Anna Maria Dall’Olio (Pescia, 1959) laureata in lingue e in lettere, esperantista, si è dedicata alla narrativa breve, alla poesia e alla scrittura drammaturgica, è uno spirito intellettuale impavido e una scrittrice sperimentale. Nel 2018 ha vinto il 3° premio del Concorso internazionale “FEI” per la traduzione in esperanto di “Su una sostanza infetta” di Valerio Magrelli. Nel 2005 ha vinto il 2o premio del Concorso internazionale “Hanojo-via Rendevuo”, patrocinato dal governo vietnamita, accanto a molti altri riconoscimenti ottenuti in Italia nel corso della sua carriera. La sua pubblicazione più recente è Evoluzioni (Il Convivio, 2019), preceduta da: Segreti (Robin, 2018), Sì shabby chic (La Vita Felice, 2018), L’acqua opprime (Il Convivio, 2016), Fruttorto sperimentale (La Vita Felice, 2016); Latte & limoni (La Vita Felice, 2014), L’angoscia del pane (LietoColle, 2010) e Tabelo (Edistudio, 2006), dramma in lingua esperanto. Recensioni e articoli di critica sono stati raccolti in Le sirene di cartone curato da Gianfranco Cotronei (Editrice Totem, 2017). Si potrebbe aggiungere molto altro. Ma lasciamo che siano le sue parole a raccontarci qualcosa in più.
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Ci vuoi raccontare di cosa parla questo tuo ultimo lavoro letterario? Di quali “Evoluzioni”?
Si tratta del sequel di Tabelo, dramma in esperanto sul mobbing elevato a suprema esperienza artistica. Anzitutto, il termine “evoluzioni” è stato esaminato in tutte le accezioni possibili e poi concretizzato (se non urlato) nella pièce. Tutto quanto è accaduto in Tabelo giunge alla resa dei conti, sia pure in una dimensione indefinita. Che cosa succede alla fine non è chiaro, perché la realtà continuamente invocata dalla protagonista irrompe con violenza con esiti imprevedibili.
C’è un altro libro a cui sei particolarmente legata, anche non tuo? E perché?
Il primo che mi viene in mente è “Triste, solitario y final” di Osvaldo Soriano, un thriller hard boiled, in cui personaggi d’invenzione (come il protagonista Philip Marlowe) interagiscono con persone reali come Stan Laurel o John Wayne. Il thriller che ne deriva è totalmente verosimile.
Prosa, poesia e drammaturgia. Quale di queste forme creative ti rappresenta di più?
Direi la drammaturgia, con cui ho iniziato. La considero la più alta forma creativa letteraria, perché non è solo una storia, per quanto ben costruita, oppure solo linguaggio. Non solo le parole, quando ci sono, pesano come pietre: in ogni momento contano lo spazio teatrale e la dinamica del corpo dell’attore.
Quale responsabilità credi che abbia la cultura nella società di oggi, anche alla luce di quello che sta accadendo?
Tanto più la cultura sembra emarginata dai sistemi di potere, che asserviscono le masse con ogni mezzo, tanto più è necessario che i giovani abbiano accesso alla cultura per imparare a ragionare con la propria testa.
Quale rapporto hai con la città nella quale vivi, anche come fonte di ispirazione?
Per ironia della sorte, la nomina a “capitale della cultura” nel 2017 è stata per Pistoia il canto del cigno: a mio avviso, le associazioni locali sono spesso gestite da anziani, che forse sono fuori tempo. Dal canto loro, le scuole superiori si sono organizzate in qualche modo, producendo lavori interessanti che fanno ben sperare. In particolare, il mio istituto (il liceo artistico “Petrocchi”) mi ha spinto a mixare linguaggi ed esperienze, dalle arti figurative alla moda.
Pensi che lo scrittore o l’artista sia uno spirito solitario o è fondamentale la collaborazione e condivisione con altri artisti?
L’uomo è un animale sociale: anzi, come si muove, si impegna nel sociale. Perciò, se si ha qualcosa da dire, le produzioni artistiche/letterarie devono essere condivise non solo col pubblico, ma anche con altri autori. Del resto, esistono già collettivi di autori, che come tali non pubblicano separatamente i loro “pezzi”, ma tutti insieme, a prescindere dalla loro identità. Anni fa in tal senso ho collaborato col “Nucleo Negazioni” di Alessandro Pedretta.
Parlando dei tuoi scritti ricordi un passo a memoria? Come mai proprio questo?
La parte finale di “Appunti d’iperestetica”, che nel 2015 ha ottenuto una segnalazione al Premio Montano:
“L’arte non fugga non s’apparti // sia bene produttivo utile // suggerisca esperienze consapevoli, // l’etica fiorirà da forma // l’etica salverà il sentire.”
L’intellettuale ha la responsabilità di parlare senza paura alla società con i mezzi che ha a disposizione. Non è un’idea mia, ma del mio maestro, Julio Monteiro Martins, politico e romanziere brasiliano.
Chi sono i tuoi riferimenti letterari o artistici in generale?
Il Surrealismo, Brecht e il teatro dell’Assurdo mi hanno influenzato nella drammaturgia; quanto alla prosa, citerò lo stesso Monteiro Martins, Cortazar, Eça de Queiròs, Carter, Murdoch, la narrativa gotica e noir. Per quanto riguarda la poesia, penso a Eliot su tutti.
Sicuramente i lettori di Teatrionline vorranno sapere: qual è il tuo rapporto con il teatro?
In cerca di un appartamento nel centro di Pistoia, mi assicurai che fosse nello stesso isolato del Teatro Manzoni. Scherzi a parte, una volta la RAI trasmetteva regolarmente spettacoli di prosa e alla fine i nonni mi portarono davvero a teatro, sia pure per le operette di Lombardo e Ranzato. Dagli anni ’80 ho assistito a molti spettacoli, anche di teatro contemporaneo: per esempio, al Litta di Milano ho visto Shopping and fucking di Ravenhill un paio d’anni dopo la sua produzione. Soprattutto, ho sostenuto un esame di Storia del teatro e dello spettacolo, che mi ha rivelato problematiche molto importanti per un aspirante drammaturgo.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Sto preparando una silloge di racconti che esplorano vari generi letterari (dal mito al pulp, dal noir alla fantascienza), che sarà pubblicata da Amazon kdp. Entro l’anno sarà pubblicato da Robin un thriller fantascientifico, in realtà uno scrapbook tra diario e raccolta di testi.
Anna Maria Dall’Olio è uno spirito intellettuale impavido e una scrittrice sperimentale.