Tratto da Memorie di un pazzo di Nikolaj Gogol’Adattamento e regia Marcello Sbigoli
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Terzo appuntamento del Periferico Festival – Spiagge urbane a cielo aperto, la rassegna organizzata dalla compagnia Teatri d’Imbarco al Teatro delle Spiagge, all’interno della ricca programmazione dell’Estate Fiorentina.
Cecco Innocenti è un Aksentij Ivanovič Popriščin fiorentino: come lui burocrate un po’ confuso, come lui invaghito della figlia del suo capo, come lui destinato alla cella di un manicomio.
Marcello Sbigoli trasferisce a Firenze la vicenda solo apparentemente surreale del protagonista gogoliano, come per avvicinare a sé stesso e al pubblico la profonda umanità della follia.
Capita, con i classici della letteratura e del teatro, che la percezione della grandezza dell’opera fossilizzi le vicende dei personaggi come in un passato quasi mitico. Capita che si confonda l’eternità del testo con l’astrazione dalla realtà, e quindi che si tradisca, in fondo, il senso stesso di quello che viene definito un classico, ovvero un libro (un copione, una poesia) che supera le barriere del tempo e dello spazio. Se Memorie di un pazzo è uno dei racconti più famosi e più spesso trasposti in teatro, è perché la follia di Aksentij è quella di un consigliere titolare russo dell’Ottocento come di un impiegato statale italiano di oggi, a Pietroburgo come a Firenze.
Sbigoli interpreta perfettamente l’ambiguità di un personaggio umoristico e tragico al tempo stesso, mostrandoci dall’interno l’amara fragilità dei matti.
L’intuizione geniale del testo è quella di farsi sismografo, per disegnare l’andamento ondivago dell’anima sfuggente di Aksentij-Cecco nel corso di una giornata qualunque. 24 ore in cui rabbia, gioia, dolore, paura si rincorrono con una frenesia che noi siamo abituati a vivere in una settimana almeno e che, invece, nella mente di un pazzo, si alternano a un ritmo faticoso da sostenere.
E forse è semplicemente questa accelerazione che differenzia me, te, voi, da un essere umano che la sera non è libero di andare a letto quando vuole e che, se si stizzisce un po’ di più, finisce con la testa in un secchio d’acqua gelata.
Anche il titolo dell’adattamento sottolinea, non a caso, il limite dell’arco temporale in cui Cecco si alza, beve il caffè, fa la punta alle penne del capo, discute con una cagnolina, si innamora, lascia che questo amore lo renda ridicolo, viene incoronato re di Spagna. Tutto in un’unica giornata.
È sfiancante essere matti. Vivere più vite e amplificarne ciascuna con la propria incapacità di scegliere a cosa dare peso, quale voce ascoltare, di chi fidarsi.
Cecco non mangia, in tutta la giornata. Cecco non va in bagno, in tutta la giornata. Cecco riceve ambasciatori, scrive poesie e ne scova altre, che aveva composto tempo prima, in un cassetto della memoria. Non si butta via nulla quando si è pazzi. Non si dimentica nulla, solo si confonde l’ordine delle cose, e delle priorità. E non si ha tempo di prendersi cura di sé stessi.
Basta questo a essere considerati alla stregua di bestie?