I Cochlea sono un trio alternative rock dalla Versilia, formato da Brunilde Galeotti (voce, synth), Daniele Busatti Bei (chitarra) e Andrea Bruciati (batteria, pad).
Ascoltare i loro brani significa fare un tuffo in un mondo parallelo, un luogo in cui l’immaginazione si abbandona agli effetti psichedelici e avvolgenti della chitarra e si lascia cullare dalle aperture liriche della voce. Trasportati dalla cupa sezione ritmica di basso synth e beats elettrico, l’immersione è completa e disarmante all’interno di un profondo sogno dal quale non vorremmo mai essere svegliati. Un mondo onirico in cui siamo suono ed il suono è noi.
(Qui il link del loro singolo, “Mostri”:
https://www.youtube.com/watch?v=VTMegAZZjpc)
Senza alcun filtro, dunque, ci abbandoniamo anche ad una piacevole intervista a Brunilde Galeotti, per conoscere meglio questa band.
Da dove nasce la voglia di fare musica?
La domanda non è semplice, credo che ogni artista abbia la necessità di comunicare delle pulsioni che nascono da un posto molto profondo della propria persona e che spesso non abbia idea di dove questo luogo sia veramente.
Per me è stata una cosa molto spontanea, ho iniziato da un altro canale espressivo: il disegno. Sono entrata in stretto contatto con la musica quando la mia formazione grafica era già ad un livello avanzato; frequentavo l’Accademia di Belle Arti e senza l’esigenza di uno scopo preciso e immediato mi è capitato di trafficare con la musica. L’ambiente eclettico e collaborativo dell’Accademia mi ha aiutata ad approfondire il tema e a far nascere in me la vera vocazione.
Quando sono in sala prove, quando scrivo un pezzo, quando suono con i Cochlea, provo una gratificazione molto più grande, una soddisfazione totalizzante slegata dalle insoddisfazioni del contesto esterno.
Parlando di insoddisfazioni, avete avuto momenti difficili? E come li avete risolti?
Qualche anno fa abbiamo seguito una strada che si è rivelata deludente sotto molti punti di vista, abbiamo involontariamente dato vita a una serie di meccanismi che hanno fatto nascere in noi un profondo senso di aspettativa basata sui livelli di consenso, di visibilità e che inevitabilmente ci ha portati a sentirci frustrati.
Per uscire dal mood negativo che si era creato abbiamo deciso di ascoltare le nostre sensazioni e ristabilire la nostra identità. È nata così l’idea del “Tour dell’Altro Mondo”. Durante tutta l’estate del 2018, siamo andati a suonare in dei posti totalmente fuori contesto, senza pubblico, senza palco, solo alla ricerca di nuove ispirazioni.
Luoghi abbandonati, talvolta anche difficili da raggiungere ma estremamente suggestivi, equipaggiati con un carrello auto costruito alimentato a batteria e che permette di imbastire ovunque un live set interamente elettrico. Questo progetto è documentato da una serie di sei video in cui i brani de “La Vita Invisibile” (il nostro secondo album) sono suonati all’interno di locations quali il Teatro del Silenzio, una fabbrica di dinamite abbandonata e altri scenari inconsueti.
Grazie a questa esperienza abbiamo ricaricato le pile, soprattutto con l’ultima tappa in cui abbiamo organizzato una sorta di jam session alla quale hanno partecipato amici e colleghi musicisti. In questa occasione si è creata una situazione davvero straordinaria, molto rituale. Era notte, eravamo illuminati solo da un grande falò e tutti hanno partecipato in una sorta di flusso musicale ininterrotto. Un’atmosfera che ha ristabilito le nostre prerogative. Il nostro non è intrattenimento, ma un’immersione in un flusso musicale al quale chiunque è invitato a partecipare.
È quindi molto importante per voi il contatto con l’ascoltatore? Molti artisti risentono della mancanza del live dovuta alle norme anti Covid. Quanto è importante per un progetto come il vostro, nato nell’epoca del digitale, il confronto con il pubblico?
Teniamo particolarmente al live, proprio perché lo viviamo come momento di catarsi. Quello che succede durante un live ha delle caratteristiche uniche che per natura non possono avvenire in streaming. Il che non vuol dire che disprezziamo il digitale, non ci chiudiamo di fronte alle opportunità che offre.
I nostri pezzi sono disponibili su diverse piattaforme social, ad esempio. Personalmente ho potuto proseguire l’insegnamento con i miei allievi di canto tramite la DAD. La band ha potuto, poi, continuare a lavorare nonostante la distanza, scambiarsi registrazioni e progredire nella messa a punto nei nuovi pezzi a cui stiamo lavorando e che presto vedranno la luce.
I vostri primi due album: Inverni (2015) e La vita invisibile (2018) sono ricchi di sperimentazioni sonore. Ci sono artisti a cui fate riferimento nella vostra ricerca musicale?
Gli artisti che ci stimolano sono davvero tanti, spesso per motivi che non necessariamente si riflettono automaticamente nel nostro stile musicale. Alcuni gruppi fondamentali per noi posso essere i Nine Inch Nails e i Massive Attack, ma un artista che amiamo particolarmente è Franco Battiato. Se in Italia si è sviluppato un modo alternativo di fare musica è senza dubbio anche merito suo e delle sue atmosfere cupe ed elettroniche, insomma un sound non tipicamente italiano. Proprio per omaggiarlo abbiamo infatti realizzato la cover di un suo bellissimo brano, “L’ombra della luce”.
(Qui il link della cover de “L’ombra della luce” di Battiato: https://www.youtube.com/watch?v=PA5Dtxw6mnA)
Un’ ultima domanda, cosa ne pensi del talento?
È una parola che non amo, credo che alimenti l’idea che esista un dono con cui è possibile nascere e che quindi ti renda speciale. Invece non è così.
Si, penso che ognuno possa avere delle abilità, delle predisposizioni e delle vocazioni. Come dicevo prima, credo in quel sentimento che ti spinge ad agire verso una determinata strada e che personalmente mi ha spinta verso la musica.
Il termine talento invece è fuorviante e spesso riscontro questo problema con i miei allievi più giovani che vengono a lezione di canto con l’idea di raggiungere subito risultati, come se altrimenti non valesse la pena continuare. Non c’è l’idea di un processo, di una crescita, di una maturazione. Ciò che cerco di fargli capire è che invece l’arte si presenta sotto le forme più diverse.
La storia ci insegna che ogni artista ha il suo percorso individuale, c’è chi è passato da un percorso accademico, ci sono gli autodidatti, artisti che hanno avuto una grande fortuna nel loro tempo, altri no. Ci sono anche artisti che sono diventati maturi giovanissimi e altri che hanno raggiunto il loro apice in vecchiaia. Insomma, non esiste uno stereotipo di percorso artistico e credo proprio che noi Cochlea ne siamo un esempio.
Grazie Brunilde.
Teresa Scuccimarra
Per saperne di più sui Cochlea è possibile visitare i loro social:
FB: https://www.facebook.com/cochlea.cochlea
IG: https://www.instagram.com/cochlearitual/
Per ascoltare i loro brani:
Spotify:https://open.spotify.com/artist/4Co0DpobcG5BcqfbBFomPs?si=ns76xr0ERXGbCqBO5kOCnQ
Soundcloud: https://soundcloud.com/cochlea-3
Bandcamp: https://cochlea.bandcamp.com/releases