Al via la presentazione della prima parte della stagione “Frammenti” del TeatroBasilica, da settembre a dicembre 2021.
La forma si è scomposta, l’immaginario trasfigurato, l’orizzonte del logos ha perso gli appigli intorno ai quali era abituato a tessere le trame di argomentazioni inoppugnabili. E come in un’Atene periclea svuotata dalla guerra e dalla peste, la nostra realtà vive una crisi, un vortice caotico che ha tutte le potenzialità per diventare origine di un mutamento filosofico, artistico e morale.
Il nostro presente indicativo, quello in cui vive il gesto teatrale, chiama al racconto, a quell’impulso immediato e violento che per Primo Levi rivaleggia con altri bisogni elementari. É la capacità di narrare il mondo che, per Bruner, ci dà la forza di vivere, di ricordare e di dimenticare, di stare dentro e fuori “la realtà”, di tornare ogni volta a sperare e intravedere mondi possibili.
Questa è la grande occasione affidata alla nuova stagione del TeatroBasilica: rispondere da teatranti a quel dáimōn socratico che ci impedisce di deviare dal destino di metterci al servizio della comunità. Offrendo una nuova liturgia laica dell’atto teatrale: drammatico, puro e disegnato sulla base di una ricerca che oggi può essere fertile di spunti critici, a tratti drammatici, e come non mai aperta ad intraprendere nuove strade.
La drammaturgia contemporanea, orizzonte della programmazione del TeatroBasilica, trae alimento anche dal patrimonio di esperienze consolidate di teatranti maturati all’ombra degli scorsi decenni, latori di una pratica che può nutrire l’indagine sul mondo in evoluzione.
Alessandro Di Murro, Daniela Giovanetti e la Compagnia Gruppo della Creta – con l’ausilio di Antonio Calenda – intendono restituire alle tavole del TeatroBasilica la sua identità di luogo deputato ad una dialettica tra artisti d’esperienza e nuove ipotesi da tracciare. Entrambi i momenti coesistono all’insegna di una visionarietà duttile e “taumaturgica”.
“Frammenti” è il progetto elaborato per la ripartenza, che abiterà lo spazio scenico del TeatroBasilica nella stagione 2021/2022. Occasione per lavorare sul segno – sia esso Parola, gesto, luce, suono o elemento scenico – dentro e al di là di un linguaggio, incarnazione del mutamento, strumento indispensabile per rappresentare le necessità del mondo.
Se è vero, come sostiene Robert Bly, che “l’anima dell’uomo è nella ferita”, nel cuore di una Roma post pandemica TeatroBasilica sarà il luogo in cui artisti e spettatori potranno condividere il racconto, per ricostruire insieme una nuova necessità morale di fare teatro.
TeatroBasilica
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TeatroBasilica riapre a settembre con tre lavori che avranno appuntamenti periodici durante l’intera stagione teatrale.
La Regola dei Giochi, costituito dalla messa in scena di cinque brevi drammaturgie di Anton Giulio Calenda per la regia di Alessandro Di Murro e con gli attori del collettivo Gruppo della Creta, in scena da settembre 2021. “Ucronìa o Va tutto bene”, “il Regno”, “Soldato”, “Matteo” e “Squali: studio marino” sono i titoli di cinque “gesti” teatrali che rappresentano tappe di un più complesso schema.
Un Giorno, Un Mese , Un Anno di Riccardo Caporossi. Il Progetto riguarda una serie di letture che hanno come oggetto racconti e novelle di Luigi Pirandello, scelti tra i numerosi scritti. Letture affidate ad un gruppo di attori. Il lavoro durerà un anno: 12 appuntamenti; uno al mese a partire da settembre 2021, nei quali uno o più attori leggeranno un racconto per svelare l’officina segreta della scrittura di Pirandello.
Appuntamento da non perdere con Roberto Herlitzka legge Dante che prosegue la lettura integrale della Divina Commedia a cura di Antonio Calenda. Dopo l’Inferno, letto nel mese di maggio del 2021, Roberto Herlitzka torna al TeatroBasilica per completare la meravigliosa impresa di leggere integralmente l’opera di Dante Alighieri.
A ottobre due prime nazionali: Cuò-Re. Sostantivo Maschile – Ovvero Quanto Della Nostra Vita È Una Performance? di Angela Di Maso, con Daniela Giovanetti e Alvia Reale, regia di Alvia Reale e Voltati, Parlami di Alberto Moravia, diretto ed interpretato da Lucia Lavia. Due lavori nati ed elaborati durante il lungo periodo di stop obbligato del 2020/2021.
A novembre andrà in scena Tradimenti di Harold Pinter traduzione di Alessandra Serra, regia Michele Sinisi, con Stefano Braschi, Stefania Medri e Michele Sinisi. Seguirà L’Eccezione E La Regola di Bertolt Brecht, traduzione di Laura Pandolfi, regia di Walter Pagliaro, con Micaela Esdra e un cast in via di definizione.
