Guide turistiche, racconti di viaggio, diari di viaggio…non importa quanto tu abbia letto, studiato, consultato o spulciato, Attilio Brilli riuscirà sempre a sorprenderti con i suoi magnifici libri.
Massimo esperto di letteratura di viaggio, storico e critico letterario, con i suoi testi è riuscito a sconvolgermi come un buon profumo che allerta i sensi mentre cammini distrattamente per strada. Sono libri appassionanti, ricchi di curiosità, di luoghi incredibili e di storie passate; sono i racconti dei viaggiatori di un tempo, gli uomini e le donne che attraversavano città e continenti con la curiosità di un esploratore e con la calma di un viandante.
Nel libro “QUANDO VIAGGIARE ERA UN’ARTE. Il romanzo del Grand Tour” Brilli ci regala un’ entusiasmante e dettagliata panoramica sulle peculiarità e lo stile che assunse il viaggio in Europa a partire dal XVII Sec.
Professor Brilli anzitutto la ringrazio per avermi dedicato del tempo per quest’intervista, per me è un onore. Per prima cosa vorrei chiederLe, che cos’è il Grand Tour?
E’ il viaggio d’istruzione programmato per i giovani europei, britannici in testa, destinati ad essere la classe dirigente del loro paese. Ha origine al tempo della regina Elisabetta ed è per la prima volta descritto nell’itinerario e nelle finalità da Francis Bacon nel saggio intitolato ‘Sui viaggi’. Il Grand Tour prevedeva il giro delle più importanti città europee, anche se, la maggior parte del tempo veniva dedicata all’Italia che finirà per diventare la meta privilegiata.
Le prime guide turistiche stampate in Europa dispensavano non solo consigli su cosa visitare, ma sopratutto avvertimenti sulle possibili insidie che i viaggiatori avrebbero potuto incontrare lungo il cammino. In seguito i travel books si sono arricchiti di altri svariati dettagli di viaggio come ad esempio: informazioni sulla cucina locale e consigli su dove fermarsi, talvolta offrivano anche le diverse opzioni dei mezzi di trasporto da poter scegliere per intraprendere un determinato itinerario. Insomma, si finisce per avere un prodotto simile a quello dei giorni nostri. Ma che differenza c’è tra guida turistica e diario di viaggio?
Le guide informano ed indicano luoghi e percorsi. I diari riferiscono delle esperienze personali. I testi narrativi tipo ‘Corinne’ di Madame de Staël ad esempio, rendono maggiormente coinvolgente il rapporto con i luoghi e le opere d’arte.
Il romanzo di viaggio ha quindi avuto un’evoluzione nel corso dei secoli, come si è modificato e quali erano gli argomenti più trattati?
Le prime relazioni di viaggio si occupavano in prevalenza della descrizione dei luoghi, dei costumi, delle istituzioni politiche, delle raccolte d’arte, dei gabinetti di rarità (ambienti all’interno dei quali i collezionisti conservavano oggetti particolari e preziosi). Poi, a partire dal Settecento, il viaggiatore diventa protagonista e la relazione si trasforma in un vero e proprio diario di viaggio all’interno del quale si trovano le prime riflessioni del viaggiatore. Ricordiamo inoltre che i diari di viaggio possono diventare in parte immaginari dando luogo così a veri e propri romanzi.
Ho letto nel suo libro che i giovani borghesi, prima di partire per il Grand Tour, si preoccupavano di avere al seguito un sacco di cose ad esempio: il passaporto, le carte geografiche, un numero sostanzioso di guide, le informazioni utili per i cambi di valuta in dogana insomma… pare che nulla sia cambiato dal 1600 ad ora, e me li immagino con ingombranti bauli e grosse valige in pelle. Che cosa portavano nei loro bagagli i viaggiatori del XVII secolo?
Abiti di ricambio, armi, stiletti e pistole, denaro, strumenti scientifici, piccole biblioteche e farmacie portatili, scrittoi da viaggio e talora strumenti musicali per distrarsi nel corso delle tappe più lunghe. Gli abiti dovevano essere ampi, comodi e soprattutto resistenti all’usura. Nel caso i viaggiatori fossero stati artisti o scienziati, le loro attrezzature erano parte integrante del corredo.
Un vero e proprio trasloco insomma, sembra quasi di rivedere la scena del film Mary Poppins in cui Mary tira fuori dalla valigia una pianta, una lampada e un appendiabiti. Professore che tipo di persone affrontavano il Grand Tour?
Oltre ai giovani che avevano concluso gli studi, viaggiano gli scrittori, i pittori e, a partire dalla metà del Settecento, le donne aristocratiche e poi borghesi, da Anne-Marie du Boccage a Mary Shelley. In genere dopo la Restaurazione il Grand Tour si trasforma definitivamente nel viaggio in Italia e la mania del viaggiare si estende alla classe borghese. Poi ci sono i viaggiatori professionali come diplomatici, attori, militari, ma esulano dalla nostra prospettiva.
