Giuliana Storino è nata a Manduria (Ta), classe ’86, e opera nel campo delle arti visive al confine tra natura e artificio, tra parola e forma, equilibrio e oscillazione, con abilità e sapienza dei materiali. Artista visiva attiva sul territorio nazionale e internazionale, docente all’Accademia di Belle Arti di Brera e Firenze. Tra le recenti mostre personali si possono ricordare L’arabesco del tempo, a cura di Giacinto Di Pietrantonio, Villa Brandolini, Pieve di Soligo 2018. Caduta libera, a cura di Olga Gambari, (2015); Era, Museo Civico Parisi Valle, (2014); Elementi di terra, Studio Gabelli, Milano (2013); Infinito Presente, Offbrera, Milano (2013). Tra i numerosi premi vinti alcuni come 2016 Premio Cramum IV° ediz, terza classificata, a cura di S.M.Frassà, Palazzo Isimbardi, Milano. Vince il Premio Autofocus 7 Progetto espositivo, a cura di Olga Gambari, Torino (2015) Vince il Premio Maccagno (2014); Vince il Premio Ricoh, Spazio Oberdan Milano. Tra le mostre collettive non dimentichiamo 2020 – “Due Culture e lo Spazio”, Qingdao Sculpture Art Museum, Qingdao, China Dialogo con Yinchuan: Cina-Italia esposizione internazionale di Incisione Museo d’arte contemporanea di Yin Chuan (2018); Premio Santa Croce Grafica VIII° edizione, a cura di Ilaria Mariotti, Villa Pacchiani, Santa Croce sull’Arno (2015); The Others, a cura di Olga Gambari, ex carceri Le Nuove, cella B3, Torino. Biennale Giovani Monza, a cura di Elio Grazioli, Anna Bernardini, Ilaria Bignotti, Palazzo dell’Arengario, Monza (2015); 56° Premio internazionale Bice Bugatti – Segantini, a cura di Giovanni Iovane, Villa Vertua; SAC “Mari tra le mura” – Pino Pascali, Il segno condiviso Küçükçekmece, Istanbul (2013). W.O.P. works on paper, FABBRIc.a. Contemporary Art, a cura di Renata Fabbri, Milano (2012). Nel suo lavoro coniuga l’interdisciplinarietà, alla ricerca coerente e rigorosa, espressa attraverso le interazioni tattili con i materiali, e il potenziale generativo dell’attività manuale. La memoria e i ritmi terrestri, la tecnica e il linguaggio, trovano l’anello di congiunzione nel concetto di tempo, che comprende l’evoluzione umana (I vertebrati 2016; 21), tecnica e tecnologica (Human, 2016), unita ai processi di produzione dell’opera d’arte (Cavalletto a dondolo 2018; 2020). Si potrebbe aggiungere molto altro. Ma lasciamo che siano le sue parole a raccontarci qualcosa in più.
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Quando ho visto l’opera “Cavalletto a dondolo”ho subito pensato a Lucio Fontana, alla sua fine di Dio materializzata sulla tela, seguita da tutto ciò che è stato poi nell’arte contemporanea. È la speranza di un ritorno? Raccontaci dell’opera.
È un ritorno dall’eterno, nel delirare l’infinito del mare: la pittura. Passeggero e viandante, tra un punto di partenza e di arrivo momentaneo, in transito aperto al significante, là dove il principio e la fine coincidono. L’antico più profondo e il futuro più lontano s’incontrano in questa controfigura- il cavalletto, che sembra osservaci da soggetto e spettatore, interfaccia tra l’artista, l’opera e il processo che porta a compierla. Il cavalletto è considerato il supporto tradizionale, che l’uomo si è costruito per fare pittura, un tempo si diceva per ‘rappresentare’ qualcosa. L’umanità oggi sembra avere un nuovo tempo e un nuovo spazio, dove lo spazio che abitiamo è proporzionale a quello delle immagini che ci abitano. Le pareti delle caverne sono l’habitat, la pietra è il supporto originario, riconosciuto alla pittura rupestre o parietale, comune anche alle prime forme di scrittura, delle quali possediamo testimonianza. Dall’ambiente al quadro e dal quadro all’ambiente, il cavalletto è il discendente della caverna, che ha dato origine alla pittura sua omonima. Il primo (Cavalletto a dondolo 2018) l’ho pensato e realizzato in ardesia, la lavagna, il supporto della scrittura. Disegno e scrittura entrano in rapporto dialettico con il segno, in Cavalletto a dondolo 2020; dove la grafite, traccia su traccia satura la superficie del legno, rendendolo specchiante. L’opera è la concretizzazione di qualcosa che prima non c’era, in cui la pittura assentandosi dal quadro, interroga se stessa. Parafrasando le parole di Giacinto Di Pietrantonio l’opera manifesta una contraddizione interna: l’impossibilità della pittura causata dall’oscillazione. Cos’è il dondolo prima del cavallo a dondolo? Il «dondo-l’io» memorabile il Dondolo di Beckett, con le sue oscillazioni fonetico-performative, quale fluttuazione del tempo e degli eventi, il teatro dell’esistenza. Trovo che la tutta la vita sia il continuo, passare da uno spazio all’altro, nel tentativo di farsi meno male possibile!