A dicembre debutterà Les Quatre Petites Filles di Pablo Picasso, con Francesca Benedetti per la regia di Antonio Calenda.
Inoltre nel corso della prima parte di stagione ospiteremo Fake Shakespeare, scritto da Andrea De Manincor, per la regia di Solimano Pontarollo, I Giganti della Montagna – Voce sola di e con Valentina Banci e L’uccellino Azzurro di Maurice Maeterlinck a cura di Claudia Della Seta, Sofia Diaz, Daniela Giovanetti, Glenda Sevald, Piccoli Funerali di e con Maurizio Rippa.
Riprenderanno a settembre anche gli appuntamenti del lunedì dedicati alla scoperta del mondo della vini cultura sostenibile e naturale con Vignaioli in scena un progetto di Gabriele Merlini e Marco Arturi.
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APPUNTAMENTI PERIODICI
LA REGOLA DEI GIOCHI
di Anton Giulio Calenda
Regia: Alessandro Di Murro
Interpreti: Valeria Almerighi, Matteo Baronchelli, Jacopo Cinque, Alessandro De Feo, Alessio Esposito, Amedeo Monda, Laura Pannia, Bruna Sdao.
Disegno Luci: Matteo Ziglio
Scene e Costumi: Laura Giannisi
Musiche: Enea Chisci
Aiuto Regia: Tommaso Cardelli
Assistente di Regia: Jessica Miceli
Produzione: Gruppo della Creta e Fattore K
Il progetto “La Regola dei Giochi” prevede la messa in scena di cinque atti unici scritti da Anton Giulio Calenda per la regia di Alessandro Di Murro.
In scena da settembre 2021, vedrà come protagonisti gli attori del collettivo Gruppo della Creta.
“Ucronìa o Va tutto bene”, “il Regno”, “Soldato”, “Matteo” e “Squali: studio marino” sono i titoli di questi cinque gesti teatrali che prenderanno in esame la dimensione alienata e alienante dell’individuo.
Il pubblico si troverà ad assistere alla perdita totale di senso insita nelle parole e nei gesti dei personaggi. Coglieremo, dai loro racconti, dalla loro comicità esasperata e dalle emozioni interrotte, la necessità di ritrovare l’ascolto e la comunicazione perduti.
I cinque atti unici verranno proposti al pubblico una settimana al mese per, auspicabilmente, tutti i mesi della stagione teatrale. Una formula, questa, individuata e scelta dal Gruppo della Creta al fine di aumentare la propria “residenzialità” nella cornice del TeatroBasilica e incentivare un maggior dialogo con il pubblico.
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UN GIORNO, UN MESE , UN ANNO
Dodici racconti di Luigi Pirandello
Dodici Attori
Dodici Opere di Arte Visiva
Progetto a cura di Riccardo Caporossi
“Se un’opera d’arte sopravvive è solo perché noi possiamo ancora rimuoverla dalla fissità della sua forma; sciogliere questa sua forma dentro di noi in movimento vitale; e la vita glie la diamo allora noi; di tempo in tempo diversa, e varia dall’uno all’altro di noi………”
L’Azione
Il Progetto riguarda una serie di letture che hanno come oggetto racconti e novelle di Luigi Pirandello, scelti tra i numerosi scritti. Letture affidate ad un gruppo di attori. Il progetto durerà un anno: 12 appuntamenti; uno al mese a partire da settembre 2021, nei quali un attore o attrice leggeranno un racconto. 12 attori tra “giovani” e “vecchi”. Attori-persone che sappiano svelare, attraverso il loro mondo, l’officina segreta della scrittura di Pirandello: un laboratorio di storie e di ritratti che annulla la distinzione tra narratore e drammaturgo, perché l’uno era legato all’altro indissolubilmente.
Ad accompagnare l’arco dei 12 appuntamenti delle letture pirandelliane ci sarà l’esposizione di un “oggetto” (quadro, scultura, installazione) la cui realizzazione prenderà spunto dal racconto letto nell’appuntamento del mese.
Questa iniziativa amplia la relazione tra il pubblico e il pensiero di chi desidera tradurre nel proprio lavoro un nuovo rapporto di ascolto e di visione con lo spettatore, sia esso cittadino o straniero, stimolarne conoscenza, riflessione e guidarlo attraverso un percorso che lo coinvolga direttamente come testimone, con uno sguardo attento, partecipe, che vede nella memoria la possibilità dell’avvenire. Un investimento nella contemporaneità perché produca ancora cultura e storia, cioè futuro.
