Il Museo Novecento esce fuori dalla sua sede in Piazza Santa Maria Novella e come in precedenti occasioni propone un nuovo appuntamento con l’arte contemporanea internazionale in Palazzo Vecchio, nella Sala dei Gigli, e al Museo Stefano Bardini, dove dal 30 aprile al 29 agosto 2021, si terrà la mostra BEAUTIFUL LIES di Ali Banisadr (Teheran 1976), a cura di Sergio Risaliti, organizzata da Mus.e. Dopo aver lasciato l’Iran a soli dodici anni insieme alla famiglia, Banisadr ha raggiunto prima la Turchia e successivamente gli Stati Uniti, fermandosi in un primo momento a San Diego, successivamente a San Francisco e poi a New York, dove l’artista vive ancora oggi.
La mostra, la prima dell’artista in un museo pubblico italiano e la prima a Firenze, mette la sua opera a confronto con l’arte e la storia di Firenze: al Museo Bardini i dipinti dell’artista saranno in dialogo con le opere della collezione creata da Stefano Bardini, con i marmi e le pitture medievali e rinascimentali, con i tappeti persiani e con le rilucenti armature conservate nel museo caratterizzato dal celebre ‘blu’ Bardini, mentre in palazzo Vecchio, Banisadr è stato invitato a realizzare tre dipinti site-specific, ispirati dalla lettura della Divina Commedia di Dante, evento speciale immaginato dal direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti in occasione delle celebrazioni per i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta.
“La mostra di Banisadr – ha sottolineato l’assessore alla cultura Tommaso Sacchi – raccoglie molte suggestioni: anzitutto l’inspirazione dovuta alla figura di Dante di cui quest’anno celebriamo i 700 anni dalla morte; poi la tragicità dell’esistenza dell’artista che si ingloba nella tragicità delle guerre e dei conflitti, anche dimenticati, del XX secolo; e infine la summa di molteplici arti e stili che attingono ai luoghi dove l’artista ha vissuto e studiato che si congiungono in uno stile di pittura originalissimo e fortemente evocativo, monito del caos in cui siamo immersi e dal quale forse non potremo emergere. Portare a Firenze, nei nostri musei civici e per la prima volta in Italia, una personale di Banisadr fornirà dunque un dialogo nuovo su questi temi universali e una nuova finestra tra l’arte di ieri e di oggi, mixata e ricreata per parlare con l’unico linguaggio possibile, quello umano”.
Originario di Teheran, Ali Banisadr si è trasferito negli Stati Uniti con i genitori quando era ancora un bambino. I suoi primi disegni sono stati realizzati nel seminterrato della sua abitazione, mentre tutto intorno crollava sotto i bombardamenti. All’età di vent’anni, Ali Banisadr ha raggiunto San Francisco, entrando in contatto con la scena artistica della Mission School. Si è poi trasferito a New York nel 2000 dove ha frequentato la School of Visual Art. Nel 2006, mentre frequentava la New York Academy of Arts, ha ricevuto una borsa di studio per compiere un viaggio in Normandia. Visitando le spiagge del D-Day, Ali ha vissuto una sorta di “allucinazione”. Racconta di aver avuto la certezza di essere in mezzo a quegli eventi passati, trovandosi a rivivere lo sbarco fisicamente e “di poter sentire i sibili e gli scoppi, di percepire tutto nel corpo come qualcosa di reale”. Quell’esperienza è stata per lui una vera e propria iniziazione e rivelazione. Al suo rientro a New York, ha iniziato a realizzare disegni a carboncino – “più reali di qualsiasi cosa fatta in precedenza, più liberi e istantanei”, tutti basati sul rumore delle esplosioni – simili, in questo, agli schizzi che faceva durante la sua infanzia. “È stata una rivelazione per me perché sentivo davvero questi disegni nel mio corpo – ha raccontato l’artista – Sapevo che questo era un’esperienza troppo importante per non essere portata avanti”. Il suo lavoro elabora in questo senso un tipico processo di simultaneità multisensoriale, un tipico esempio di sinestesia, che si ha quando due esperienze sensoriali diverse si trovano a convivere. Ogni suo dipinto è la combinazione in simultanea di intuizioni e percezioni tra memoria visiva, suoni, impressioni, ricordi profondi, immaginazione creativa, altri dati che entrano in gioco in un tutt’uno e allo stesso momento. “Posso dipingere qualcosa partendo dalla memoria, da una vibrazione interiore che vive ancora nel mio profondo, o che si genera da un suono che ho sentito quando ero un bambino… Il modo in cui è nato è stato così reale per me…il cratere dipinto durante quel viaggio sulla spiaggia è apparso così all’improvviso da collegarsi immediatamente al mio primo ricordo di aver udito l’esplosione di bombe e aver visto i crateri nel terreno. Ricordo che tutto è uscito così in fretta che ho usato tutto ciò che c’era in giro, stracci, spatole, ramoscelli o qualsiasi altra cosa solo per trasmettere la sensazione che stavo provando di un ricordo passato”.
