Intensità espressiva, interiorizzazione, coinvolgimento emotivo costituiscono la cifra artistica di Elena Arvigo, sempre più attenta a rappresentare i moti dell’animo femminile.
L’attenzione alle donne, sia come eroine teatrali che come autrici drammaturgiche, come in Sarah Kane, Anna Politkovskaja e gli scritti di Svetlana Aleksievich sull’atomica, l’ha guidata nella scelta dei testi orientati alla difesa dei diritti e alle istanze sociali, con un significativo impegno nel teatro indipendente della scena italiana
Dopo il debutto nel 2019 e l’interruzione di marzo 2020, la Arvigo riprende questo spettacolo che assume un significato ancor più pregnante nella claustrofobica solitudine della protagonista, dilaniata tra la spasmodica attesa del marito prigioniero in un campo di concentramento e il desiderio inappagato di libertà.
La drammaturgia è tratta da due testi di Marguerite Duras: Il Dolore e i Quaderni della guerra e altri testi e da la Specie umana di Robert Antelme. L’attrice esplora il connubio tra amore e guerra, completando un’ideale trilogia che parte da 4:48 Psychosis.
Il Dolore (La douleur in francese è femminile) è il diario autobiografico scritto dalla Duras mentre attendeva a Parigi il ritorno del marito Rober Antelme esponente della resistenza deportato nei campi, pubblicato 40 anni dopo. Entrata nel 1943 nella resistenza antinazista guidata da François Mitterand, il diario costituisce il racconto degli ultimi giorni di guerra nell‘aprile del 1945.
Quaderni della guerra e altri testi è un libro pubblicato postumo che raccoglie quattro manoscritti conservati in una busta, la cui stesura risale agli anni tra il 1943 e il 1949 con gli abbozzi più significativi di alcuni tra i romanzi più noti della scrittrice francese.
Sono testi-confessione di straziante intimità al confine tra la poesia e la memoria, tra il bisogno e la testimonianza. Ne emerge un racconto di lancinante drammaticità della guerra vissuta dalle donne: la guerra dell’attesa.
Il flusso di parole sgorga ininterrotto alla ricerca di un centro, di un fulcro intorno al quale far girare la propria vita e l’idea di futuro. Vivere, morire, aspettare? Marguerite raccoglie e mischia compulsivamente lettere e ritagli di giornale, cercandovi dentro l’essenza di sé e del rapporto con Robert. Senza sosta parla, gira su se stessa, si dispera, piange, rievoca, sogna e vaneggia, in un flusso ininterrotto di coscienza e oniricità intrecciate.
I campi di concentramento sono stati evacuati e i prigionieri tornano emaciati e vinti alle loro case. Robert no, nessuno ha sue notizie. Senza di lui non è vita, meglio morire “non per giacere nella fossa accanto a lui, ma per non aspettare più”. La fiducia a tratti vacilla, ma poi la donna riprende a sperare perché “è l’attesa delle persone care che riporta i prigionieri a casa”. Mitterand lo ritroverà a Dachau, malato e denutrito.
In un’altalena di angoscia e speranza, Elena Arvigo-Marguerite piange lacrime vere e vive una disperazione autentica che scuote l’anima, con un linguaggio spezzato e a tratti sconnesso. Il dolore della donna rende più vivida l’insensatezza della guerra.
Il finale sembra appagante, ma non sarà per sempre. Dopo il dolore si fa strada l’incomunicabilità.
Elena Arvigo cura la regia, l’allestimento scenico e i costumi, il disegno luci è di Paolo Meglio.
Lo spettacolo fa parte del progetto teatrale Le imperdonabili sulla guerra vista dalle donne che hanno segnato e rivelato la Storia, che comprende per ora altri 4 spettacoli: Donna non rieducabile di Stefano Massini, Monologhi dell’atomica di Svetlana Aleksievich, Elena di Sparta di Elena Arvigo, Etty Hillesum – o del pensiero.
Ognuno di questi spettacoli ha analizzato la figura femminile in relazione alla guerra, dal mito di Elena di Troia fino ad arrivare ai giorni nostri, nel tentativo di restituire un frammento del loro straordinario viaggio.