La raccolta delle registrazioni e la serie degli “oggetti artistici” costituiranno un documento significativo del progetto, una combinazione di segni linguistici, tra parole e immagini; risultato di un comune percorso per lasciare memoria di una interpretazione contemporanea di alcune pagine scritte da uno tra i più importanti scrittori e drammaturghi italiani del Novecento. Pagine lette da valenti attori, orientando la scelta tra quelli conosciuti anche ad un pubblico vasto, insieme a “giovani” interpreti, meno conosciuti, ma altrettanto impegnati in un percorso creativo, d’autore, della loro interpretazione.
Per le 12 opere di Arte Visiva, Riccardo Caporossi metterà in gioco il mondo immaginario e il segno visivo che caratterizzano il suo lavoro. Questa serie di opere rappresentano “Narrazioni”, perché anche con il linguaggio delle Arti visive si scrive. Si scrive il Tempo.
Non vuole solo essere la dilatazione letteraria di una forma espressiva, ma anche un “oggetto” che narra una sua storia: quella per cui nasce e quella per come cresce tra le mani di un artista.
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ROBERTO HERLITZKA LEGGE DANTE
A cura di Antonio Calenda
Prosegue la lettura integrale di Roberto Herlitzka della Divina Commedia a cura di Antonio Calenda.
Dopo l’Inferno, letto nel mese di maggio del 2021, Roberto Herlitzka torna al TeatroBasilica per completare la meravigliosa impresa di leggere integralmente l’opera di Dante Alighieri.
In questo 2021 che celebra i 700 anni dalla sua morte, il Sommo Poeta non smette di riservarci sorprese: con Roberto Herlitzka il linguaggio simbolico, allegorico, anagogico e metaforico della Commedia, si farà ancor più avvincente guardando quell’oltre, croce e delizia per ogni essere umano spesso costretto a saper “come sa di sale lo pane altrui e come è duro calle lo scendere e ’l salir per l’altrui scale” e che, in qualunque condizione umana interiore ed esteriore si trovi, aspirerà sempre “a riveder le stelle”.
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PROGRAMMAZIONE
OTTOBRE
CUÒ-RE. SOSTANTIVO MASCHILE
OVVERO QUANTO DELLA NOSTRA VITA È UNA PERFORMANCE?
Di Angela Di Maso
Con: Daniela Giovanetti, Alvia Reale
Regia: Alvia Reale
Costumi: Sandra Cardini
Scene: Laura Giannisi
Luci: Matteo Ziglio
Assistente alla Regia: Jessica Miceli
Produzione: Gruppo della Creta
Cosa rimane alla fine? Cosa conta quando il mondo si ferma? Daniela Giovanetti, Alvia Reale e la drammaturga Angela di Maso tentano l’impresa di essere sincere. Cuò-Re nasce così, come una conversazione intima sul passato e sul futuro, sulla morte e sulla Comunità che noi chiamiamo Teatro. E si prova a toccare quei luoghi della propria memoria e della propria intimità, nel tentativo di trasformare la propria vita in immaginario collettivo. Sono io, ma non proprio… Così tra autobiografia e dimensione onirica, la voce umana diventa di animali, per poi trasformarsi in passi di danza, in note stonate. Fino all’incontro davanti ad un Teatro chiuso, per dirsi che nonostante tutto non è finita. L’ultimo spettacolo sarà meraviglioso.
Note di regia
Dopo questo anno drammatico, il pensiero di tornare a lavorare nello stesso modo, con un regista che sceglie per te il testo, con un teatro che sceglie per te i compagni di lavoro e le modalità, ci è parso non sopportabile. Ci siamo prese quindi la responsabilità di fare una scelta in autonomia. Nel frattempo io personalmente, ho dovuto fare i conti con la morte di mia madre, con il suo funerale deserto, con la paura di non essere più neanche in grado di saper raccontare delle storie. Di questo abbiamo parlato con Daniela, quando ci siamo incontrate davanti ad un Teatro chiuso. Abbiamo azzardato: Perché non parlare di noi? “Non c’è agonia più grande che tenere una storia non raccontata dentro di sé”. In fondo noi siamo le storie che abbiamo vissuto, che ci hanno dischiuso orizzonti, che scriviamo con la nostra vita e che impariamo a trasmettere. Per fare questo però, avevamo bisogno di un Drammaturgo che rendesse materia Poetica e Teatrale i nostri racconti. Subito abbiamo pensato ad Angela, con la quale da tanto volevamo collaborare. Angela è una drammaturga piena di grazia e di talento, ed è in grado di trattare anche le nostre “ zone d’ombra”. Perché non ci sono solo storie buone, ci sono anche storie di odio, di dolore, di inimicizie e delusioni. E così, ricordando quelle che eravamo mentre ballavamo “con” Don Lurio, bisognerà affrontare un passato che potrebbe schiacciarci. In fondo, come scrive Karen Blixen «tutti i dolori possono essere sopportati se vengono messi in un racconto, o se si narra, su di essi, un racconto».
