In scena al Teatro Grassi il 16 settembre per Tramedautore Festival 2021, un progetto Celesterosa Associazione Culturale. Da un testo di Antonio Moresco La Lucina del 2013, con riadattamento teatrale di Silvio Castiglioni (drammaturgo e attore), con la regia e le scene di Fabrizio Pallara.
La lucina
di Moresco dà volto poetico alla solitudine di un uomo senza identità (qui interpretato da Silvio Castiglioni) avvolto dentro un isolamento misterioso e tormentato di evocazione dostoevskijana. “Sono venuto qui per sparire” – dice. Vive in un borgo abbandonato di cui è l’unico abitante. Gli unici contatti che ha sono quelli con gli insetti e le rondini che sfrecciano nel cielo. Ogni sera l’uomo cerca di rispondere a un interrogativo di cui non conosce la risposta: da dove proviene quella lucina che vede ogni sera nel buio? Il testo riadattato da Castiglioni lascia emergere la parte più introspettiva e profonda di questo uomo, che gradualmente viene come dipinto dalle parole. Il risultato è un racconto emozionale dagli esiti commoventi.
I TEMI: L’IGNOTO, LA SOLITUDINE E IL DOPPIO, LA MORTE.
L’attrazione da ciò che è ignoto, irraggiungibile, lontano, è ricorrente nel racconto: la lucina, il cielo, gli Ufo, la notte, la morte. Viene il dubbio che quest’uomo sia semplicemente entrato a contatto con un altro livello di realtà: quello sprigionato da una mente schizofrenica oppure quello di un universo alieno. Dietro quella Lucina c’è l’abitazione di “un bambino in calzoncini corti, con la testa rasata”. Il bambino tiene sollevata con le piccole braccia una nuvola di lenzuola. Vive da solo, non ha una famiglia, vive in un non-luogo dove mangia, studia, disegna. Non ha un nome se non quello che gli hanno dato a scuola per canzonarlo, Stucco: mangiava lo stucco usato per fermare i vetri sul telaio.
La solitudine dell’uomo potrebbe aver generato la proiezione di sè stesso in un altro corpo, quello di un bambino che poi gli dirà di essere morto e di frequentare la scuola serale. Da qui viene affrontato un altro tema, quello del doppio e del tempo. Passato e presente si alternano e spesso si sovrappongono, generando una stratificazione temporale che stordisce e culla, come in un turbine di pensieri vertiginoso che fa tremare: c’è spesso il terremoto. Allora è flashback, immaginazione, una dimensione onirica oppure la zona limbo prima di morire? La terra trema e poi alla fine qualcuno bussa alla porta. Forse è proprio la morte che è venuta a cercarlo. Nell’ultima scena c’è una chiara sovrapposizione tra il bambino e l’uomo. Sul backdrop vengono disegnati (da Georgia Galanti) in tempo reale dei bambini – i bambini morti della scuola serale. Anche il bidello e l’insegnante di questa scuola sono dei morti parlanti senza nome. Il racconto può far pensare anche al tema della memoria dell’infanzia e della classe morta di Tadeusz Kantor.
LA SCENA E LA REGIA
La scena è essenziale e gli oggetti di scena sono il correlativo oggettivo della dimensione di isolamento dell’uomo. C’è una sedia di ferro – “sono su una seggiola di ferro dalle gambe che sprofondano sempre più nel terreno”- una vaschetta, delle lenzuola da strizzare. Il testo recitato in modo eccellente da Castiglioni è denso, descrittivo e di forte potenza immaginifica: le immagini continuano a materializzarsi sullo schermo, come se saltassero fuori dalla mente e assumessero concretezza. Il tempo della scena è lento e segue il tempo della mente accompagnato da musiche distensive come quelle dei Sigur Ròs. La Lucina è uno spettacolo interessante come il testo di partenza. Lascia interrogativi e affascina, sicuramente utilizza espedienti già visti, ma l’esito è sorprendente e efficace.
Lavinia Laura Morisco