Come si inserisce quest’opera all’interno del tuo percorso personale d’arte? È fatto di evoluzioni o piuttosto di strappi, rotture, movimenti a ritroso …
Il lavoro dell’arte è una relazione profonda con tanti fattori, principalmente con noi stessi, con quello che maturiamo e con il mondo. Al di là dei mezzi, ogni opera nasce fondamentalmente da un’altra opera, poiché tutte abbracciano un pensiero unico. Un’ opera ha per sua natura la capacità di evocarne altre 100, e così via. La poetica dell’equilibrio caratterizza da sempre il mio lavoro. Nelle installazioni Il peso del vuoto (2018), come anche in Identica visione (2012) vi è un equilibrio permanente ma precario. La scultura nell’oltrepassare il suo baricentro, esattamente come avviene nel corpo umano, si flette per il suo stesso peso. Mi capita spesso durante l’allestimento di una personale, di fermarmi a schizzare e fotografare, passaggi, frame, immagini utili a nuove idee. Non si arriva mai da nessuna parte. Si riparte ogni giorno da dove abbiamo lasciato, rimettendoci in discussione.
Come vivi l’attualità? Quali etichette rifuggi perché maggiormente fuorvianti?
L’arte è tutta contemporanea, è stato affermato e riconosciuto, tra i primi fu Gino De Dominicis. L’antico e il contemporaneo si sostengono e si accolgono vicendevolmente, aprendo il varco ad una relazione continua tra il mondo di ieri e quello di oggi. Tutto è in quella soglia, in quel recinto mistico, lo scavo che fai ogni giorno, in te stesso nel mondo. Rifuggo l’attualità per inseguire il senso, che ritengo vicino a qualcosa di universale e che non ha bisogno di essere attualizzato. L’attuale è già vecchio l’attimo dopo! Sono quella che taglia le etichette ai capi, quando fanno venire il prurito. Colui che possiede i fondamenti, non ha bisogno di creare il brand! Queste categorie appartengono alla moda che passa di moda, mentre l’arte è ‘smodata!’
Quale peso o responsabilità credi possa avere l’arte contemporanea nella società di oggi? Può essere solo destinata a specialisti, di nicchia insomma, o può comunicare anche al grande pubblico?
La tua domanda mi fa subito pensare alle parole di un gallerista italiano, rimaste impresse: l’arte la vera Arte ha un peso che non invecchia mai! Il resto è deducibile. L’opera d’arte è scissa dall’artista, ha una sua vita indipendente da noi, il destino è imprevedibile. La responsabilità dell’artista di oggi come ieri, è quella di proseguire il percorso, portandosi dentro il passato, ma innescando qualcosa di ‘nuovo’, senza mai recidere il cordone che ci lega alle ‘cose’. È proprio questa la grande sfida quotidiana dell’arte. Sebbene l’arte parli a tutti, non è per tutti! L’arte contemporanea richiede un pubblico colto. Oggi gli artisti lavorano per rispondere ad una propria esigenza, e nel farlo si confrontano con il loro mondo fatto anche di altri artisti. Per capire la contemporaneità si deve passare dalla storia. Si rende necessario capire coloro che sono stati i maestri, e per farlo bisognerebbe partire dall’istruzione, con lo studio della storia dell’arte nelle scuole. Trovo che la società di oggi sia fortemente segnata da una dinamica ideologica, che gli artisti stessi tentano di combattere. L’arte di nicchia è anch’essa ormai sdoganata. Ci troviamo all’interno di uno spazio di accelerazione, in cui l’artificiale e il naturale rientrano in un qualcosa di più complesso. Ogni cosa, compreso la processualità creativa appare come un risultato statistico, e altre volte spettacolarizzante. In questo momento sono ancora più vicina all’idea di Friedrich Nietzsche, che l’arte nasca dalla tragedia, la cui traccia permane nell’opera d’arte.