Alvia Reale
Note del Drammaturgo
Il lavoro drammaturgico su Cuò-re nasce da tre desideri: quello mio, di Alvia e di Daniela di creare qualcosa insieme. Quello di creare qualcosa insieme che fosse un progetto originale. Quello di creare qualcosa insieme che fosse un progetto originale, ma in cui il concetto di originalità fosse sinonimo di verità. Ma la verità è anche un percorso da fare, non un traguardo da cui partire. E si sa che noi tutti preferiamo ignorarla, la verità. Per non soffrire. Per non guarire. Perché altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere. Vivi. Ma noi tre questa verità la volevamo. A tutti i costi. Alvia e Daniela allora si sono messe a disposizione di questo nostro progetto in prima persona, andando quindi al di là del puro atto interpretativo per diventare loro stesse oggetto di analisi da cui fare nascere l’atto creativo. Perché ogni verità è un percorso tracciato solo attraversando la vita stessa. Passata. Presente. E futura. Forse. A me il compito in questo momento teatrale più rivoluzionario: ascoltare. E avere scritto il testo in cui il loro Cuò-re diventa un luogo in cui a noi tutti è dato ritrovarsi. Riconoscersi.
Angela Di Maso
VOLTATI, PARLAMI
di Alberto Moravia
Diretto ed interpretato da Lucia Lavia
Scene e Costumi: Laura Giannisi
Luci: Matteo Ziglio
Musiche: Giacomo Vezzani
Regista assistente: Danilo Capezzani
Direttore di produzione: Pino Le Pera
Progetto grafico: StudioTurandò
Produzione: Gruppo della Creta
Nota di regia – Lucia Lavia
Pubblicato per la prima volta nel 1984 “Voltati Parlami” di Alberto Moravia si ispira al dramma in un atto di Eugene O’Neill intitolato “Prima di colazione”. Moravia ne ricava però il soggetto da un suo precedente racconto intitolato “La vergine e la droga”. L’autore, durante un’intervista, definì il suo monologo come “un soliloquio di una snervante Pariolina con accanto il compagno, un poetucolo Italo-americano di Los Angeles”. Ma in realtà ciò che Moravia racconta, con la sua scrittura asciutta e tagliente, è ben più profondo. “Voltati parlami” è un “A solo” che ti spezza il cuore. Una storia di solitudine. Uno squarcio inclemente e feroce su due esseri umani che si presentano allo spettatore l’uno muto e inerte, l’altra logorroica e propulsiva. Entrambi alla deriva, entrambi accomunati dalla medesima straziante e sofferta incapacità di aprirsi all’altro, al mondo circostante, alla vita. Di aprirsi persino a se stessi. Condannati “ad una chiusura spasmodica, un rifiuto precostituito, un gelo irrimediabile” come dirà la nostra Alice in questa pièce, unica detentrice delle parole di Moravia. Questo pezzo breve racconta l’impossibilità costante di essere accolti dall’altro, proprio per l’incapacità di accogliere l’altro; pur bramando più di qualsiasi cosa, disperatamente, incondizionatamente, un “briciolo” di amore. “…un po’ d’amore. Una volta ogni trenta giorni.”
Sin dalla prima lettura di questo testo sentii l’urgenza di raccontare allo spettatore il personaggio di Alice – o per meglio dire – tutto ciò che ella racconta in sé. Il suo mondo emotivo, distorto e labile, fatto di vuoti e desolazioni. Ho deciso di portare in scena, come mio primo lavoro, questo testo per la ragione che esso racchiude tutto ciò che mi interessa profondamente indagare e raccontare come attrice. La dipendenza affettiva e tutto ciò che ne consegue: la solitudine come forma di malattia, l’incapacità di amare, la paura di essere visti, di essere invasi, di essere accolti e di accogliere. Ciò che mi preme è dare voce a quelle anime sofferenti che per sopravvivere al loro dolore si sono costruite un mondo emotivo fatto di regole rigidissime, di ordine e di imposizioni, ma talmente fragile e precario che basterebbe un soffio per farlo crollare. Correndo il rischio di rimanerne schiacciati. In questo piccolo universo, tanto simile a una cristalleria gracile e strampalata, non c’è spazio per nessuno. All’infuori di quell’enorme cosa che ingombra più di tutte: l’assenza.
NOVEMBRE
TRADIMENTI
di Harold Pinter
Traduzione di Alessandra Serra
Regia Michele Sinisi
Con Stefano Braschi, Stefania Medri e Michele Sinisi
Scene Federico Biancalani
Collaborazione artistica Francesco M. Asselta
Aiuto regia Nicolò Valandro
Foto Luca Del Pia
Produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale
Con il contributo di Next-Laboratorio delle idee
Robert: Beh… mi sembra un argomento fin troppo sfruttato, non trovi?
Emma: E qual è, secondo te, l’argomento?
Robert: Il tradimento.
Scritta dal drammaturgo inglese Premio Nobel per la Letteratura Harold Pinter e presentata nel 1978 a Londra, Tradimenti è una delle più celebri opere dell’autore.
