Ancona Teatro delle Muse
Serata in memoria di Dante Alighieri
(5-9-21)
Recensione di Giosetta Guerra
Anche il teatro delle Muse di Ancona è entrato nel vortice delle celebrazioni
dantesche a 700 anni dalla morte del poeta, portando in scena due
personaggi immortalati da Dante nella Divina Commedia: il conte Ugolino e
Gianni Schicchi. Dante colloca Ugolino nel ghiaccio del Cocito tra i traditori
della patria e mette in versi una macabra storia di disperazione e di morte nel
canto XXIII dell’Inferno. Gaetano Donizetti la pone in musica nel 1826 e ne fa
una cantata per voce di basso e pianoforte che fu eseguita per la prima volta
dal famoso basso napoletano Luigi Lablache.
In tempi moderni questo brano è stato interpretato dal basso Mirco Palazzi (voce totalmente idonea per colore, spessore, densità, alla drammaticità della
pagina) e al teatro delle Muse di Ancona è stato cantato dal basso Luca Dall’Amico, accompagnato dall’orchestra Sinfonica Rossini, diretta dal M° Marco Guidarini.
Luca Dall’Amico ha cantato molto bene, con incisività d’accento, e la sua bella voce scura ben si sposa con la cupezza della storia.
Purtroppo la forza della parola di Dante viene diluita dalla musica che, pur essendo bella ed accorata, non ha la stessa potenza. La declamazione degli endecasillabi di Dante genera un grande impatto emotivo, è il teatro della parola di grande presa, l’ascolto degli stessi versi cantati non ha lo stesso effetto.
Aggiungere musica ad un testo che ha già la musica nella parola e nella
metrica non serve, secondo me, perché si perde il valore delle pause, dei
silenzi, dell’accento, la comprensione delle parole è parziale e e non si
avvertono la disperazione, l’ambascia della dolorosa rimembranza, l’orrore
del fiero pasto.
Nella seconda parte arriva Gianni Schicchi, che Dante pone tra i falsari nella
X bolgia, VIII cerchio dell’Inferno. Su questo personaggio Puccini imbastisce
un’opera comica di un atto su libretto di Giovacchino Farzano.
Il regista Marco Ballani utilizza il poco spazio del boccascena realizzando un
teatro delle belle statuine, che all’occorrenza si muovono e gesticolano, attorno ad un letto con baldacchino dove giace Buoso morto e poi si nasconde Gianni Schicchi vivo. Scene essenziali e luci di Lucio Diana, costumi adeguati di Stefania Cempini. Quadretti statici si alternano a gruppetti in movimento. I canti di insieme sono ben amalgamati grazie ai
bravi cantattori.
Figure caricaturali, in particolare il dottore, esprimono la taccagneria degli eredi di Buoso, che per troppo voler nulla stringono, buggerati dalla furbizia di Gianni Schicchi. Su tutti emerge l’imponente figura e la vocalità estesa e robusta del basso Sergio Vitale nel ruolo protagonista. Un fiume di voce possente, di bel colore, con appoggi gravi consistenti. Nel ruolo di Rinuccio il tenore Pietro Adami usa bene e con sicurezza una voce di bel timbro, ha una buona tenuta vocale e canta bene. Veronica Granatiero è la dolce Lauretta, cui è riservata la bella romanza “O mio babbino caro” che il soprano esegue con emissione ben controllata, bel colore vocale, suono denso, buon uso della messa di voce e sensibili filati a mezza voce. Bene tutti gli altri come da locandina allegata.
L’orchestra Sinfonica Rossini ha ben sostenuto le voci e ha trasmesso le giuste atmosfere.