Originaria di Taranto e vivi tra Firenze e Milano. Quale rapporto hai con le tue origini, anche come fonte di ispirazione, e con le città in cui lavori e vivi?
Nascere è tutto. Nascere al sud, nella Magna Grecia è la fortuna più grande che ti possa capitare! Sono luoghi forti, pregni di tradizione e di contraddizioni, dove trovi tutto e niente. Dal niente non nasce niente ma dove non c’è niente si può costruire tutto! Dico sempre che non sono scappata dalle mie origini, si scappa dalle origini portandosele addosso! Le origini te le porti dentro, ma l’artista non può mettere radici. Attualmente vivo a Milano e lavoro anche a Firenze: due città importantissime, che hanno segnato il mio percorso di crescita, professionale e umana. Milano mi ha dato modo di costruire, mi ha aperto un confronto internazionale. Firenze mi ha accolto, mi ha permesso di consolidare, non avevo ancora compiuto 30 anni.
Hai avuto numerose esperienze di mostre all’estero. Una scelta o un’occasione? Credi che un artista abbia più stimoli nel confronto con realtà lontane?
Arrivano le occasioni e l’artista compie sempre delle scelte. Il confronto con mondi i lontani, così come con gli altri artisti, porta a ricevere stimoli inaspettati e questo è fondamentale. È il pane quotidiano dell’artista.
Ricordi com’è entrata l’arte nella tua vita? Un incontro, uno sguardo o un colore.
Dai racconti dei miei genitori l’incontro con l’arte, risale già ai primi mesi di vita, quando ovunque vedessi carte e matite, volevo a tutti costi prenderle e utilizzarle. La rivelazione più eclatante avvenuta all’età di 2 anni, quando iniziai con i pastelli a riempire i muri della stanza di scarabocchi. Tutto questo ha avuto poi un seguito durante l’infanzia, fino al raggiungimento di una maggiore consapevolezza successiva. Dai tre ai quattro anni obbligavo i miei genitori a riporre le matite, i colori e gli album che già usavo, nella culla dove dormivo; tenendoli stretti in pugno, raggruppati da un elastico. Ogni sera i miei genitori erano costretti a riporre ogni cosa nella mia culla per poi dondolarmi nella speranza che mi addormentassi. Puntualmente nel sonno al cadere di un lapis mi risvegliavo chiedendo loro di riprenderlo. Una bambina molto vivace, non stavo mai ferma. Ero gelosa di quella che consideravo l’attrezzatura, colori e pastelli di vario genere. Disegnare era un gioco serio e quando qualcuno mi interrompeva, dicevo: adesso non posso, sto lavorando!
Quali sono i tuoi riferimenti artistici, travalicano anche i confini dell’arte visiva?
Nel panorama dell’arte tendenzialmente mi nutro di artisti che vanno dalla pittura al cinema. Gli artisti che considero di riferimento, fondamentali sono Giulio Paolini, Alighiero Boetti, Pino Pascali, Luciano Fabro, Gino De Dominicis.
Sicuramente i lettori di Teatri online vorranno sapere: qual è il tuo rapporto con il teatro?
La sperimentazione del teatro è anch’essa espressione dell’arte che si avvale di molteplici fattori. È il luogo in cui è possibile rintracciare l’esistenza. Particolare riferimento è il teatro di ricerca sperimentale, i rapporti con la mitologia, se pensiamo per esempio a Il Living Theatre. Sono molto affascinata dalla ricerca di Carmelo Bene, che approfondisce e analizza il teatro negando la recita, dove “l’atto è l’oblio dell’azione nello smemoramento di sé“. – Espressione questa che ho citato nel testo della mia mostra personale (Era, 2014), che ha dato vita a riflessioni molto importanti.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
È un momento fervido della mia attività, nonostante i rallentamenti dovuti alla pandemia. Ho in programma una mostra personale al Museo Archeologico di Santa Scolastica a Bari; un progetto espositivo in fase di programmazione a Shangai, e una mostra al Crac, Castel Nuovo Rangone (Mo), per l’anno 2022.
Giuliana Storino tra parola e forma, equilibrio e oscillazione.