La storia è quella di una relazione extraconiugale ripercorsa però a ritroso, dalla sua fine fino ai suoi esordi. Tutto inizia due anni dopo la fine del rapporto e termina prima che esso abbia inizio.
Ma, oltre ai due amanti c’è anche il marito di lei, nonché migliore amico di lui.
Insomma, un triangolo a tutti gli effetti, dalla trama apparentemente semplice e lineare.
Se non fosse che il susseguirsi dei fatti lascia piano piano spazio alla complessità d’animo dei tre personaggi, accomunati da un segreto a volte difficile da portare.
Ed è forse proprio questo – il segreto – l’elemento chiave della pièce. Le parole non dette, i pensieri taciuti, le azioni nascoste riempiono le vite dei personaggi, invadono i loro spazi, si insinuano in tutte le loro relazioni. Ma, come spesso avviene con le opere dei grandi maestri, non è solo di loro che Pinter ci parla. Sono infatti anche la nostra quotidianità, il nostro segreto ad essere messi in gioco.
Note di regia
Chi frequenta il teatro e la letteratura conosce molto bene Pinter e il suo Tradimenti mentre chi non l’ha mai visto ne apprezza l’intreccio. Questo dovrebbe rendere molto difficile, per un regista oggi, portare avanti un discorso originale sul testo considerando quanto la forma del testo non possa essere minimamente toccata.
L’approfondimento dell’umano ha accompagnato la costruzione dello spettacolo fianco a fianco con lo scenografo Federico Biancalani e gli attori. Fondamentale è stato un profondo confronto collettivo rispetto al testo e alle sue possibili interpretazioni.
Tradimenti infatti è ricco di elementi di analisi, di spunti di riflessione che tutt’ora possono attivare, nel pubblico, una risposta “potente”. Bisogna solo cercare nuove prospettive da cui guardare il tradimento, esaminare la complessità di questo tema. Non basta rappresentarlo.
Per fare questo si è resa la scenografia co-protagonista, elemento fondamentale infatti a portare fisicamente l’opera pinteriana davanti allo spettatore creando un ambiente in cui i corpi e le voci potessero emergere in tutta la loro forza vitale. “L’opera” messa in scena consiste nei diversi livelli proposti dal testo: l’opera della galleria d’arte diretta da Emma, le opere letterarie del mondo dell’editoria da cui provengono Jerry e Robert, e l’opera di Pinter intoccabile, non modificabile, quasi fosse marmorea e inscalfibile. Quindi il concetto di tradimento riguarda la narrazione nella sua totalità, tra la forma e il contenuto. Il titolo del testo segna un’esperienza non solo di coppia ma umana più in generale, rispetto all’opera, alla possibilità e alla tentazione di rivelarne piani nascosti. Complesso è il tradimento nel rapporto col pubblico che, convinto di aver compreso tutto, scopre continuamente il ribaltamento della verità accompagnato da uno strano piacere per quell’imprevisto. Il piacere del rischio che ci fa sentire vivi nella vita e sulla scena nel tradire il testo, la voce dell’autore. Ma sappiamo quanto tradire possa significare elaborare, rinnovare con nuova vita la voce autoriale in uno spazio nuovo nel quale esprimersi. Io ho deciso di affrontare questa “traduzione” in scena utilizzando come filo rosso quello del testo, in quanto opera d’arte. La professione di gallerista di Emma, quella legata alla scrittura di Jerry e Robert sono gli elementi attraverso i quali il percorso artistico interroga se stesso, nel testo e nella scena. Ecco questo ho voluto valorizzare, insieme allo studio dei rapporti fra i protagonisti, alle loro relazioni. Però, come sempre, prestando grande attenzione al pubblico.
Michele Sinisi
L‘ECCEZIONE E LA REGOLA
di Bertolt Brecht
Traduzione Laura Pandolfi
Regia Walter Pagliaro
Scene Gianni Carluccio
Costumi Annalisa Di Piero
Musiche Germano Mazzocchetti
Con Micaela Esdra e un cast in via di definizione
Produzione a cura dell’Associazione Gianni Santuccio e del Centro Diaghilev
In occasione del centesimo compleanno di Strehler, abbiamo pensato a un piccolo omaggio: lavorare, del tutto liberamente, su uno dei testi da lui più amati.
“L’eccezione e la regola“, fa parte di quei drammi didattici scritti fra il 1928 e il 1934. In quegli anni Brecht era concentrato su una duplice riflessione: da una parte lo studio del teatro NO e del KABUKI, e dall’altra l’approfondimento del marxismo. Lo scopo dei drammi didattici è quello di coinvolgere gli spettatori in un processo dialettico in cui essi siano sollecitati a prendere una posizione, a schierarsi.
