Questo monologo scritto, diretto e interpretato da Claudio Boccaccini, ha affrontato oltre 150 repliche dal 2013
, riscuotendo inalterato successo perché va dritto al cuore e fa affiorare la memoria collettiva e storica attraverso il racconto, naturalista e a tratti minimalista, di un’infanzia spensierata.
Dedicato ai padri, è l’autobiografia di un figlio, commosso e mai autoreferenziale che nel 1960, a 7 anni, fa una scoperta che segna il suo passaggio dalla spensieratezza alla consapevolezza.
Quasi due ore di racconto e mai un cedimento, una caduta del livello di attenzione perché la forza evocativa della parola che sgorga con naturalezza apre scenari su quei fantastici anni Sessanta in cui si realizzavano i sogni di benessere: l’acquisto dell’utilitaria, la gita domenicale al mare carichi di bagagli con l’ombrellone e la pasta al forno, l’adunata del vicinato nell’appartamento dotato di televisore in bianco e nero per seguire “Il Musichiere” di Mario Riva, i giochi nel cortile del grande caseggiato di periferia a Torpignattara interrotti dai richiami delle mamme dalle finestre che ricordavano di fare merenda con pane e zucchero o pane e olio (i messaggi pubblicitari televisivi non contemplavano le merendine!!). Il trasloco in una casa più grande sarà il primo distacco da un mondo protetto.
Era l’età dell’oro di un’infanzia ruspante in un ambiente familiare in cui i ruoli erano definiti: il padre Tarquinio incuteva timore e rispetto, solido e severo con spunti di grande umanità e compassione perché “i gesti contano più delle parole”; alla madre accudente era delegata l’educazione dei figli.
Aneddoti, idilli suburbani, quadretti familiari, acquerelli di personaggi di precedenti generazioni (il nonno, la nonna e gli zii nella tenuta del castello di Torrimpietra dove lavoravano) circoscrivono nel tempo e nello spazio una vita semplice che diventerà, tuttavia, testimonianza di un evento storicamente tragico.
Boccaccini attinge alla cornucopia dei ricordi con la leggerezza di chi si abbandona al flusso della memoria, che asseconda dirigendosi verso il fondale quasi volesse trarre dal buio un nuovo aneddoto, movimento seguito dalla scansione delle musiche originali di Maurizio Coccarelli e dalle canzoni degli anni ’40-’50 come “Parlami d’amore Mariù”.
Commovente e spassoso, è irresistibile nel delineare caratteri e manie della varia umanità che pullulava intorno al contesto domestico e parentale, col sostegno di un lessico vario e ricco anche, a tratti, nel romanesco gergale, conducendoci per mano verso un’esperienza di alto valore civile.
Un giorno di settembre, sfogliando la patente del padre lasciata su un tavolo, fuoriesce la fototessera di un giovane carabiniere: la madre gli rivelerà che il padre gli deve la vita e anche lui, che altrimenti non sarebbe nato. Il padre, fumando spasmodicamente, gli spiegherà che quel carabiniere suo coetaneo era Salvo D’Acquisto vicebrigadiere della stazione di Palidoro con cui aveva fraternizzato invitandolo a casa per lenire la nostalgia della famiglia che viveva a Napoli.
Il 23 settembre del 1943 le SS effettuano un rastrellamento e catturano 22 persone tra cui Tarquinio, da fucilare per rappresaglia dopo la morte di due soldati tedeschi in un’esplosione, e il carabiniere si autoaccusa per salvare loro la vita, rinunciando ai sogni della sua breve esistenza, poiché “i gesti contano più delle parole”. Anziché restare “Salvo” sceglie di essere “Salvatore” andando incontro al destino impostogli dal suo vero nome.
Quel 23 settembre 1960 un bambino va incontro al suo destino di adulto.
Il testo, riveduto rispetto alla prima edizione, è pubblicato da La Mongolfiera Editrice nella collana Biblioteca Teatro, con la prefazione di Edoardo Erba e la postfazione di Fabio Pierangeli.
È in vendita presso la biglietteria all’uscita dallo spettacolo.