Che mezzi di trasporto venivano utilizzati? Quanto durava un Grand Tour?
Carrozze padronali per più ricchi. Carrozze da nolo e con vetturino tuttofare per la maggior parte dei viaggiatori. Il vetturino è una figura basilare perché prenota le soste e le locande dove mangiare, dormire ed effettuare il cambio dei cavalli. Era raro invece che i viaggiatori del Grand Tour ricorressero alle diligenze di posta, troppo lente e affollate. La durata media del Grand Tour è di un anno.
I viaggiatori che descrive nel suo libro si lasciavano consigliare per filo e per segno da chi, prima di loro, aveva già battuto quelle strade e in nessun modo modificavano l’itinerario descritto. Poi venne il tempo in cui qualcuno iniziò a spingersi in luoghi sconosciuti come ad esempio le isole della Sicilia e di Malta. Si può dire che ad un certo punto non ci si spostava più solo per studio ma anche per pura curiosità?
Certamente, viaggiano per scoprire nuove realtà culturali come ad esempio la Sicilia che incanta Goethe. In Sicilia si svela una realtà sociale complessa e c’è chi descrive con dovizia di particolari, quei piccoli paesi dell’interno dell’isola nei quali si vive in uno stato primordiale. Ma c’è anche Brydone che nel Settecento cita i salotti palermitani dove si parla correntemente francese e inglese. In genere si giungeva in Sicilia partendo da Napoli. Ma l’Italia, come abbiamo detto, diventerà la meta prediletta, non mancano perciò altre descrizioni originali come quelle della Calabria o della Puglia per mano di viaggiatori come Eduard Lear.
Senza dubbio le città italiane erano le più ricercate e più compiutamente descritte. Non dimentichiamoci che i turisti dell’epoca erano scrittori, artisti e in genere persone colte e intraprendenti che guardavano oltre i confini del loro paese. La curiosità e la voglia di scoprire nuove realtà erano l’energia che alimentava il viaggio. Gli aristocratici, ad esempio, erano attratti dai costumi particolarmente liberali delle nostre città, prima tra tutte Venezia, dal vino e dal buon cibo.
Come cambia il viaggiatore nei secoli?
Cambia talora in peggio, maggiori sono le comodità e più veloci i mezzi di trasporto, e più s’attutisce il senso dell’avventura e dell’imprevisto. In altri casi tuttavia agisce sul viaggiatore lo stimolo ad ampliare il raggio della propria esplorazione.
Una figura tra le tante mi ha colpito maggiormente: il bear leader. Chi era?
Era l’istitutore che doveva guidare e tenere a bada (!) il giovane che gli era stato affidato. Spesso era uno scrittore che dall’ esperienza traeva un vantaggio non solo economico.
Ho letto aneddoti su giovani aristocratici alle prime esperienze di vita lontano da casa: le loro prime conquiste amorose, le lezioni di arte e le visite alle città e mi domandavo, le donne viaggiavano?
Certo Daniela, a partire dalla metà del XVIII secolo e, si dimostrano di gran lunga più attente, curiose e originali degli uomini. In particolare sono molto interessate alle condizioni delle donne in Italia, sono affascinate dalla figura del “cavalier servente” e scandalizzate dalla reclusione in convento di giovani fanciulle che non hanno alcuna vocazione.
Tra le decine di scrittori di viaggio da Lei citati, qual’è il suo preferito e qual’è la migliore opera di viaggio che abbia mai letto?
E’ una donna americana del primo Novecento, l’americana Edith Wharton la viaggiatrice che preferisco e il suo libro di viaggio ‘Scenari italiani’ è originale e piacevole. Il più bel libro di viaggio resta in ogni caso il ‘Viaggio in Italia’ di Goethe.
Secondo Lei viaggiare conserva ancora i connotati educativi, sociali e culturali che hanno spinto per secoli i giovani a intraprendere lunghi itinerari?
Il viaggio ha sempre una funzione stimolante ed educativa perché costringe a confrontarci con il nuovo, con il diverso e con l’imprevisto. Inoltre, ci costringe a rivedere e correggere i luoghi comuni o le verità precostituite.
Rivivere grazie a Lei i viaggi del passato, quelli che in fondo hanno dato vita ai nostri itinerari, alla concezione stessa di spostamento, di visita, di tour, è per me fonte di pura ispirazione. E’ così divertente scoprire che anche nel 1600 vi era l’ansia da partenza, la lunga preparazione dei bagagli, la spensieratezza delle passeggiate in campagna e la delusione delle locande poco accoglienti che veniva riportata in dettagliate recensioni. Non abbiamo inventato nulla in effetti.
Prima di congedarmi volevo chiederle, per Lei Professore che cos’è il VIAGGIO?
Rispondo con una battuta dell’Ariosto che, oltre ai viaggi reali, amava i viaggi fatti sulle carte geografiche e sugli atlanti. Il viaggio è sempre una sollecitazione dell’immaginario e presuppone comunque una ben precisa preparazione.
A cura di Il Granchio in Frack