“L’eccezione e la regola”, mette a fuoco la complessità del gesto che un umile “Portatore” compie nei confronti del “Mercante” che lo sfrutta. L’improbabile altruismo del servo a favore del suo padrone scatena una reazione assassina che viene pienamente giustificata da un tribunale corrotto. Il nostro progetto si propone di realizzare uno spettacolo colorato e fantastico come una parabola orientale.
DICEMBRE
LES QUATRE PETITES FILLES
di Pablo Picasso
Con Francesca Benedetti
Regia Antonio Calenda
Les Quatre Petites Filles testo scritto nel 1947, è la seconda prova teatrale di Pablo Picasso dopo l’esperienza di “Il desiderio preso per la coda”. Personaggi e ambientazioni risultano apparentemente naturali, ma la “narrazione” procede per accostamenti astratti fra insetti, astri e fiori. Lo spazio è etereo, non c’è posto per la descrizione realistica ma soltanto per l’evocazione di elementi surreali che ci trasportano in mondi incantati.
Nessun’attrice in Italia potrebbe rendere con maggiore versatilità espressiva la parola pittorica di Picasso come Francesca Benedetti. La regia sarà di Antonio Calenda.
ALTRE OSPITALITA’
PICCOLI FUNERALI
di Maurizio Rippa
Con Maurizio Rippa
Voce Amedeo Monda chitarra
Organizzazione Benedetta Boggio
Produzione 369gradi
Spettacolo vincitore alla VI edizione de I Teatri del Sacro – Ascoli Piceno 2019
Piccoli Funerali è una partitura drammaturgica e musicale che alterna un piccolo rito funebre ad un brano dedicato a chi se ne è andato. Una dedica che è un atto d’amore, un regalo e un saluto, un momento intimo e personale, che trova forza nella musica. Ogni brano è un gesto che riporta ad una memoria. Ogni funerale è raccontato da di chi se ne va e attraversa una vita appena vissuta. Piccoli Funerali è uno spettacolo commovente e dolcissimo, capace di accogliere il dolore e trasformarlo in rinascita.
Note dell’autore
Questo è un lavoro su due sentimenti, uno d’amore, l’altro di odio. Quello che amo: Ho iniziato a frequentare un corso di teatro a 18 anni. Più che per vera passione per vincere la timidezza. La passione e l’amore per il teatro sono arrivati subito, ma la timidezza non è andata via. Provare mi piaceva da impazzire, ma esibirmi in pubblico mi provocava ansia e non poco spavento. Nonostante questo non ho mai smesso di “fare” teatro, ma ho escogitato un metodo per eliminare la paura: dedicare quello che faccio sul palco a qualcuno. L’esibizione fine a sé stessa mi mette in uno stato di ansia da prestazione, dedicare il mio lavoro a qualcuno mi alleggerisce, diventa un atto d’amore, e come tale anche sbagliare, cadere, stonare passano in secondo piano. Dedicare il mio lavoro è diventato il mio segreto, c’è chi fa yoga prima di andare in scena, io dedico il mio lavoro. Amo dedicare! Quello che odio: Odio i funerali. Con gli anni molti affetti sono andati via, parenti, amici cari. Mi sono trovato spesso a funerali di persone che amavo, ed amo ancora, e oltre al dolore per la perdita ho spesso sentito un fastidio: mi sembravano dei modi di salutarli così inadatti a loro, per la vita che avevano condotto, per il loro carattere. Spesso mi sono chiesto come avrebbero desiderato essere salutati, sempre mi sono chiesto quale musica o canzone avrebbe addolcito quel saluto. Ho pensato di affrontare quello che odio con quello che amo. Così è nato Piccoli Funerali Mi sono venute in mente persone realmente vissute ed altre inventate. Racconto della loro vita, o meglio, la faccio raccontare a loro e dedico ad ognuno di loro una canzone.
FAKE SHAKESPEARE
Scritto da: Andrea De Manincor
Regia: Solimano Pontarollo
Personaggi e interpreti: Sabrina Modenini, Andrea De Manincor, Solimano Pontarollo, Andrea Manganotto , Sebastiano Pontarollo
Musiche: originali eseguite e cantate dal vivo da Andrea Manganotto
Disegno luci: Francesco Bertolini
Costumi: Beatrice Olocco
Fonico e Tecnico Audio Luci: Martina Zanetti
FAKE SHAKESPEARE: ovvero dell’ombra e della luce
Nell’epoca della post-verità sappiamo ancora definire cosa è giusto e cosa sbagliato? E di fronte a un fatto, pensiamo davvero di essere noi e soltanto noi i depositari della verità oggettiva?
Sul palco vedremo due grandi opere di Shakespeare, rilette in chiave fake. Da un lato un Otello irriverente, cattivo, ironico, grottesco in cui le anime di Otello, Emilia e Jago interrogheranno loro stessi sulla verità della vicenda che li ha resi protagonisti, in un aldilà surreale.
