Gigi Proietti Globe Theatre Silvano Toti, Venere e Adone di Shakespeare
Gianluigi Fogacci, Melania Giglio e Riccardo Parravicini diretti da Daniele Salvo,
dal 1 al 5 dal 9 al 12 Settembre ore 21.00 a Roma
(sabato e domenica ore 18.00)
VENERE E ADONE
di William Shakespeare
Regia Daniele Salvo
Traduzione e adattamento Daniele Salvo
Prodotto da Politeama s.r.l.
Venere e Adone di Shakespeare, fu composto nel 1593. E’ uno dei poemi più lunghi
di William Shakespeare, costituito da 1194 versi e dedicato a Henry Wriothesly, terzo
conte di Southampton, in cui il poeta descrive la poesia come "il primo erede della
mia invenzione". La città è infestata dalla peste e deve chiudere i battenti di tutti i
suoi teatri per evitare il diffondersi dell’epidemia. Shakespeare si ispira al decimo
libro delle Metamorfosi di Ovidio e definisce Venere e Adone “il primo parto della
mia fantasia”.
Quando l’amico di scuola di Shakespeare, Richard Field, pubblica “Venere e Adone”
è, da subito, un grande successo. Si può affermare che sia stato il poema più
popolare dell’età elisabettiana. Tutti lo leggono. Tutti lo citano. Troviamo citazioni
anche in altri poemi. Ci sono riferimenti ad esso anche in lavori di prosa. Ci sono
scene, in alcune opere, in cui i personaggi parlano della lettura di “Venere e Adone”,
dicono di averne una copia sotto il cuscino e di usarne le parole per sedurre le giovani
donne.
Apprezzatissimo fra gentiluomini e cortigiani, in breve divenne una sorta di
vademecum dell’amatore, ugualmente popolare nella biblioteca, nel boudoir e nel
bordello.
Viene ristampato più e più volte. Field sembra abbia stampato 1000 copie della prima
edizione.
Il poema è in egual misura comico, erotico e commovente: la Venere di Shakespeare
è passionale, una dea innamorata e pazza di desiderio. Adone è un giovane bellissimo
che le sfugge e preferisce i piaceri della caccia a quelli dell’amore, sia pur divino.
Nonostante gli abbracci, le carezze e gli avvertimenti della dea, il giovane parte per
una battuta di caccia al cinghiale che lo azzanna provocandogli una mortale ferita
all’inguine. Venere accorre, ma è troppo tardi: non le resta che trasformare il sangue
dell’amato esanime nei rossi fiori dell’anemone…
Ma da quel momento la Dea giura su quanto vi è di più sacro che mai più per i
mortali l’amore sarà privo di ogni sorta di tormento e sofferenza.
L’esercizio della Poesia è una prova di resistenza alle difficoltà quotidiane e
all’indifferenza degli uomini. Chi parla in Poesia spesso deve fare i conti con una
società che non comprende un pensiero puro, sganciato dalle logiche commerciali o
produttive ritenute così importanti ai nostri giorni. Le vicende dei giorni presenti
paiono sottolineare l’inutilità della Poesia perché essa, di fronte alle epidemie, alle
guerre, alle decapitazioni, al terrorismo, alle violenze inaudite, nulla può lenire e a
troppi non dice nulla. “La poesia è magnificamente superflua, come il dolore e
troppo fragile in tempi di sopraffazione.” Ci sono uomini come William Shakespeare
che hanno combattuto la superficialità, la stupidità, l’arbitrio e la violenza quotidiana,
con la forza della Parola. E di questa parola “luminosa” vogliamo godere, attraverso
questo privilegio unico, sonoro e poetico, tentando di superare le assurdità della vita
contemporanea.
Questo mondo di versi è distillato prezioso di poesia e altissima letteratura.
Il tentativo è quello di entrare direttamente nelle menti e nei cuori dei personaggi,
nei loro desideri, nei loro affanni, nelle loro ansie e speranze disattese o soddisfatte.
L’equilibrio delicatissimo in cui si muovono tutte le figure del poema, compone un
affresco di una potenza espressiva straordinaria.
La febbre del nostro tempo ci porta a vivere in una realtà anestetizzata, un mondo
fittizio in cui l’emozione è bandita, al servizio di un intellettualismo sterile e
desolante. I nostri occhi sono quotidianamente accecati da immagini provenienti dai
media. La legge del mercato non perdona: si vendono cadaveri, posizioni sociali,
incarichi pubblici, armi, sesso, infanzia, organi. Restiamo indifferenti. La dimensione
borghese soffoca i nostri migliori istinti, la nostra sensibilità (che brutta parola oggi,
considerata quasi scandalosa), la nostra sincerità e si porta via ogni forma di
creatività, ogni volo, ogni fede. La nostra dimensione irrazionale viene
completamente annientata. Il senso dell’affermazione dell’ Io divora i nostri giorni.
L’arte è svuotata della sua dimensione spirituale: siamo in un momento di emergenza
assoluta. Il vero virus è dentro le nostre anime. La cultura attraversa una crisi epocale
: mancano la necessità, la fede, la fiducia in qualcosa di superiore, la luce di un
angelo che possa elevare i nostri destini. Santa Teresa d’Avila scriveva “Noi non
siamo angeli, ma abbiamo un corpo”. Ma oggi il nostro corpo è divenuto merce,
moneta di scambio, non più sede inviolabile della bellezza e dell’estasi. I media,
persuasori occulti, agiscono sui nostri cuori e sulle nostre menti addomesticando
anche gli spiriti più ribelli, sigillando gli occhi più attenti. La dimensione spirituale è
irrimediabilmente perduta. Il senso del sacro è ormai sconosciuto. Siamo ormai
definitivamente trasformati in consumatori e, nel medesimo istante, prodotti,
sconvolti da una guerra mediatica senza precedenti nella storia. Illusi della nostra
unicità, della nostra peculiarità, in realtà pensiamo tutti nello stesso modo, diciamo le
stesse parole, abbiamo tutti le stesse esigenze, le stesse speranze, le stesse ansie, la
stessa quotidianità fabbricata in serie.
Ci illudiamo di essere liberi.
I personaggi di Venere e Adone divengono testimonianze di un mondo perduto e
dimenticato, un mondo cristallino, sospeso sul filo dell’orizzonte.
Il ‘900 ha razionalizzato irrimediabilmente le pulsioni dell’animo umano, le ha
ingabbiate, catalogate ed educate. Shakespeare riesce ancora a comunicare in modo
diretto, ”puro”; ci fa entrare nel vivo della disperazione, della rabbia, dell’amore,
della dolcezza, della sensualità. Non descrive, non applica filtri letterari.
Semplicemente “è”.
Shakespeare nostro contemporaneo.
Quando i teatri riaprirono, Shakespeare fece tesoro di questo suo spericolato tuffo
nelle insidie dell’amore e compose Romeo e Giulietta, simbolo di gioia e tormento
per tutti gli innamorati dei secoli a venire.
Daniele Salvo
Interpreti
(in ordine alfabetico)
William Shakespeare GIANLUIGI FOGACCI
Venere MELANIA GIGLIO
Adone RICCARDO PARRAVICINI
Scene
FABIANA DI MARCO
Costumi
DANIELE GELSI
Musiche originali
PATRIZIO MARIA D’ARTISTA
Assistente alla Regia
ALESSANDRO GUERRA
Direzione tecnica
STEFANO CIANFICHI
Light Designer
UMILE VAINIERI
Sound Engineer
DANIELE PATRIARCA