E come “d’incanto” ci ritrovammo a teatro, al “Donizetti”, per intenderci, per compiere un viaggio affascinante nel corso dei lunghi decenni da quando venne inaugurato il 24 agosto del 1791 fino ai giorni nostri, andando avanti ed indietro come se ci si trovasse immersi dentro ad una sorta di “macchina del tempo”. In questo stupendo percorso, l’occhio disincantato del viaggiatore ha così avuto la possibilità di apprezzare “il tocco d’antico e di moderno” di questo luogo di cultura rimasto chiuso per un restauro iniziato quattro anni addietro. Il teatro dentro cui ruota palpitante il cuore dei bergamaschi risplende così di luce propria e ridà forza e nuova linfa ad una città che ne ha bisogno. Cosicché, posate sulle orecchie le audioguide interattive da cui si ode la splendida voce narrante e teatralizzata dell’attore bergamasco Maurizio Donadoni, veniamo introdotti nel “nuovo” foyer restaurato. Il nuovo che si mescola all’antico dunque, ancora di più dopo, quando nella nostra visita risaliamo le scale e giungiamo al primo ordine di palchi che suggellano la nascita del teatro in quel lontano 1791 per volere del suo costruttore Bortolo Riccardi che volle da allora per la sua città un teatro stabile, che poi a quest’ultimo, venne intitolato. Poi c’è la risalita ai camerini e qui la modernità prende il sopravvento, ma solo per facilitare gli attori ad esprimere meglio la propria essenza prima di entrare in scena. Da qui, senza soluzione di continuità, ridiscendiamo approdando su un palcoscenico rinnovato per consentire la riproduzione di scene di rilievo e dove la tecnologia che vi è stata allestita con le sue alte torri può essere in grado di rendere meglio, ora, il significato della rappresentazione di un’opera rendendola più vitale.
Risaliamo ancora, nel nostro giro vorticoso ed incessante, al secondo ordine di palchi e qui prendiamo in consegna la data del 1897, una data non di poco conto perché è l’anno in cui il teatro venne intitolato al maestro Gaetano Donizetti, a 100 anni dalla sua morte. Arriviamo al ridotto intitolato al maestro Gianandrea Gavazzeni restaurato nell’ottobre del ’64, e poi d’un balzo ci ritroviamo, stavolta, davanti al terzo ordine di palchi e da questo momento facciamo un altro passo indietro per toccare il 1835, l’anno più difficile per la vita di Donizetti che vide morire alcuni suoi affetti più cari ma che non gli impedì di raggiungere l’apice del successo con la “Lucia di Lammermoor”. Dopo aver fatto una capatina tutt’intorno ai tre organi di palchi, eccoci fare il nostro ingresso nello sfarzoso salone Riccardi, anima e cuore pulsante del nobilato della città per tanti anni. Il nostro viaggio prosegue risalendo le gallerie dove domina, incontrastato, sul soffitto, e quasi lo si sfiora con la mano, il grande affresco del pittore Francesco Domeneghini inaugurato nel 1903 proprio quando arriva la luce elettrica. Qui ci soffermiamo il tempo necessario per tributare il nostro riconoscimento plaudendo gli operatori del teatro che si stagliano davanti a noi sul palcoscenico, senza i quali gli attori non posson lavorare e che assieme a questi ultimi si sono sacrificati sull’altare della pandemia giacché il teatro avrebbe dovuto aprire i battenti già lo scorso anno. E poi, si sa com’è andata a finire… Ma, non fa nulla. Ciò che importa, alla fin fine, è che il teatro sia ritornato ai bergamaschi e non soltanto a loro, naturalmente, abbia già ripreso vita ed attende all’orizzonte il momento migliore per rendere omaggio al suo pubblico ed ai tanti che desiderano sognare perché, soltanto la magia del teatro, te lo consente…