Dall’altro un Amleto che si riscopre in una drammaturgia che si allontana dall’originale per prendere coscienza di sé. Affrontare il vissuto, con l’ironia, la comicità, la rudezza del reale, ma in un mondo sospeso, in un limbo pre-spirito dove il corpo ancora esiste o almeno se ne ha la percezione: è questo FAKE SHAKESPEARE. Ovvero, due situazioni espresse in due atti, in cui gli stessi interpreti sono personaggi noti, ma in un altro quando. Dove possono guardarsi, ri-conoscersi, e confrontarsi con quelle che erano verità, che sembravano verità, e che invece possono essere fake. Per poi ritrovarsi e lasciare un bagaglio a chi arriverà dopo di loro.
La sorprendente coppia Otello/Emilia si confronterà con il dubbio di Jago e della sua gelosia, guardando, o cercando di ritrovare, il supposto tradimento di una Desdemona invisibile. Per poi scendere nell’incontro di Claudio/Gertrude con Amleto e le sue accuse, le sue uccisioni, la sua tragedia immaginata o vissuta realmente. Con la supervisione di EX, ovvero il deus ex machina del plot che osserva e accompagna.
Andrea De Manincor con FAKE SHAKESPEARE libera i personaggi dal ruolo a cui sono condannati da 400 anni, in un limbo post-mortem sospeso, permettendo loro di emergere nella loro irriverente, grave, comica, timorosa pienezza di luce e ombra. Navigare nelle acque scure della contrapposizione e della contraddizione ci aiuterà a capire che, forse, la verità è inclusione, è accettazione. Da un lato Emilia, Otello e Jago. Dall’altro Gertrude, Claudio e Amleto. E alla fine un Amleto Bambino che ne accoglie l’eredità. Da una parte la luce, dall’altra l’ombra. Di qua la morte, di là una rinascita.
I GIGANTI DELLA MONTAGNA
VOCE SOLA
di e con Valentina Banci
spazio scenico Lorenzo Banci
Idea per un teatro tra persone vive
Non posso negare che questo progetto sia frutto dei difficili mesi passati a causa della pandemia mondiale che ci ha colpiti e che forse non riuscirà a scalfire il drammatico destino di un mondo sempre più affossato da logiche economiche, un mondo sordo alla voce della Poesia che non riesce più a penetrare nei Bunker di cemento armato che sono diventati i cuori duri di una specie che ha venduto l’anima. Cosa poter dire adesso? Dove trovare le parole? Cosa provare a sussurrare all’orecchio, quali parole possono davvero essere così forti, lucenti, definite da poterci dire, dopo tutto questo? Per me altro non potevano essere che quelle della bellissima ultima opera incompiuta di Luigi Pirandello, I Giganti Della Montagna. Ho immaginato che un’unica voce potesse dirle, facendosi carico attraverso la distanza della narrazione di tutte le voci dei personaggi e come in un gioco dal sapore brechtiano allontanarsene per guardarli con più chiarezza e più humor. C’è uno strano essere, né donna né uomo, che arriva come da epoche altre, né lontane né vicine, sul palco vuoto, e forse ci aspetta lì da sempre, dove siamo andati ad ascoltarlo, in Teatro, luogo finalmente ritrovato; che proprio nel momento in cui ce ne hanno allontanati abbiamo capito essere necessario, essere davvero il luogo dell’anima perduta, del dialogo con le stelle, della forza dell’utopia. Questo strano Signore – Signora porta in sé tutti i ruoli del testo pirandelliano: li ha nel cappello, nella manica della camicia, nella giacca dello smoking, in uno strano bastone dalle mille voci; e come un Mago che ha come unico gioco di prestigio la sua voce e la fantasia, prova a portarci là, nell’incredibile storia raccontata nei Giganti, che proprio oggi nella sua potenza metaforica, pare racchiudere il destino di ognuno di noi. Una compagnia di attori allo sbando, ridotta allo stremo, sopravvissuti al fine di rappresentare un’unica opera, La Favola del Figlio Cambiato, che la gente non comprende, anzi rifiuta e a cui la primattrice ha immolato la propria esistenza per fedeltà alla parola del Poeta che per lei si è tolto la vita, giungono alla villa degli scalognati, luogo al confine della realtà, dove un gruppo di poveri cristi falliti si è isolato da tutto, avendo perso la fiducia nella possibilità di comunicazione con il mondo là fuori, ma non quella della capacità evocativa della fantasia sotto la guida del Mago Cotrone. Andranno infine, attori e Scaloganti, a proporre la recita ai Giganti, abitanti della montagna vicina, simbolo degli invisibili padroni del mondo che manipolano masse acritiche e corrotte a tal punto da non riconoscere più la bellezza e la poesia fino ad ucciderla, ebbri di vino e furenti d’ira. Una