La compagnia Teatri d’Imbarco ha riaperto i battenti del Teatro delle Spiagge simbolicamente il 1° maggio dopo mesi di chiusura. Lo ha fatto con uno spettacolo che ha definito sceneggiato teatrale, un’inedita seppur fedelissima versione de Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia in un formato video ripreso in teatro. Un ibrido che tinge del bianco e nero da sceneggiato televisivo il romanzo giallo dello scrittore siciliano di cui festeggiamo il centenario dalla nascita. I colori però ci sono tutti, come c’è lo scricchiolio del palco sotto i passi degli attori, di tutti gli attori in scena. Così la scelta della Festa dei Lavoratori come punto di ripartenza assume ancora più valore, facendosi carico di raccontare un’esperienza unica, virtuosa, forse fortunata.
Registrato durante la chiusura imposta dall’emergenza sanitaria, La civetta di Sciascia testimonia ancora l’importanza del teatro come presidio culturale e sociale del territorio, un’isola che, non senza sforzi, resiste alla tempesta e offre riparo a tanti naufraghi. Le metafore si sprecano, ma è facile lasciarsi trasportare dall’immagine sempre più nitida di un teatro che salva.
20 attori toscani in scena, tra nomi noti e giovani promettenti, 17 episodi di un giallo che non è solo un giallo, 2 serate – o preserate – che fanno vivere di nuovo di voci e applausi la sala. È un sollievo scoprire, tornando in platea dopo tanto tempo, che la macchina dello spettacolo si rimette in moto senza mai essersi spenta del tutto. Almeno qui.
Lo sapevano, alle Spiagge, che il desiderio di riaprire li avrebbe assaliti subito, allora hanno giocato d’anticipo, senza farsi cogliere impreparati. Così, in meno di una settimana dal via libera, sono riusciti a organizzare una doppia serata che non fosse improvvisata, che non si facesse tradire dalla frenesia, e hanno accolto gli spettatori con un degno bentornati.
La civetta di Sciascia è un progetto corale su uno dei capolavori della letteratura italiana, frutto di una collaborazione di Libera Firenze e di una regia scrupolosa, pronta a mettere la propria firma senza intaccare un testo perfetto così com’è. Sono rari i casi anche letterari che possono vantare un linguaggio così limpido e penetrante come quello di Leonardo Sciascia, che nella propria vita riuscì sempre a utilizzate le parole come voleva e come meglio credeva, prima da insegnante, poi da giornalista e scrittore poliedrico, infine anche da politico. Fu il primo in Italia a scrivere di mafia, tanto da essere accusato di essersela inventata. Scelse di farlo da romanziere, non da giornalista, non da drammaturgo, non da poeta, sebbene fosse tutte queste cose e altre ancora. Scelse la perfezione di una storia – una storia semplice, verrebbe da dire, e quindi dai sottotesti complicati – per dire qualcosa che nessuno voleva dire e soprattutto nessuno voleva sentire.
La civetta di Nicola Zavagli coglie la lucida chiarezza di questa scelta e dà voce alle parole scritte lasciando che si muovano nell’aria come sulla carta, senza mai uscire dai margini.
A fare da scenografia ai vari capitoli ci sono i dipinti di Renato Guttuso, amico di Sciascia, anch’egli artista impegnato e orgogliosamente antifascista. Come ha ricordato Beatrice Visibelli in una breve e commossa introduzione allo spettacolo, i rapporti tra i due intellettuali si interruppero quando lo scrittore siciliano lasciò il PCI per militare nel Partito Radicale, per il quale fu anche deputato. Fu allora che disse a Guttuso «Siamo d’accordo, ma la pensiamo diversamente».
Poche parole che attestano stima e amicizia anche in un momento difficile, ma soprattutto una capacità di dialogo e di sintesi che ritroviamo in tutti i suoi scritti e che ci deve far pensare quanto è stato fondamentale che di mafia, per primo, ne abbia parlato lui, e non altri.
Lui romanziere, lui studioso, lui siciliano.
«Il siciliano per sua natura non può essere ottimista e questo per due motivi. Il primo è un motivo pratico: l’esperienza di vita, quella storica come quella individuale. L’altro risiede nel fatto che il siciliano è per natura un razionalista. Qualsiasi razionalista può essere soltanto pessimista, di fronte a una realtà che non corrisponde alle sue idee.»
Così diceva in un’intervista nel 1987 Maura Formica e Michael Jakob, che accolse con un vassoio di cannoli a Palermo. Era già passato diverso tempo da quel 1960 in cui aveva scritto Il giorno della civetta, ambientato nel dopoguerra e ancora oggi strumento prezioso per indagare della realtà.
Il lavoro di indagine non si ferma qui per il Teatro delle Spiagge, che sta preparando una scrittura originale per l’evento-spettacolo che introdurrà le celebrazioni in ricordo della Strage dei Georgofili il prossimo 27 maggio, in collaborazione con l’Associazione dei Familiari delle Vittime.