci tutti insieme (Attori, Tecnici, Spettatori) ad un tampone per verificare di essere negativi al Covid e metter su UNA PROVA quindi a tutti gli effetti legale? In questo “gioco” abbiamo ancora deciso la realizzazione di un docu-film sull’intero progetto, in uno con la realizzazione di una ripresa video per lo streaming ricca ed articolata. In definitiva, si è costruito, non senza difficoltà e costi, un evento streaming molto curato: alle 6 videocamere necessarie per il docu-film abbiamo aggiunte altre 4, gestite con un’accurata e programmata regia video-audio per lo streaming. Tutto per dimostrare la piacevolezza e la cura di qualcosa che comunque non è Teatro.
Lei è figlio di una tradizione secolare, quella del Teatro Napoletano. Crede in una dote artistica, epigenetica, in grado di trasmettersi di generazione in generazione? E quando ha deciso di fare dell’esperienza teatrale la sua professione?
In questi giorni sto leggendo un intrigante libro di Wolfgang Goethe: “Lettere a Napoli”. Mi piace qui riportare: “…a Napoli, tutti lavorano, nel loro genere, non solamente per vivere, ma per godere, e nel lavoro qui vogliono tutti darsi lieta vita.”
Vede, penso poi che in qualche modo la risposta alle sue domande sia in “Napule ‘70”. Quando Matteo Brighenti mi chiede se sia una colpa nascere a Napoli, rispondo:
“Per un Artista nascere a Napoli non è una colpa. È un dono. Nascere a Napoli io lo vivo come un regalo, con tutte le sue contraddizioni. Non è una colpa, è una responsabilità. Napoli richiede una esemplarità di creazione.
Perché ho scelto il Teatro? Ma come potrei vivere senza teatro? Tu sapresti vivere senza bere acqua, senza respirare, senza sorridere? Il Teatro per me è un bisogno. È entrato dentro di me da solo, all’improvviso, come tutte le cose, come quando ti innamori.
E poi è un male di famiglia! Hai visto i disegni, i copioni scritti a mano da mio nonno, nonno Peppino. Non l’ho conosciuto io, è morto un anno prima che nascessi. Una lunga storia. Le leggi razziali…”
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, potrei dire che è stato il Teatro ad obbligarmi dolcemente a viverlo come professione; nella realtà la scelta ha coinciso con la nascita dei Chille e del suo primo Teatro a Napoli, il “Teatro, Comunque.” (sì, con la virgola e il punto): il 13 ottobre 1973. Avevo poco più di 23 anni.
Chille, dalla sua nascita, è infatti Compagnia e Teatro: quella che oggi si chiama Residenza teatrale.
Come nasce Chille de la balanza? E come sono cresciuti e si sono evoluti, attraverso quali tappe significanti, i criteri di ricerca artistica della compagnia?
Le ho già detto qualcosa nella risposta precedente.
È difficile sintetizzare quasi 50 anni di vita di una compagnia! Le dirò soprattutto delle origini, di San Salvi forse si sa già tanto. Nasco in una famiglia di attori e teatranti napoletani da tre generazioni. Gli Ascoli, insieme ai Maggio, agli Scarpetta e ai De Filippo formano un po’ l’ossatura storica del Teatro napoletano a cavallo tra l’800 e il ‘900. Già da adolescente faccio teatro; non ho ancora 20 anni e sono a Roma all’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico. Mi sento però stretto e ben presto la lascio. Torno a Napoli e fondo il gruppo Chille de la balanza, che vede i suoi primi passi appunto al “Teatro, Comunque.” nella via dei librai: via Port’Alba.
I Chille partono da un recupero molto rigoroso delle tradizioni napoletane. Il nome “Chille de la balanza” è quello degli antichi venditori di frutta ed ortaggi che – tra la fine del ‘600 e gli inizi del ‘700 – andavano per le strade del Centro Antico, vendendo le loro mercanzie e raccogliendo storie ed aneddoti che poi ri-narravano la sera nelle osterie davanti ad un bicchiere di vino.
Ben presto siamo affascinati dalle Avanguardie del XX secolo, contemporaneamente sviluppiamo una forte attenzione verso il luogo e la performance di Teatro in strada che, sino a quel momento, era vista da tutti come evento-festa non strutturato, più vicino alla clownerie ed all’improvvisazione che al Teatro. Noi Chille la eleviamo ad altra dignità e con questo nuovo Teatro in strada andiamo in giro in tutt’Europa, come moderni commedianti dell’Arte. In Francia, incontriamo due persone straordinarie. Innanzi tutto Mario Dondero, il grande fotografo che ritroveremo trent’anni dopo nelle terre di Pavese e in un progetto su Pasolini e a San Salvi. Nascono in quegli anni importanti esperienze con Architetture gonfiabili, opere di uno straordinario artista, con cui lavoreremo per più di 15 anni: Hans Walter Müller. Ed è proprio di Müller il Teatro d’Aria con cui ci trasferiamo a metà degli anni ottanta in Toscana a Pontassieve, dove installiamo anche un Laboratorio e una Casa-residenza collettiva.
Il Teatro d’Aria è una struttura innovativa, totalmente vuota e ridefinibile compiutamente ad ogni evento. Il successo è immediato.
Continua la forte attenzione alle avanguardie del XX secolo; incontriamo il Teatro e il mondo di Antonin Artaud. Arriviamo a Firenze al Teatro 13, un piccolo Teatro art-déco.