potente metafora sull’agonia dell’arte che deve cercare spazi isolati per esprimersi, al di fuori della società. Questa Voce Sola è fantasma tra spiriti della notte, e proprio come Ilse, l’attrice del dramma, non si stanca di portare la poesia tra gli uomini, forse senza nessuna speranza di salvezza, come del resto a me pare che ci dica il testo di Pirandello; dove non si salvano né gli scalognati, in fuga dagli uomini e costretti all’isolamento per poter sopravvivere solo di sogni ed artifici, né gli attori ormai incapaci di fare della poesia materia viva e parlante, ma usandola anzi come un’arma affilata di giudizio nei confronti delle masse agonizzanti, né il popolo stesso, ubriaco di soldi e cibo, né tantomeno i Giganti, produttori di soldi accumulati per pochi e simbolo degli invisibili padroni del mondo . Un testo che può dire tutto e il contrario di tutto, ma che mai come oggi è capace di interrogarci sul senso di questo spingere il mondo sull’orlo del baratro; e proprio come il Teatro non si fa carico di darci nessuna risposta, lasciandoci tra le mani solo un grande punto di domanda, sfocia nel finale in una Voce che appartiene al nostro tempo per scrittura, che è la mia, che azzarda una chiusura con un grido disperato e libero e politicamente scorretto come un cazzotto ben assestato, urlando idealmente il diritto a vivere di ogni talento, al di là dell’onnipotenza assassina con cui il potere decide della vita o della morte di chi gli è gradito. Valentina Banci
L’UCCELLINO AZZURRO
di Maurice Maeterlinck
A cura di e con Claudia Della Seta, Sofia Diaz, Daniela Giovanetti, Glenda Sevald
Traduzione: Diaz – Della Seta
Editing testo: Della Seta – Sevald
Editing musica: Giovanetti – Della Seta
Ideazione scene e costumi: Laura Giannisi
Pittura di scena: Tatsiana Pagliani
Elaborazione pupazzi: Laura Pirandello e Glenda Sevald
Suono: Hubert Westkemper
Disegno luci: Matteo Ziglio
Produzione: Gruppo della Creta
La Féerie/Il Fantasy
Due bambini, un fratello e una sorella: Tyltyl e Mytyl
Il viaggio sovrannaturale.
Dissodare la propria terra.
La disputa con la Natura, la lotta.
Rovesciare il vecchio modo di vedere le cose.
Arrivare a una nuova visione della vita.
La rinascita
Nel nostro “Uccellino Azzurro“ saranno creaturine di panno e gommapiuma i protagonisti, noi attrici saremo la loro voce e il prolungamento dei loro corpi, vivremo con loro in un luogo sospeso, nel buio della notte e nella luce del giorno o della luna, saremo assenti e saremo presenti. Piccoli oggetti e grandi tele dipinte prenderanno vita diventando a loro volta altri personaggi della storia. Lo spazio affonderà nel silenzio rarefatto di uno strano palazzo, i suoni della foresta prenderanno il sopravvento, la musica Rock irromperà nel bel mezzo di un banchetto, echi di canti della tradizione popolare accompagneranno Tyltyl e Mytyl dai loro nonni nel regno dei morti. Sarà un mondo fatto di colori smodati e di sfumature delicatissime.
Questo spettacolo è il frutto di un lavoro portato avanti insieme, durante il periodo di chiusura forzata, grazie all’idea di Claudia Della Seta di mettere in scena “L’Uccellino Azzurro“; ci siamo trovate un giorno alla settimana per circa un anno, ci siamo date il tempo di studiare, di capire quello che poteva essere il nostro modo di raccontare questa storia, abbiamo provato a sperimentare nuovi linguaggi, abbiamo coinvolto altre persone, artisti bravissimi che ci hanno portato altre idee e nuove possibilità espressive. Ognuno di noi ha regalato un pezzettino di sé per far vivere questo spettacolo, una favola nata per essere amata.
“Esiste una malattia che si chiama “voglia di essere felici”, Maurice Maeterlinck ha scoperto la cura: bisogna mettersi in viaggio alla ricerca del “L’Uccellino Azzurro” e non smettere mai di cercarlo” (Daniela)
“Partire dentro quattro mura immaginando l’infinito. Una fiaba che mi ha messo in contatto con il mondo fantastico dell’infanzia e con quello delle mie amiche. Sognare insieme non è stata un’utopia!” (Sofia)
“Volando con l’immaginazione alla ricerca di un “Uccellino Azzurro”, per salvare gli altri e noi stessi. Un senso nel non senso, con la Natura che aspetta di essere riconosciuta” (Glenda)
“Ho fatto un viaggio ma non potevo uscire. Con la testa sì, con l’anima sì. Ho fatto un viaggio durante il quale oggetti, elementi e la natura di questo mondo mi hanno penetrato. L’ho fatto con Diaz, Giovanetti, Sevald. Questo è il nostro viaggio.” (Claudia)
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