Questa connessione sinestetica tra memoria uditiva e visuale è coerente in tutto il suo lavoro e ne determina la costruzione formale. E se l’immaginario rappresentato è personalissimo e interiore, il modo di formalizzarlo guarda invece continuamente alla storia dell’arte occidentale e alla tradizione del suo paese d’origine. Di fronte alle sue opere, si ritrovano fonti iconografiche da Hieronymus Bosch e Goya, ma anche da Max Ernst e de Kooning, sempre combinate con il ricordo dell’arte persiana. Banisadr è pure attratto dalla pittura di paesaggio del Nord Europa, vivida di contrasti luminosi e sempre attraversata da grandiosi eventi atmosferici: “Per lo più sono sempre stato interessato ai dipinti storici del Rinascimento, poiché sono più allegorici, mitologici e non riguardano un tempo o un luogo particolare. Non sono mai stato un fan dei dipinti di storia del diciannovesimo secolo da quando sono diventati propagandistici e concentrati sulle storie nazionali, su un dato tempo e luogo”.
I suoi dipinti sono abitati da una folla surreale di decine e decine di figure, che sembrano apparire e svanire nella superficie pittorica dei suoi dipinti che è come raschiata e spazzolata da una tempesta che trascina in un caos apocalittico quelle masse di esseri bizzarri e mostruosi, grotteschi e alieni. Si tratta di un pandemonio, dove il caos è però ordinato, anche se ogni creatura che abita questo universo non corrisponde nei tratti a personaggi riconoscibili e identificabili, come nella tradizione pittorica del passato. Il mondo di Banisadr è turbolento e in procinto di essere spazzato via da un’esplosione violenta, da un cataclisma, una realtà apocalittica. Tutto è in movimento, le diverse zone del dipinto si agitano a velocità diverse, ora le figure se ne stanno impietrite ora sono frenetiche. C’è qualcosa di affascinante e di confuso che rifiuta ogni descrizione oggettiva e il soggetto sembra tanto evanescente, quanto misterioso. Si tratta di composizioni assolutamente affascinanti perché creano stupore e una forte inquietudine. Come una sinfonia dalle note alte, roboanti, e dissonanti, che trova un equilibrio classico grazie alla sapiente organizzazione di piani di profondità, alla temperatura dei colori, alla attenzione appunto sinestetica con cui sono distribuiti i punti di forza all’interno di quel mondo, senza un focus principale e un punto di vista privilegiato.
La visione è come presa dall’alto a volo d’uccello, e l’occhio non è mai portato a concentrarsi su un unico punto focale, su una sola azione, una figura emergente, mentre la ricchezza e varietà di dettagli quasi antropomorfi o naturalistici lascia quasi storditi, come quando si gira in una giostra e tutto il mondo si snoda su un piano cominciando a sfocarsi in relazione alla velocità. Salta la gerarchia. Banisadr non usa la prospettiva geometrica per allineare secondo importanza i diversi elementi in gioco. Possono venire alla mente i dripping di Pollock anche se il tipo di lavoro eseguito da Banisadr con spatole e pennelli è decisamente diverso. Potremmo pensare a Pollock, Lee Krasner e Willem De Kooning tanto quanto a Hieronymus Bosch e Pieter Bruegel per questo: per certi versi nei loro quadri, con le debite differenze iconografiche, non riconosciamo un centro, “la loro composizione viene detta per questo all over, perché ogni parte del dipinto, ogni figura che ci metti dentro – ogni animale, albero, qualunque cosa – è importante quanto gli altri. – spiega l”artista -. Non c’è gerarchia. Trovo tutto questo molto interessante. Perché gli occhi possono muoversi nel dipinto e non c’è modo di trovare una figura gerarchica. Tutti sono uguali, tutti condividono questa energia nel dipinto”.
Attratti da una sorprendente ricerca cromatica procediamo a navigare con lo sguardo in una sorta di cosmogonia eccentrica vista dall’alto per poi calare in basso, verso il microcosmo, animato da innumerevoli dettagli, ed è come se la giostra rallentasse e lo sguardo si posasse su misteriose rivelazioni, esseri incomprensibili, improbabili, appartenenti a mondi fantastici, al mostruoso e ultraterreno. Vengono alla mente bestiari surreali e assurdi di epoca medievale, paesaggi orientali dove le pietre assumono forme antropomorfe e di strani animali. Nella sua esperienza estetica convivono astratto e figurativo, il linguaggio modernista e l’immaginario medievale. Il turbinio agitato delle sue tele mette in scena un mondo intero, che attinge al passato e al presente, e li costudisce entrambi offrendoci una visione senza tempo e mai circoscritta a un contesto culturale chiuso, ispirandosi in contemporanea all’arte di ieri e di oggi.
