L’incantevole e rinomata bellezza di piazza Santo Spirito, a Firenze, è in queste ore oggetto di discussione. Ma, in coscienza, non possiamo certo ritenere si tratti solo di una diatriba di quartiere, perché investe un sito artistico di inestimabile valore, ritenuto tra i tradizionali spazi di incontro della città.
La cordonatura del sagrato del Brunelleschi della Basilica, voluta dall’amministrazione comunale, ha acceso vive polemiche tra i cittadini e ha effettivamente deturpato, come non potranno mai fare i suoi affezionati fruitori, l’armonia estetica di un’opera d’arte che è ritenuta patrimonio dell’umanità e tale dovrebbe rimanere.
La questione del decoro urbano, pare stia divenendo pretesto abituale, utile a musealizzare la città, che rischia di trasformarsi in una grande vetrina disabitata; appare, oltretutto, profondamente paradossale che un luogo di culto eriga palizzate, invece di organizzare un’accoglienza.
Cosa ne avrebbe detto Don Gallo? E Giorgio La Pira?
Forse quello che hanno affermato già diverse associazioni, personaggi pubblici, intellettuali e una intera moltitudine di persone che, ieri sera, si sono affollate, durante una manifestazione pacifica, per animare, ancora una volta con musiche, canti e balli, quei luoghi che saranno presto impraticabili e invivibili, come delle aiuole spartitraffico tra i tavoli a pagamento dei locali.
La manifestazione si è conclusa con quella che vogliamo ritenere una valida performance artistica di grande impatto comunicativo: le ingombranti basi di cemento a sostegno, oltretutto assolutamente eccessivo, della cordonatura in questione, sono state ordinatamente sollevate, in modo da trasformarsi in cornici che esibivano i ringraziamenti al Sindaco per questa prova di fragilità gestionale di aree pubbliche, che anche noi ci sentiamo in dovere di segnalare, aggiungendo che la convivenza civile, negli spazi comuni, non può essere ottenuta con divieti e recinzioni, ma solo con una sensibilizzazione di quanti hanno il diritto di frequentarla e abitarla.
Innalzare murate non elimina problemi, ma li acuisce, nel tentativo di spostarli o nasconderli, ma non di risolverli.
Ines Arsì