Provato nel fisico asciutto e indomito, scarno e tuttavia incisivo, Roberto Herlitzka trasmuta la fragilità apparente e quasi emaciata in una recitazione essenziale e potente che catalizza la percezione, facendolo giganteggiare al cospetto del nostro Sommo poeta.
La voce a tratti flebile ma ferma esprime una forza recitativa stringata e potente, da attore austero e pudico e nel contempo raffinato e colto, figura ormai sempre più rara.
I versi di Dante, che da 700 anni permeano la nostra istruzione scolastica e formazione culturale, si stemperano in una solennità misurata, dominata dalla padronanza della modulazione vocale solfeggiata di chiaroscuri.
La parola del Poeta veicolata dalla voce recitante di Herlitzka è un suono flautato da ascoltare a occhi chiusi, per riaprirli alla fine “a riveder le stelle”.
In questo 2021 le innumerevoli celebrazioni dei 700 anni della morte del padre della lingua italiana hanno coinvolto figure significative del panorama teatrale italiano, ma nessuno più del fine dicitore Herlitzka incarna la passione e la potenza recitativa che la Commedia, la Vita Nova e le Rime richiedono per canalizzare il linguaggio simbolico, allegorico, filosofico e spirituale attraverso il quale Dante fa emergere la nobiltà e la miseria umana.
Una tenue luce sulla maschera scarna del viso dell’attore seduto davanti al leggio illumina il cammino, senza inutili enfasi e coloriture, trainati dal suono evocativo di un lessico trecentesco che ci è familiare, nelle invettive come nei canti d’amore, quali anime erranti contemporanee.
I testi scelti da Filippo La Porta, spaziano da La Vita Nova alle Rime. La prima è il racconto spirituale e autobiografico in cui Dante celebra con dolcezza e trepidazione l’amore per Beatrice secondo i canoni dello Stil Novo, come nel celebre sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare” e “O voi che per la via d’Amor passate” e ancora “Venite a intender li sospiri miei”.
Le Rime è la raccolta di canzoni, sonetti e ballate che comprendono liriche giovanili e dell’età matura su tematiche amorose e filosofico-politiche, fino alle sofferte e aspre rime petrose ispirate dalla “donna petra” in antitesi alla “donna che ha intelletto d’Amore”, componimenti prodotti verso il 1295 – 1296, incentrati su una figura femminile refrattaria al sentimento, chiamata Madonna Petra, che potrebbe identificarsi simbolicamente con la Filosofia. Ecco, quindi “Guido, i’vorrei che tu e Lapo ed io” e “I’ mi son pargoletta bella e nova” fino a “Così nel mio parlar voglio esser aspro” e “Deh piangi meco tu, dogliosa petra”.
Segnano le cesure le musiche di Alessandro Di Carlo al clarinetto e Alberto Caponi al violino, nel progetto registico di Teresa Pedroni.
In chiusura, saliamo nell’Empireo col XXXIII canto del Paradiso nell’abbraccio dell’invocazione di San Bernardo alla Vergine affinché Dante, e noi con lui, possa concludere il viaggio fino a giungere alla visione di Dio.
Con l’estasi mistica del Poeta si conclude anche la nostra estasi poetica.