Questo modo di lavorare è una delle ragioni principali per cui Banisadr è rimasto così affascinato da Dante. Anche nei versi della Commedia c’è il mondo intero: l’Alighieri – per Banisadr che ne è un lettore appassionato – ha accolto personaggi della mitologia e dei poemi epici, figure storiche e politici a lui contemporanei. E l’Inferno, a tratti, è quel luogo in cui gli scenari apocalittici diventano reali. Un poema sintetico, un pandemonio che ha fortemente impressionato Banisadr. E questa moltitudine di figure ha contribuito a creare il mondo visionario che tutti conosciamo, un’enciclopedia mondiale della conoscenza.
“Da quando mi sono immerso nell’Inferno di Dante, un intero mondo si è aperto su ciò che è contenuto nei suoi versi” – dichiara l’artista. “Dante raccolse molte conoscenze frammentate, tratte da vecchi poemi epici, dalla mitologia, dalla storia e dalla politica, dando vita a un’opera visionaria. Sono affascinato da questi mondi multidimensionali in cui il poeta raccoglie un’intera enciclopedia universale della conoscenza. Sono anche affascinato da quante figure possano coesistere all’interno di una persona, perché psicologicamente parlando, tutti i personaggi che Dante incontra nell’Inferno sono in un certo senso le voci e le idee dei personaggi stessi che risuonano nella sua mente.”
“Quando ho conosciuto Ali Banisadr e ho potuto parlare con lui, mi sono imbattuto in un artista di grandi conoscenze non solo storico-artistiche ma letterarie e musicali. Le sue opere non possono essere disgiunte dalla sua biografia, segnata da eventi drammatici che si sono fissati nella sua memoria e vorrei dire nel suo corpo: dalla poesia e dai disastri della guerra attinge le sue visioni così fantastiche e surreali. Parlando con lui di Firenze e di Dante, ho scoperto la sua enorme passione per la Divina Commedia. Il modo in cui Banisadr sovrappone dettagli su dettali e crea paesaggi ricolmi di moltitudini, mescolando elementi figurativi ad altri decisamente astratti e informali, può ricordarci la struttura allegorico di Dante in un poema che da voce a decine e centinai di personaggi, eventi, immagini ognuna con una pluralità di significati. Nelle magnifiche pitture d Ali personalmente ritrovo un ritmo e un respiro che è vagamente narrativo e soprattutto polifonico, e non mi stancherei mai di ‘leggere’ il quadro da vicino e da lontano, sicuro di essere sempre sorpreso da un particolare e da una soluzione pittorica che aggiunge altre informazioni ed emozioni. Una sorta di pandemonio linguistico, una messa in scena sinestetica, risolta con una maestria pittorica eccezionale, opere che generano uno stato di angoscia nella meraviglia, non troppo distante da quello provato nella pandemia, che ha travolto come una tempesta tutti noi”, dichiara Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento.
“Penso che la memoria collettiva sia qualcosa di molto profondo dentro di noi” afferma l’artista. “E’ qualcosa di dominio pubblico, a cui tutti possiamo accedere. Sono sicuro che anche Dante abbia attinto a questa fonte e mi piace il modo in cui procede la narrazione della storia, portando i protagonisti sempre più in profondità nella terra. Trovo che questa sia una metafora di un viaggio personale, nella profondità di noi stessi, per scoprire che cosa è nascosto dentro di noi. Questo luogo, intimo e profondo, è dove vado sempre a scovare i simboli con cui esprimermi nei miei dipinti”.
“Beautiful Lies” è una delle opere ispirate a Dante che verrà esposta nella Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio, di fronte alla Giuditta e Oloferne di Donatello, ed è stata scelta per dare il titolo all’intera mostra. La “bella menzogna” sotto la quale si nasconde la verità è un’espressione usata proprio dall’Alighieri per parlare delle sue opere e dei poemi allegorici in generale, e si adatta perfettamente al lavoro di Banisadr, che con il suo tratto energico e le sue cromie che spaziano dalla psichedelia al monocromo, mette in scene il suo mondo privato (e quello universale), fatto di violenza e isolamento, di angoscia e meraviglia, ma anche di memoria e immaginazione.
Ali Banisadr
BEAUTIFUL LIES
30 aprile – 29 agosto 2021
Museo Stefano Bardini, via dei Renai 37 (Ponte alle Grazie)
Orari: lunedì, venerdì, sabato e domenica ore 11.00 – 17.00.
Museo di Palazzo Vecchio, Sala dei Gigli, Piazza della Signoria
Orari: lunedì, martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica ore 9.00 – 19-00; giovedì ore 9.00 – 14.00.
Il biglietto della mostra è incluso nell’ingresso dei rispettivi musei
Informazioni
Museo Novecento
Piazza Santa Maria Novella 10 | Firenze
e.mail: info@muse.comune.fi.it | segreteria.museonovecento@muse.comune.fi.it
www.museonovecento.it