Anche il teatro delle Muse di Ancona è entrato nel vortice delle celebrazioni dantesche a 700 anni dalla morte del poeta, portando in scena due personaggi immortalati da Dante nella Divina Commedia: il conte Ugolino e Gianni Schicchi. Dante colloca Ugolino nel ghiaccio del Cocito tra i traditori della patria e mette in versi una macabra storia di disperazione e di morte nel canto XXIII dell’Inferno. Gaetano Donizetti la pone in musica nel 1826 e ne fa una cantata per voce di basso e pianoforte che fu eseguita per la prima volta dal famoso basso napoletano Luigi Lablache.
In tempi moderni questo brano è stato interpretato dal basso Mirco Palazzi (voce totalmente idonea per colore, spessore, densità, alla drammaticità della pagina) e al teatro delle Muse di Ancona è stato cantato dal basso Luca Dall’Amico, accompagnato dall’orchestra Sinfonica Rossini, diretta dal M° Marco Guidarini.
Luca Dall’Amico ha cantato molto bene, con incisività d’accento, e la sua bella voce scura ben si sposa con la cupezza della storia.
Purtroppo la forza della parola di Dante viene diluita dalla musica che, pur essendo bella ed accorata, non ha la stessa potenza. L
a declamazione degli endecasillabi di Dante genera un grande impatto emotivo, è il teatro della parola di grande presa, l’ascolto degli stessi versi cantati non ha lo stesso effetto.
Aggiungere musica ad un testo che ha già la musica nella parola e nella metrica non serve, secondo me, perché si perde il valore delle pause, dei silenzi, dell’accento, la comprensione delle parole è parzialee e non si avvertono la disperazione, l’ambascia della dolorosa rimembranza, l’orrore del fiero pasto.
Nella seconda parte arriva Gianni Schicchi, che Dante pone tra i falsari nella X bolgia, VIII cerchio dell’Inferno. Su questo personaggio Puccini imbastisce un’opera comica di un atto su libretto di Giovacchino Farzano.
Il regista Marco Ballani utilizza il poco spazio del boccascena realizzando un teatro delle belle statuine, che all’occorrenza si muovono e gesticolano, attorno ad un letto con baldacchino dove giace Buoso morto e poi si nasconde Gianni Schicchi vivo. Scene essenziali e luci di Lucio Diana, costumi adeguatidi Stefania Cempini. Quadretti statici si alternano a gruppetti in movimento. I canti di insieme sono ben amalgamati grazie ai bravi cantattori.
Figure caricaturali, in particolare il dottore, esprimono la taccagneria degli eredi di Buoso, che per troppo voler nulla stringono, buggerati dalla furbizia di Gianni Schicchi. Su tutti emerge l’imponente figura e la vocalità estesa e robusta del basso Sergio Vitale nel ruolo protagonista. Un fiume di voce possente, di bel colore, con appoggi gravi consistenti. Nel ruolo di Rinuccio il tenore Pietro Adami usa bene e con sicurezza una voce di bel timbro, ha una buona tenuta vocale e canta bene. Veronica Granatiero è la dolce Lauretta, cui è riservata la bella romanza “O mio babbino caro” che il soprano esegue con emissione ben controllata, bel colore vocale, suono denso, buon uso della messa di voce e sensibili filati a mezza voce. Bene tutti gli altri come da locandina allegata.
L’orchestra Sinfonica Rossini ha ben sostenuto le voci e ha trasmesso le giuste atmosfere.