Dopo pochi anni, nel 1998, arriviamo a San Salvi. Negli spazi affascinanti ed inquietanti dell’ex-manicomio di Firenze è nato e vive il progetto San Salvi Città Aperta. Un progetto che sta restituendo ai fiorentini una area di quasi 33 ettari nella zona di Campo di Marte, anche grazie alla Passeggiata, un evento che si svolge ininterrottamente dal 1999 ad oggi con oltre 600 repliche sempre esaurite, e che è stato riconosciuto dall’Unesco e dal Consiglio d’Europa come esempio di Passeggiata Patrimoniale.
Dal nostro arrivo, diamo vita a Estate a San Salvi, un importante Festival di teatro, musica, danza e arti visive all’interno dell’Estate fiorentina. Teatro (produzioni, ospitalità – tra gli altri Eugenio Barba con l’Odin e Giuliano Scabia, laboratori e stages), ma anche Danza Contemporanea, Musica, Cinema, Video, Esposizioni di Art Brut – Arte irregolare, Pittura, Performances, la creazione di un Centro di Studi dedicato ad Antonin Artaud hanno reso San Salvi un autentico luogo cult della città di Firenze, con un numeroso pubblico di affezionati: soprattutto giovani, ma non solo.
L’attuale sede della compagnia è nella bellissima cornice verde di San Salvi; un luogo denso di storia e, forse, emblema della possibile ricostruzione e rivalutazione di spazi stigmatizzanti. Quanto influisce l’ambiente, a suo parere, sul lavoro artistico? E il teatro, secondo lei, è uno spazio resiliente, di elaborazione, di continua metamorfosi, rivalutazione, ricostruzione degli immaginari?
Il Teatro è l’Arte dello Spettatore, diceva Mejer’hold. E vive in un Luogo, aggiungo io.
In un’intervista preciso: “I luoghi sono spazi infettati positivamente dai corpi. Nel mondo contemporaneo tutto ciò che viene prodotto tende a ridurre il luogo a spazio, volume, mentre il nostro lavoro di teatranti è fare da catalizzatori proprio del passaggio da Spazio a Luogo.”
E altrove ribadisco, con evidente riferimento a San Salvi, luogo esemplare citato nella sua domanda come spazio resiliente, di elaborazione, di continua metamorfosi…: “I luoghi in cui agisci diventano Luoghi-Persona, Luoghi-Soggetto. Questo ti permette di avere risposte nuove, perché non lavori acquisendo una competenza per rispondere, ma un’attitudine ad aprirti a nuovi problemi.
Il nostro compito è evidenziare, che significa vivere una continua metamorfosi, trovare. Picasso diceva io non cerco, trovo. Noi siamo un Teatro di ritrovamento più che di ricerca.
Secondo i Veda, tutti noi non vediamo tre quarti del mondo, ne vediamo soltanto un quarto. Bisogna lavorare su quei tre quarti invisibili: lì c’è il Teatro come luogo d’incontro.
Questo interroga e impegna la nostra umanità in un ascolto che unisca rigore e fantasia”.
In un periodo storico di profondo stravolgimento delle certezze, come quello che stiamo affrontando, il teatro è uno strumento di sopravvivenza culturale?
Per quest’ultima domanda, le riporto – come risposta anche se indiretta – una mia riflessione all’indomani della chiusura dei Teatri, intitolata “La comunità dietro il sipario dei teatri chiusi”.
“(…) È per noi fondamentale sottolineare un aspetto: la fine incombente della Comunità tra Spettatori e Attori, in un distanziamento sempre più sociale e non solo fisico. E non sarà facile ri-crearla in tempi brevi, anche per la immotivata sensazione di insicurezza che si è fatta emergere in relazione ai luoghi di spettacolo. (…)
Ma non basta sopravvivere: è fondamentale, sì, ma non basta. Anche nei vecchi manicomi si sopravviveva, in quelli diciamo così…buoni si garantivano cibo e medicine, ma non c’erano più Persone solo numeri, come oggi nei quotidiani bollettini sul contagio. Ecco, per realizzare il passaggio da Sopravvivere a Vivere è necessaria la Cultura. E oggi non bisogna perderla di vista, metterla momentaneamente in un angolo, e poi quanto sarà lungo questo momento?
Franco Basaglia racconta ne “L’Istituzione negata” una favola orientale.
“Ad un contadino, mentre dormiva, strisciò in bocca un serpente. Il serpente gli scivolò nello stomaco e vi si stabilì e di là impose all’uomo la sua volontà. L’uomo era alla sua mercé, non apparteneva più a se stesso. Ma era tranquillo. Finché dopo tanti mesi una mattina l’uomo sentì che il serpente se n’era andato e lui era di nuovo libero. Ma allora si accorse di non sapere cosa fare della sua libertà. Già, in luogo della libertà aveva trovato il vuoto, perché insieme col serpente gli era uscita fuori la sua essenza nuova acquistata nella cattività, e lui ora doveva provare a riconquistare a poco a poco il precedente contenuto umano della sua vita. Ma non era facile!”
Ecco, non sarà facile riconquistare il contenuto umano della nostra vita, quando un giorno i Teatri riapriranno, anche solo dopo appena un mese di assordante silenzio”.
(Nota: Oggi siamo già a 4 mesi di chiusura)
Grazie.
Ines Arsì